Varie, 6 marzo 2002
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Springsteen Bruce
• Freehold (Stati Uniti) 23 settembre 1949. Cantante • «Ha passato gran parte della carriera a cantare i sogni e le delusioni americane [...] Un quarto di secolo fa decise che il suo compito non era quello di incarnare una qualche fantasia da rockstar, ma di dare dignità al lavoro della gente qualunque. ”Vedevo nobiltà nell’uomo della strada” disse in una delle rare interviste. ”Non quella che leggi nei libri di storia, ma quella della gente che va tutti i giorni al lavoro, torna a casa e si siede a tavola a cena. Sono queste le persone di cui voglio scrivere. questo che per me è importante e mi fa venire voglia di cantare le mie canzoni”. [...] Vive con la moglie Patti Scialfa e i loro tre figli in una fattoria del XIX secolo nella contea di Monmouth (NJ), circondata da campi coltivati a granturco e soia che presto verranno convertiti a colture biologiche. Un granaio ospita un piccolo studio di incisione. Nel soggiorno dalle pareti rivestite in legno troneggia un grande camino con una collezione di orologi antichi. [...] ”Mi sento al massimo quando sono collegato agli avvenimenti del mondo esterno, ho la sensazione di rendere un servizio al mio pubblico. il vero senso del lavoro, occupare un posto, con tutti i vantaggi e le responsabilità che comporta”.[...] ”Tiro fuori una canzone che porta a un’altra e a un’altra ancora. Inizi a raccontare una storia che alla fine sceglie un determinato piano emotivo. Come andrà a finire? un lavoro di scavo. Ti scavi nell’anima e a volte non sei sulla vena più ricca della miniera, ci può volere molto tempo, poi all’improvviso, ecco che l’hai trovata”.[...] Dopo aver sposato Patti Scialfa nel 1991, l’anno successivo alla nascita del figlio Evan James, tornò a fare il cantastorie. Per The Ghost of Tom Joad, nel 1995, scelse storie di operai e immigrati con l’accompagnamento di una chitarra folk. Fece un tour solitario con la chitarra acustica e si chiese se sarebbe mai tornato al rock. ”Non riuscivo a trovare la mia voce rock”, ricorda, ”ero insoddisfatto”. Sparì dalle scene. ”Ho fatto un paio di dischi gli anni passati, uno nel ’94 che non è poi uscito. Poi una serie di demo, sempre in cerca di quella voce. Non riuscivo a trovarla e pensavo che forse apparteneva al passato”. Il ritorno con la E Street Band, prima per incidere tre brani per la raccolta dei suoi successi nel 1995, e poi per un tour mondiale iniziato nel 1999, gli fece cambiare idea. Si rese conto che gli mancavano i grandi palcoscenici rock. ”Al di là della gratificazione che ti dà un pubblico di migliaia di persone che scandiscono il tuo nome, pensai che avevo passato tanto tempo a cercare di fare bene una cosa e ora non era logico dire che non faceva per me. La gente mi chiedeva di continuare. Così in tournée scrissi un paio di brani, Land of hope and dreams e American Skin. Ed erano buoni, almeno quanto quelli che avevo sempre scritto. Avevo ritrovato la voce che stavo cercando» (Jon Pareles, ”la Repubblica” (13/7/2002). «Si scrive sempre di se stessi: non in senso letterale o di circostanza, ma ci deve essere sempre una parte di noi in ogni cosa. Non importa come si arriva a una storia o a certi personaggi, magari anche lontani dalla propria esperienza; l’importante è creare un legame e un’intesa, rispecchiarsi in queste figure e far sì che il pubblico faccia altrettanto. Cerchi di trovare un punto di contatto tra le persone su questioni fondamentali come il lavoro, la fede, la speranza, la famiglia, la disperazione, l’entusiasmo, la gioia. Se non ti ritrovi in un modo o nell’altro nel personaggio, la canzone non riesce. Quindi direi che non ho scritto di me stesso in senso stretto, se non in alcune occasioni, ma ho utilizzato metafore per le mie esperienze emotive [...] Le canzoni riuscite giocano su più livelli; è questo che le rende belle, che le rende eterne. L’altro aspetto importante è che cerco di scrivere qualcosa di orecchiabile, un motivo di tre minuti, il cui testo funzioni e sia coerente [...] Una volta ho detto che chi fa rock’n’roll non canta della propria madre. Se fai musica country o rap allora puoi cantare di tua madre [...] Il mio soprannome originale era ’The doctor’, perché il mio gruppo si chiamava Doctor Zoom & the Sonic Boom [...] Mi ricordo che The Boss derivava dal fatto che alla fine della settimana davo la paga al resto del gruppo... Non era un soprannome da divulgare. Io avrei preferito che rimanesse segreto” [...]» (Mark Hagen, ”Sette” n. 14/1999).