varie, 6 marzo 2002
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Sottsass Ettore
• Innsbruck (Austria) 14 settembre 1917, Milano 31 dicembre 2007. Architetto • «Il fondatore del movimento d’avanguardia Memphis [...] un architetto che ha sempre fama di ragazzaccio, di discolo. Ha compiuto quattro volte vent’anni, come si diceva d’un altro designer sempreverde, Bruno Munari. [...] A sentirlo parlare nel suo studio in piena Brera, Sottsass diventa quasi il sacerdote di nuove nozze, l’aedo di una nuova armonia fra tecnologia e natura. Non c’è spazio per trionfalismi, per rigonfiamenti d’orgoglio da superchip. Per lui ”il paesaggio ha il primato, è vita che entra nell’architettura, e questa deve aprirsi, respirare, accogliere, fondersi in tutto ciò che l’abbraccia”. Per questo ha ornato la casa di tante terrazze-giardino o piazzette verdi, ogni camera ha la sua, e per questo c’è una specie di patio con un boschetto di bambù e l’ingresso è una specie di ”fiordo” e non c’è corridoio ma un breve luogo avvolto da vetro, una struttura trasparente deposta al suolo. E all’interno, tra il salone e la cucina, c’è un altro boschetto, un ricordo, un simbolo di boschetto, torrette geometriche come echi di tronchi per stoviglie, bar e hi-fi. [...] Uno sguardo inafferrabile, un non-sguardo, o uno sguardo remoto, antico. Il lungo e intrecciato codino bianco termina con un fermaglio color cobalto e gli giunge quasi a metà schiena. Ha davanti sul tavolo una piccola statua in legno un Buddha raro, un Buddha che ride. Attorno ci sono pendagli con divinità e decorazioni indù. C’è silenzio. Sottsass accavalla le gambe e fa balzare in primo piano, sotto il vestito scuro Armani, una spettacolare scarpetta di gomma, non si sa se da riposo, da trekking o da foot-ball. Ancora silenzio. Sottsass alla fine parla, una voce bassa come le palpebre: ”Sono nato a Innsbruck. Ho vissuto in Trentino. Lassù la casa è protettiva. Qualcosa di quest’idea m’è rimasto: la casa si apre al mondo, s’immerge nel paesaggio, ma ti protegge anche, non solo dal vento e dalla pioggia ma anche dal caos esterno. Protegge la tua gioia e la tua disperazione. In casa io corro di felicità o mi schiaccio contro un muro. La casa è un anticorpo, un luogo dove ti recuperi. [...] C’è molta retorica sulla tecnologia. Io continuo a pensare che quando vado a letto la sera sono solo con il mio corpo miserabile, e mi preoccupo per mia moglie e per quello che mangeremo domani, ho cioè pensieri arcaici, mi apro al mistero che ci insegue. La tecnologia non cancella il mistero. Anzi, distrae. Perché la gente va in un tempio? Profumo d’incenso, una vetrata laggiù in fondo con un mandala di colori: lì ti recuperi, ti chiedi se stai morendo o vivendo. La casa si può allora immaginare come una piccola zona di sacralità, che non è religiosità ma appunto apertura al mistero, a ciò che non si sa e a cui non sappiamo dare risposta. E oggi è tutto più complicato, aumenta la zona che ci sfugge. Ci sentiamo sempre più perduti. Quando leggo che dell’universo vediamo soltanto il 20 per cento, mi viene la pelle d’oca. Ho dei dubbi, guardo al mio lavoro con altri occhi, vado alle culture precedenti, penso ai Sumeri. Subisco emozioni, sono esposto”. Lo interessa moltissimo il momento ”prereligioso”, quando il mondo appariva come ”permanente sorpresa”, quando ”il fuoco non si sapeva che cos’era e il fuoco divenne una divinità”. Ecco, lui cerca di ritrovare in sé quello stupore, quel ”momento di pura curiosità e perplessità”, ed è come se si spogliasse di continuo di se stesso, delle abitudini, delle certezze, di quel che ha imparato. Si fa quasi un bucato mentale ed emotivo. Così riscopre le cose. E per esprimerle le denuda, ne rintraccia le forme essenziali, che sono forme primarie, quasi archetipi. Anche il minimalismo semplifica, spoglia, ma lo spogliare che effettua lui non è un azzerare le emozioni sull’altare della funzionalità pura, del razionalismo. Tutto il contrario: ”Il mio è piuttosto maximalismo”. E l’ironia, il gioco che - si dice sempre - caratterizza i suoi progetti? ” un gioco forse tragico. Chi ha conoscenza totale del disastro, si mette a cantare. Per questo amo i napoletani. Il canto, il gioco, è humour, commedia dell’arte. Quando non hai visione lineare delle situazioni, ridi, non giochi. Anche il movimento Memphis fu una smorfia, un riso, non un gioco. [...] Costruire cose tenere verso gli altri e verso te stesso: cose tenere, perché hai pazienza, hai pietà, pietà come amore per tutto, per tutti. Sei fragile, sei architetto, offri allora qualcosa a gente fragile come te, offri consapevolezza di questa fragilità... La vita mi piace molto. Mi pesa l’età. Essere giovani è come quando sei ubriaco: hai energia in più ma poi senti che l’energia, vitale prima ancora che fisica, ti lascia. Questo è faticoso. Mi viene voglia di andare a vedere dei luoghi, soprattutto i deserti, i deserti sono dei templi, c’è il pianeta così com’è, come in mezzo all’oceano”» (Claudio Altarocca, ”La Stampa” 23/1/2001).