Varie, 6 marzo 2002
SIMONI
SIMONI Gilberto Palù di Giovo (Trento) 25 agosto 1971. Ciclista. Primo al Giro d’Italia nel 2001 e nel 2003, secondo nel 2005, terzo nel 1999, nel 2000 e nel 2004. Nel 2002 fu costretto al ritiro quando sembrava lanciato verso la vittoria perché trovato positivo a un test antidoping (cocaina). Nel 2001 perse il mondiale di Lisbona a causa del ”tradimento” di un compagno di squadra (Lanfranchi). «Ci si poteva aspettare che uno nato a Palù di Giovo, vale a dire nel regno dei Moser, si fosse trovato la bici nella culla (tra l’altro il papà di Gilberto era cugino primo di Cecilia Simoni, la mamma di Moserone). Non è così. ”Fino ai 13 anni la bici non mi interessava granché - racconta - . Né pensavo a uno sport in particolare. Poi, con i compagni di scuola cominciammo a fare delle pedalate, alla domenica. Mi facevo prestare la bici da corsa da mio cugino Mauro, perché ne avevo soltanto una da cross. Un giorno percorremmo 200 chilometri, sulle Dolomiti: era il 10 giugno dell’84, la data in cui Francesco Moser vinse il Giro. Ricordo il paese completamente bloccato. Da lì a una settimana quasi obbligai mio padre a comperarmi una bici da corsa. Era una Moser, tutta rossa”. Il destino, accade così, ti aspetta a braccia aperte. La strada era tracciata. Nell’85 ”Gibo” si mette la prima maglietta, quella dell’Us Lavis: esordiente del secondo anno. La Montecorona, la squadra di Palù, non aveva quella categoria, così lo diede in ”prestito”, per riprenderselo, da allievo, in quello successivo. ”Era così gracile quand’era ragazzino: non avresti detto che sarebbe diventato il campione che è": Nino Marconi, il direttore sportivo degli esordi, rimasto poi al suo fianco come prezioso consigliere, quasi si commuove ricordandone i primi passi. La prima vittoria arrivò nell’87, successo per distacco nella Marostica-Bocchette, sull’altopiano di Asiago. Da junior, nelle due stagioni successive, quattro vittorie al primo anno, nove nel secondo. Continua Marconi: ”Lo sottoponemmo a un test per calcolare il rapporto potenza/peso. ’ Gibo’ era 50 chili, i risultati furono eccellenti” Come quelli sportivi: nell’ 89 fa suo il Giro di Lunigiana e sempre in quell’anno conquista tre gare in salita migliorando il record precendente. In maglia Montecorona-Prodet percorre i quattro anni del dilettantismo. Il palmarès diventa spesso: due Giri del Friuli, un Giro della Valle d’Aosta, il Giro d’Italia baby e il campionato italiano, entrambi nel ’93. Si fa la fama del duro: corre la cronoscalata del San Luca (’91) con 38,5 di febbre e la vince a tempo di record. Eppure non era ancora convinto di essere sulla strada giusta. Il ciclismo gli sembrava una fatica esagerata, così accarezzò l’idea di mettersi a fare il muratore con i fratelli. Poi le vittorie a ripetizione gli fecero cambiare idea. E anche i consigli dell’amatissimo fratello Mario, morto di tumore come il papà Enrico e una zia paterna, che gli spiegò quanto il proprio mestiere fosse più pesante della bici. Finì che a una cena sociale, gli fecero unregalo per festeggiare le sue 17 vittorie: una ”cazzuola d’argento”. Preceduto, di conseguenza, da notevole fama, Simoni approdò nel gran circo professionistico all’inizio dell’94, squadra Jolly-Cage. L’impatto non fu facile, tutt’altro. ”Ma non chiedetemi il perché: non ve lo dico”, avverte. Bisogna indagare, interrogando chi lo conosce bene. Ci viene in aiuto ancora Marconi: ”Dopo venti giorni che aveva firmato il contratto, lo voleva stracciare: non si sentiva pronto, aveva paura di quel mondo nuovo. In Bugno, Indurain, Chiappucci, Chioccioli, Rominger e compagnia vedeva dei giganti. Ha anche avuto problemi a un ginocchio e nel ’96 si fece operare. Poi, in quegli anni, perse il padre, il fratello di 39 anni e una zia. Cominciò a pensare a una maledizione, non lo diceva apertamente, ma aveva in mente brutti pensieri”. Parlando dei suoi cari scomparsi, sugli occhi di ”Gibo” si posa un’ombra di tristezza: ”Quando mi vedeva partire, mio padre mi diceva sempre: ’Non farti del male’. Aveva paura per me. Però era anche molto orgoglioso. Senza di lui, venne a mancare il punto d’equilibrio della famiglia. Quantoa Mario, era capace di tirare fuori il meglio di me: mi stimolava, mi sfidava in continuazione. Vederlo andarsene via così giovane, fu difficile da mandare giù”. Unperiodo durissimo. Nel ’ 96, quando era all’Aki-Gipiemme, mortificato per gli scarsi risultati arrivò a proporsi per un taglio dello stipendio. Vinse la sua tenacia [...] E nel ’ 97 arrivò la prima vittoria, la tappa di Arco al Giro del Trentino. La strada, forse, tornava in discesa» (’La Gazzetta dello Sport” 2/6/2003).