Varie, 6 marzo 2002
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SPINOTTI Dante Tolmezzo (Udine) 22 agosto 1943 • «Sebbene il direttore della fotografia rivesta un ruolo fondamentale nella realizzazione di un film, è raro che il suo nome venga ricordato
SPINOTTI Dante Tolmezzo (Udine) 22 agosto 1943 • «Sebbene il direttore della fotografia rivesta un ruolo fondamentale nella realizzazione di un film, è raro che il suo nome venga ricordato. Ci si limita piuttosto ad associare il titolo di un’opera cinematografica al nome del regista e a quelli delle star che vi figurano [...] Lui non sembra, però, risentire dell’ombra della ribalta cui è votato colui che custodisce il segreto di dare luce all’arte della visione [...] Il suo nome figura, d’altronde, nei cast & credits di alcuni tra i maggiori successi cinematografici degli ultimi anni, da Insider a L’ultimo dei Mohicani, entrambi di Michael Mann (il regista per il quale ha firmato anche Manhunter e Heat) a L.A. Confidential di Curtis Hanson (per il quale ha avuto la prima nomination all’Oscar) [...] Ma la sua fama non nasce negli Stati Uniti. Prima di approdare a Hollywood attraversa quasi un ventennio di cinema e televisione italiani affiancando le firme più interessanti del piccolo e del grande schermo di casa nostra. Registi come Giacomo Battiato, Piero Wertmueller, Ermanno Olmi, Sergio Citti, Liliana Cavani, Lina Wertmueller, Gabriele Salvatores, Giuseppe Tornatore [...] ”Iniziai a lavorare come libero professionista in un film di Sergio Citti, Il Minestrone (1981). Un impatto molto duro con la realtà romana. Il film in origine avrebbe dovuto intitolarsi La fame e narrava le peregrinazioni di un gruppo di gente affamata attraverso le più strane avventure italiche viste dalla fantasia di un autore come Citti”. Fino ad allora aveva lavorato per la televisione dove era approdato dopo una breve esperienza africana: ”Ero partito a 17 anni per non studiare greco e latino. In Kenia avevo uno zio che lavorava come operatore e direttore della fotografia per l’East African Pictures di Nairobi. Vista la mia grande passione per la fotografia e per il disegno (mi piacevano le nature morte perché permettevano di realizzare giochi di luci e ombre) i miei genitori pensarono di mandarmi da lui. La cosa naturalmente mi affascinò moltissimo, ma era il periodo in cui il Kenia stava diventando indipendente e l’attività cinematografica stava subendo un rallentamento. Ci rimasi un anno, ritornando in Italia dopo aver fatto un’esperienza interessantissima e aver imparato l’inglese, che a quei tempi non era così frequente. Il fatto di essere partito così giovane credo sia stato determinante, perché poi son sempre stato un po’ in viaggio. La decisione di rientrare fu molto importante dato che il contesto socioculturale bianco in cui mi trovavo a vivere in Kenia era essenzialmente conservatore e filocoloniale. Ritornare in Italia significava invece aprirsi di nuovo a un ambiente culturale estremamente stimolante. All’inizio degli anni Sessanta, alla Rai si giravano cose molto interessanti con registi straordinari [...] Piero Nelli fu un maestro straordinario. Insegnò a tutti noi la storia e la politica. Giacomo Battiato mi fece capire che cos’era il cinema. Io venivo dal documentario e lui mi comunicò il grande fascino del linguaggio filmico. Con Ermanno Olmi ebbi la fortuna di lavorare da giovanissimo facendogli da assistente per E venne un uomo (1965). Fu il primo approccio con un regista di grande statura [...] Trasferirsi definitivamente a Los Angeles è stata una scelta felice. Stare qui mi permette di svolgere il mio lavoro a più livelli. Mi è possibile girare un film e curare allo stesso tempo l’uscita di uno precedente, seguire le operazioni di combinazione delle immagini al computer, andare in laboratorio per controllare i colori o vedere come va un certo tipo di inquadratura. Questa città è straordinaria perché vi si respira l’amore per l’arte e per la tradizione cinematografica a tutti i livelli della produzione, dalle sfere più alte fino al più umile aiuto di set. La differenza fondamentale tra gli Stati Uniti e l’Italia sta nella possibilità di sperimentazione, verifica e realizzazione. Ho sempre cercato e continuo a cercare nuovi metodi nell’uso della macchina da presa e delle luci. Mi interessa verificare se certe teorie funzionano oppure no, qui è possibile farlo. Non per una questione di denaro, come molti credono. Piuttosto un fatto di professionalità, di rispetto del proprio lavoro e anche, io credo, di modestia. Nessuno immagina il tempo e l’impegno che qui si impiegano nello scrivere un copione, nel preparare una sceneggiatura e nel correggerla fino a quando non sono stati tolti tutti gli elementi deboli. Hi impressione che in Italia vi siano dei grandi talenti isolati, ma che per il resto manchi la conoscenza dell’Abc del cinema [...] Il cinema è ancora quello dei tempi del muto. Certo, oggi puoi fare qualsiasi cosa, ottenendola in un’ora e mezza invece che in tre giorni, ma la sostanza è la stessa. Il vero cambiamento però si vedrà nei prossimi anni. In questo momento, noi direttori di fotografia siamo depositari di quello che succede sul set. Siamo i soli a sapere se e come ciò che si fa corrisponde a ciò che si vedrà sullo schermo. Quando la tecnologia cambierà ci saranno grandi schermi sul set, perderemo il ruolo di depositari della ’verità’ e il nostro lavoro dovrà essere ridefinito [...] Uno dei motivi per cui amo questo lavoro è la possibilità di affrontare tematiche diverse e conoscere molte persone con le quali instaurareun rapporto culturale e creativo molto stimolante. Il nostro lavoro consiste nella ricostruzione visiva di una storia a partire da un copione scritto. E’ più o meno quello che succede quando si legge un libro. E’ ovvio che l’esperienza personale ha un ruolo fondamentale. Io mi porto dietro il mio background culturale, le visioni della Carnia, del Polesine, del Kenia... Queste visioni iniziali, che nascono dal vissuto, si spostano progressivamente verso il film, ovvero le si adatta e le si aggiusta in relazione alle discussioni con il regista, ai sopralluoghi per la scelta dei set, agli attori che si scelgono. E’ necessario anche uno stretto lavoro di collaborazione con lo scenografo e il costumista per mettere a punto la programmazione dei colori che devono avere un senso emotivo, oltre che estetico, che si abbina alla luce e che la luce deve presentare”» (Maria Silvia Bazzoli, ”diario” 22/3/2000).