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 2002  marzo 06 Mercoledì calendario

Starck Philippe

• Parigi (Francia) 18 gennaio 1949. Designer. « riuscito a rendere chic uno spazzolino da denti. Poi Philippe Starck è passato agli spremiagrumi, alle lampade e alle sedie trasparenti. Ha portato in dote a Driade, l’azienda italiana con cui collabora da 20 anni, una poltroncina in carbonio, luccicanti sedie di acciaio e midollino, un tavolo e un divano ecru: sullo schienale ha fatto stampare un cammeo in cui appare il profilo della figlia Ara, novella Caterina de’ Medici. Ha inaugurato The Icon, condominio extralusso di Miami di cui ha curato gli interni, e sta andando bene anche The Key, joint venture di marketing e comunicazione nata per rivitalizzare il mercato asiatico. A 55 anni può dire di aver disegnato di tutto. ”Faccio quello che posso e quello che voglio. Il mio unico stile è la libertà”, ammette quasi incredulo: ”Mia madre andava da un indovino e prediceva: sarai il più grande artista del mondo. Non lo sono diventato, ma ci ho provato. Ho i riflettori addosso [...] Alle elementari. Disegnavo magnifiche camere di tortura in miniatura che divennero merce di scambio con i professori: immaginavo i supplizi più atroci per loro, li disegnavo e glieli vendevo. Avevo voglia di creare spazi minimi: ero ossessionato dalla possibilità di viverci dentro con il minimo indispensabile e crescendo ho trasformato questa mania in una professione [...] Io non cerco mai. Io trovo. Non mi lascio suggestionare da luoghi, cinema, mostre, tivù, giornali. Non parlo con nessuno, esco raramente dalla camera del mio hotel, sono il re del room service. Un monaco. Mia figlia sostiene che sono autistico. Dicono che sia un guru del design, un viveur, un vanitoso, un logorroico. Invece non ho una vita sociale e vedo le stesse persone da anni. Sono timido, pudico, neanche tanto curioso. Sensibile. M’innamoro di qualunque cosa o persona. Ho paura di sembrare noioso e preferisco rispondere alle domande piuttosto che porle. Faccio scena muta solo quando mi chiedono quanto guadagno: sono così ricco che non ne ho idea. C’è anche chi dice che sono un bluff. Che lavoro con 400 designer e non sono in grado di fare nulla: invece ho solo due collaboratori architetti e disegno tutto io [...] Come fa una sedia a diventare argomento di conversazione? A me interessano solo la letteratura, la matematica e la vita. Il romanticismo e la bellezza. Disegno perché mi riesce facile, ma mi vergogno perché il design è uno strambo mezzo di comunicazione. Io devo trasformare ogni pezzo di una frase in un divano, continuare con uno spazzolino da denti e finire con una scarpa. Svuotando gli oggetti dai segnali barbari per investirli di significati quasi politici e mostrare un’altra via: quella della sovversione [...] Dobbiamo essere dei ribelli moderni e reinventare le regole del gioco. Oggi c’è gente che brucia talento ed energia per rubare il denaro dalle tasche del target. Invece le aziende hanno il dovere di produrre oggetti onesti basati sulla bontà, che è un concetto umanistico e longevo, più che sulla bellezza, che è un valore culturale in continuo mutamento. Perché là fuori c’è una tribù che vuole le cose giuste al prezzo giusto e dalle persone giuste. Io li chiamo non-consumatori, cercano non-prodotti creati con amore, intelligenza e rispetto. Il luogo dove avviene l’incontro della domanda e dell’offerta etiche è il mercato morale” [...]» (Ilaria Bellantoni, ”L’Espresso” 21/10/2004).