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 2002  marzo 06 Mercoledì calendario

Sivori Omar

• San Nicolas (Argentina) 2 ottobre 1935, San Nicolas (Argentina) 17 febbraio 2005. Calciatore • «Solo Maradona fu più geniale di lui, riuscì a trarre dal pallone musiche e poesie più affascinanti, fuochi artificiali più vividi. Diego è stato un capo branco, un leader servizievole e generoso, persino caritatevole con i compagni meno dotati. Omar Sivori era un individualista narcisisticamente innamorato della sua straripante bravura. Talvolta la utilizzava più per divertire se stesso ed il pubblico che per sacrificarla alle necessità della squadra. Aveva sangue d’artista e di torero: il campo era il palcoscenico dove esibire un talento beffardo e mai ripetitivo, l’arena in cui umiliare il toro, l’avversario, ubriacandolo con la muleta. Non gli bastava superarlo, doveva irriderlo, fargli passare il pallone in mezzo alle gambe, magari aspettarlo per ripetere la beffa, quel tunnel usato per rimarcare la differenza fra la sua nobiltà pallonara ed i comuni mortali. Il che faceva infuriare le sue vittime, gli procurava calcioni terribili, gli costava risse pagate con un mucchio di squalifiche (33 partite), infortuni, gli rendeva più dura la vita. Ma non ne avrebbe voluta una diversa: era venuto su nel River Plate conquistando gloria e scudetti con la grinta di un ”angelo dalla faccia sporca” come venivano chiamati lui, Angelillo e Maschio in Argentina. Il calcio era sfida, sberleffo: giocava con i calzettoni calati e le gambe nude, quasi un invito ai picchiatori dell’epoca. Provate a colpirmi, se ce la fate. Così veloce di riflessi e di gambe, da mandarli quasi sempre a vuoto, proprio come un torero. Il suo magico piede sinistro faceva disegnare al pallone traiettorie impensabili. Lo vidi segnare un gol in rovesciata pur essendo steso a terra in area. Lo vidi allenarsi mettendo trenta palloni a venti metri dalla porta, annunciando a quale incrocio ne avrebbe mandato ognuno: non falliva mai. [...] Formò un trio formidabile con Charles e Boniperti, cui sottrasse la maglia numero dieci. Giampiero non gliela ha mai perdonato. Gli rubò per un certo periodo anche il cuore dell’Avvocato, rapito dalla bellezza del suo gioco, delle sue invenzioni, dalle sue beffe, dalla sua personalità, dalle sue marachelle. Non fu utilizzato bene in una nazionale mal gestita o con troppi oriundi. I dissapori con la Juve cominciarono quando per sostituire Charles fu comprato Nené , riserva di Pelé nel Santos. Un centrocampista, non un centravanti. Omar voleva il francese Douis. La Juve andò male [...] il divorzio venne quando arrivò Heriberto Herrera come allenatore. Il calcio era cambiato, diventava essenziale accompagnare alla tecnica una buona preparazione fisica. Non si poteva più giocare quasi da fermi, aspettando il pallone: dovevano correre tutti, anche i campioni. Questa era la filosofia di Heriberto, dimostratasi poi giusta. Ma per Omar era una bestemmia, un’offesa al talento: ”C’è Emoli che corre, perché dovrei farlo anch’io? Se no lui che ci sta a fare?”. Non gli andava proprio giù di essere trattato come un gregario. [...] A Napoli anticipò l’amore delirante per Maradona: non fu capace di portare gli azzurri allo scudetto, ma con Altafini Juliano Claudio Sala ci andò vicino e regalò ancora recite meravigliose. Lo spingeva una rabbiosa voglia di rivincita su Heriberto e la Juve; imputava all’allenatore il peso di un divorzio per cui aveva molto sofferto. Chiuse la sua carriera di giocatore battendolo. L’ultima beffa di questo Cecco Angiolieri del pallone. Poi si è ravvicinato alla Juve, ha allenato per poco, ha fatto il commentatore televisivo [...]» (Giorgio Tosatti, ”Corriere della Sera” 18/2/2005). «[...] Era arrivato in Italia nella stessa infornata di Angelillo e Maschio, detti ”los angeles con la cara sucia”, gli angeli con la faccia sporca. Tutti e tre si erano laureati, come Di Stefano, all´università della strada. Maschio era un centrocampista portato alla regia, Angelillo un goleador travestito da ballerino di tango (quel filo di baffi, quella scriminatura