varie, 6 marzo 2002
SIMEONI
SIMEONI Sara Rivoli Veronese (Verona) 19 aprile 1953. Ex campionessa di salto in alto, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Mosca (1980), argento a Montreal (1976) e Los Angeles (1984). Campionessa europea nel 1978, bronzo nel 1974 e nel 1982. stata primatista mondiale (2,01 metri) dal 4 agosto 1978 (a Brescia, misura ripetuta il 31 dello stesso mese agli europei di Praga) all’8 settembre 1982 (2,02 di Ulrike Meyfarth ad Atene). «Faceva danza, ma la scartarono ”perché troppo alta”. Le dissero che svettava troppo rispetto alle altre, non potevano tenerla. I suoi genitori, che sovvenzionavano una società di atletica, la portarono al campo. A fare tutto. L’insegnante era un vigile urbano. Sara corse, tirò, saltò. A 19 anni sempre a Monaco, che fu un po’ l´anno di liberazione per lo sport femminile, si piazzò sesta nel salto in alto con 1.85, migliorando di cinque centimetri il record italiano. ”Mi accorsi che per me l’atletica era un gioco, ma che le altre aveva dietro preparazione specifica e programmi, allora tornai a casa con altri propositi. Mi dissi che con altri tre centimetri sarei salita sul podio. Valeva la pena di fare sport seriamente. Ma naturalmente nel nostro paese mancavano strutture e mentalità. L’ambiente era tradizionale e maschilista: prima venivano gli uomini, gli atleti, le loro necessità, poi se c’era spazio, toccava a noi”. Sara salì sull´asticella, sui sogni, sul mondo. Nel ”78 a Brescia portò il record a 2.01, nessuna si era mai arrampicata così tanto in cielo. Sara, un’italiana, non una tedesca. Una che per allenarsi dove aspettare che la squadra di calcio del Verona finisse i suoi comodi. Vinse tutto e molto, anche i Giochi di Mosca. E cambiò l’Italia. Una donna poteva, sì. E poteva molto bene. Senza perdere grazie, femminilità, fascino. Lo sport non distruggeva, ma esaltava. Sara sorrideva, si diplomava all’Isef, si sposava. Vinceva nella vita, non solo contro l’asticella» (Emanuela Audisio, ”la Repubblica” 18/8/2004). «Mi allenavo a Formia, tre ore al giorno, tutti i giorni, e spesso l’allenamento era doppio, mattina e pomeriggio. La sera cadevo sul letto come un sasso, senza nemmeno avere il tempo di pensare. Oggi ci si lamenta che non ci sono più campioni, ma io quando vedo la gente allenarsi mi sembra più che altro un gioco. A me sembra che giochino, senza faticare. Io ho saltato per venti stagioni. Da 13 a 33 anni. Sesta ai Giochi di Monaco con 1.85, seconda a Montreal con 1.91, prima a Mosca con 1.97, seconda a Los Angeles con 2 metri. Alla mia prima Olimpiade pesavo 69 chili e all’ultima appena 57. Avevo il tendine gonfio e lo stomaco chiuso, non riuscivo a mandare giù niente. Si lavorava duro, i risultati si vedevano. Eppure mancavano le strutture. A Verona dividevo lo stadio con la squadra di calcio, allora c’era Valcareggi, ma guai a calpestare l’erba e a rovinare il campo. A Formia mancava la pista al coperto e non c’erano attrezzature. Però noi c’eravamo. Non parlo solo di me e di Mennea, ma di una generazione con qualcosa da dire […] Una volta i record si facevano nella gare importanti, con gli avversari importanti. C’era una storia, un legame che teneva stretto gli avversari, che li portava a duelli storici. Oggi i record vengono a caso, e quasi mai nascono dal confronto. Senti dire: è un personaggio. Beh, noi eravamo persone. Mi dicono: è il progresso, sono altri tempi. Ma dov’è tutto questo miglioramento? Quando saltavo io le gare di atletica venivano trasmesse in diretta. Si vedeva tutto, ad orari accettabili. Oggi l’atletica è scomparsa. Complimenti, bel progresso […] Mi piacevano Giacomo Agostini, Moses, Juantorena. Oggi trovo non male Valentino Rossi e Marion Jones. Hanno stile, sanno sorridere. Non ho mai visto la Jones lasciarsi andare ad un gesto di stizza o di disprezzo. Non è sguaiata. Per me la forma conta […] Ho fatto un figlio, ma a 37 anni, quando ho smesso, perché volevo un’esperienza diversa. Anch’io ho dovuto combattere contro i pregiudizi che tenevano le mie compagne di scuola ferme a casa perché il loro ragazzo non voleva che si allontanassero a fare sport […] Con Erminio Azzaro, mio marito, anche lui saltatore, ci siamo conosciuti in una trasferta a Sochi sul Mar Nero nel ”72. Sicuramente con un altro avrei avuto molti più problemi. Diventato allenatore l’avrei ammazzato. Non mi permetteva nessuna trasgressione. Con il fatto che dovevo dare l’esempio e che lui da responsabile del settore non poteva fare favoritismi è stato sempre molto severo con me. Ci sono state sere in cui mi sarebbe piaciuto uscire, fare tardi. Niente, non si poteva. Adesso lo rimpiango. Ho fatto sport in maniera troppo seria, forse mi dovevo prendere un po’ più di libertà […] 2,01 a Brescia nel ”78 e non me lo aspettavo. Il giorno prima ero svenuta per la pressione bassa. Ero in periodo mestruale, non mi reggevo in piedi, tanto che mi consigliarono anche di dare forfait. Poi saltai, le sensazioni erano buone, e mi dissi: non perdere mai queste sensazioni. Non ero mai volata così in alto in allenamento, ma quel giorno pensai che in fondo superare i due metri non doveva essere così difficile. Fui contenta, perché a mia insaputa i miei genitori erano venuti allo stadio. Eguagliai il record del mondo agli europei di Praga, 27 giorni dopo. Quella contro la Ackermann per me fu una gara straordinaria. Per la prima e ultima volta in vita mia ebbi una sensazione di onnipotenza, ero sicura che non avrei fatto scappare la mia avversaria, che avrei saltato all’infinito un centimetro più di lei. I calzettoni con i rospi erano il mio portafortuna. Ma mi dissi: Sara sei grande, cosa capiterà il giorno in cui dimenticherai i calzettoni da qualche parte? E così smisi di indossarli. Ai Giochi di Mosca nell’80 non li avevo. L’inizio fu disastroso. Entrai nello stadio e all’annuncio del mio nome mi prese un groppo in gola tremendo. Ero emozionata, non capivo più niente, misurai la rincorsa in maniera sbagliata. Poi sentii Erminio che mi urlava: sveglia, la rincorsa è dall’altra parte» (Emanuela Audisio, ”la Repubblica” 14/4/2003).