impeccabile), Sivori un fantasista per vocazione e provocazione. Erano oriundi, giocarono nella Nazionale azzurra senza lasciare grandi tracce. Sivori fece anche parte della spedizione cilena del ´62. Senza storia, si ricordano due gol suoi in un 6-0 a Israele, nel girone di qualificazione, a Torino. [...] Di botte ne prendeva, ma erano più numerose quelle che dava. Erano gli anni [...] in cui lo stopper o il libero tiravano coi tacchetti una riga fuori dall´area di rigore e dicevano agli attaccanti: se la passi ti rompo una gamba. Sivori non solo la passava allegramente, ma aveva la fissazione di umiliare l´avversario facendogli tunnel, e magari aspettandolo, per farglielo una seconda volta. E così un giorno a Torino uno stopper del Catania, Grani, gli disse: al ritorno ti rompo una gamba. E Sivori, calmissimo: va bene, ma cerca di fare presto altrimenti te la rompo prima io. E così andò, col piede di Sivori a martello sul ginocchio di Grani. I vecchi a Padova si ricordano ancora del loro portiere (Moro o Pin, ho questo dubbio) che becca un gol su rigore e rincorre Sivori fino agli spogliatoi anche se l´arbitro non ha ancora fischiato la fine. La Juve vinceva di tre o quattro gol, mancava poco. Occhiata implorante del portiere a Sivori che dice: non ti preoccupare te lo tiro sulla sinistra. Moro - o Pin - si butta e la palla va dall´altra parte. Sivori era fatto così. Però Bearzot, che l´ha dovuto marcare diverse volte con la maglia del Torino, ed erano derby di fuoco, [...] ha detto che a lui di tunnel Sivori non ne ha mai fatti. ”Omar sapeva essere carogna con le carogne, se uno lo marcava duro ma leale anche lui era leale”. Gli Agnelli e tutto il pubblico juventino stravedevano per Sivori, pur sapendo della sua enorme passione per il poker notturno, il whisky e le sigarette. Non stravedeva Boniperti, che preferiva l´onesta fatica di Charles, da servire con passaggi lunghi e dritti. Mentre Sivori voleva la palla sul piede, da fermo (un po´ come Cassano adesso) e poi ci pensava lui a trasformarla in un fuoco d´artificio. O lui o io, disse Heriberto. Così Sivori andò al Napoli, dove diventò lo scugnizzo, anche se non era più di primo pelo, e i tifosi cantavano ”vide omàr quant´è bello”. E quando arrivò alla Juve vinse il Napoli, gol di Altafini su assist di Sivori. Sivori andò a prendere il pallone nella porta della Juve, andò piano verso il centrocampo e arrivato all´altezza della panchina di Heriberto gli tirò il pallone addosso. Ma non volgarmente, con forza, no, un tocchetto leggero, da gatto. Altre volte reagiva da toro. In una partita col Real lo sfotteva in continuazione Pachin: ti manca solo la piuma in testa per essere un indio. La risposta di Sivori fu una tremenda craniata sul naso. E´ vero che non s´è mai allenato bene, non riteneva di averne bisogno. Col pallone faceva quello che voleva, e allora bastava la tecnica a fare la differenza. L´etichetta di genio e sregolatezza gli va a pennello, pochi hanno raggiunto la sua perfezione nel dribbling e, se ne aveva voglia, dell´assist. Poco diplomatico da giocatore, non era cambiato da commentatore. Andava giù piatto, giudizi netti, forse troppo per la prudenza dell´emittente di Stato. Il calcio della tonnara non gli piaceva e non faceva nulla per nasconderlo. Era sincero, anche a costo di ferire. Qualche bugia l´aveva raccontata, pro domo sua. Come quando Brera gli chiese da che zona fossero arrivati in Argentina i suoi. Da Pavia, rispose prontamente Sivori che aveva i suoi informatori. Invece venivano da Genova. Ma da quel giorno, giudicandolo un paìs, Brera prese sotto l´ala l´imprevedibile mattocchio [...]» (Gianni Mura, ”la Repubblica” 18/2/2005). «In campo era un artista inimitabile. Meno bravo come attore davanti a una cinepresa, dovendo recitare se stesso. Nel 1965, l’anno del divorzio dalla Juve, Omar Enrique Sivori, infortunato e in piena crisi con il tecnico Heriberto Herrera, s’era... prestato al cinema per interpretare il ruolo di un calciatore famoso inseguito da uno scrittore (Massimo Girotti) che voleva conoscerlo a fondo e raccontarlo in un libro. Quel film s’intitolava Idoli controluce. Non conquistò l’Oscar e neanche la nomination, nonostante la trionfale ”prima” a Napoli, dove Sivori era appena diventato il nuovo idolo. Ci fu il tutto esaurito. A Torino, proiettato in cinque sale, ebbe meno seguito nonostante Omar avesse come ”spalla” un’altra ex gloria bianconera, King John Charles. Sotto la regia di Enzo Battaglia, oltre a Girotti, protagonista di pellicole di successo, parteciparono Riccardo Garrone (il popolare San Pietro nella pubblicità tv del caffè), nella veste di allenatore, la bella Johanna Shimkus, destinata qualche tempo dopo a diventare la moglie (vera) di Sidney Poitier, quello di Indovina chi viene a cena, e Valeria Ciangottini che ne La dolce vita di Fellini era la giovanissima figura scelta, nel finale, per rappresentare una boccata d’aria pura. [...] Sivori partecipò anche a un altro film, ”Il Presidente del Borgorosso Football Club”, nel 1970, quando aveva ormai smesso di giocare. Era il grande ”acquisto” del patron Alberto Sordi. Anche questa pellicola non stabilì record d’incassi. Sivori verrà ricordato per altre recite, sul rettangolo verde. I suoi palcoscenici Buenos Aires, Torino e Napoli, dove con la maglia numero 10 fu l’antesignano di Maradona [...]» (Bruno Bernardi, ”La Stampa” 18/2/2005). « stato il Maradona del suo tempo, un talento assoluto e arrogante, inventore del tunnel e di un look, i calzettoni giù. Con Angelillo e Maschio formava il trio degli ”angeli dalla faccia sporca”, la Juve di Umberto Agnelli lo ingaggia dal River Plate, nel 1957. Ha una foresta di capelli, per questo viene chiamato el Cabezon. Boniperti, Charles, Sivori: calcio d’altissima scuola, l’uno complementare all’altro. L’argentino garantisce la fantasia del genio ”maudit”, in perenne lotta con gli arbitri, e per questo pluri-squalificato, vagonate di gol, sei addirittura in una partita, quella in cui l’Inter schiera per polemica la formazione Primavera e perde 9-1, l’ultima di Boniperti. Il sinistro è un pennello al curaro, Sivori diventa il ”vizio” dell’avvocato Agnelli, un fiammifero capace di dar fuoco alle passioni. Lascia la Juve nel ’65, per Napoli, nemico giurato di Heriberto Herrera e del suo movimiento. Bilancio: 215 presenze e e 135 reti in campionato, 3 scudetti (1958, 1960, 1961), 3 Coppe Italia (1959, 1960, 1965). Pallone d’oro nel 1961, capo-cannoniere, con 27 gol, nel ’60. Nazionale: 9 presenze, 8 gol. Partecipa ai disastrosi Mondiali cileni» (’La Stampa” 9/2/2004). «’La aspettavo da due anni”, disse Umberto Agnelli accogliendo il nuovo campione che arrivava da Buenos Aires. Era il 1957: aeroporto della Malpensa, un interprete di mezzo (ma non ce ne sarebbe stato bisogno). Omar Enrique Sivori, senza scomporsi, rispose: ”Ah, se è per questo, io sognavo di essere juventino da cinque”. Il ”Dottore” capì allora che quel giovane argentino arrivato dal River Plate – di cui Renato Cesarini raccontava meraviglie – sarebbe stato un tipo speciale. In campo e anche fuori. Più che un giocatore, la passione di famiglia con quei dribbling straordinari e irridenti. Dopo di lui, soltantoMichel Platini avrebbe provocato gli stessi brividi. [...] ”Al River il mio allenatore era stato Renato Cesarini. Lui aveva consigliato alla Juve di prendermi. Lui, da quando avevo 16 anni, mi raccontava tutto di quella squadra bianconera. Quasi conoscevo, senza averli mai visti, Orsi, Combi, Rosetta, Monti, Borel e le loro imprese. Avevo voglia di essere juventino e da allora lo sono rimasto”» (Fabio Licari, ”La Gazzetta dello Sport” 23/7/2003). Oriundo italo-argentino, ha giocato anche con la nostra nazionale: «Gli oriundi erano tutti autentici. Io, Maschio, Angelillo, Cucchiaroni. Bisognava avere nonni o bisnonni italiani, ma sul serio. Quando andai a visitare il mio paese d’origine, Cavi di Lavagna, in Liguria, vicino a Chiavari, in dieci minuti al bar venni circondato da almeno cinque o sei Sivori, con la carta d’identità in mano. E a San Nicolas dove sono nato, esiste una Società Italiana con un presidente che si chiamava Bartolomeo Sivori, il mio bisnonno. Tutto alla luce del sole» (’la Repubblica” 9/2/2001).