6 marzo 2002
Tags : Rod Steiger
STEIGER Rod (Rodney Stephen Steiger). Nato a West Hampton (Stati Uniti) il 14 aprile 1925, morto a Los Angeles (Stati Uniti) il 9 luglio 2002
STEIGER Rod (Rodney Stephen Steiger). Nato a West Hampton (Stati Uniti) il 14 aprile 1925, morto a Los Angeles (Stati Uniti) il 9 luglio 2002. «Verrebbe da pensare: sarà ricordato come l´attore che ha interpretato il più grande numero di personaggi negativi della storia del cinema. Da che parte cominciare? Dal corrotto fratello maggiore di Marlon Brando in Fronte del porto (1954) di Elia Kazan, un ruolo che gli assicurò una prima candidatura all’Oscar? E che dire dell’amaro ritratto di L’uomo del banco dei pegni (1965) di Sidney Lumet, un sopravvissuto ai campi di concentramento che ha perso ogni illusione e ogni fede? Oppure del nevrotizzato Napoleone alla vigilia della sconfitta di Waterloo (1971), come lo vediamo nel film di Bondarciuk? E si potrebbe continuare: dal manager corrotto di Il colosso di argilla (1956) al gangster Al Capone (1959) al Mussolini sulla via del tramonto di Mussolini: ultimo atto (1974) di Carlo Lizzani. Di protagonisti odiosi nella sua lunga carriera, oltre cinquant’anni e una novantina di titoli, ne ha interpretati tanti, eppure a rimanere nella memoria degli spettatori alla fine dei giochi è la dolente, complessa umanità da lui impressa a ogni personaggio. La sua aggressività maschera sempre qualche debolezza, a volte addirittura una dolcezza più o meno segreta. Aveva avuto un’infanzia e un’adolescenza difficili: suo padre, un modesto attore del varietà, era sparito presto e si era ritrovato accanto a una madre alcolizzata da cui fuggì sedicenne per arruolarsi in Marina. Combattente nel Pacifico durante la seconda mondiale, al ritorno era entrato in un gruppo di recitazione amatoriale e gli era nata la passione, tanto che si era iscritto a varie scuole, prima di approdare all’Actor’s Studio, di cui divenne uno degli esponenti più prestigiosi. A volte è stato accusato di andare troppo sopra le righe, ma nessuno ha mai messo in discussione la sua enorme presenza scenica. Lavorò dapprima fra teatro e televisione e fu la sua interpretazione di Marty nell’originale tv di Paddy Chayefski ad aprirgli le porte del cinema, dove si affermò come attore di rara potenza espressiva. La verità è che portava nella finzione il sapore della propria infelicità, ed era questo a conferire fascino e persono simpatia ai personaggi peggiori. Infatti per il bellissimo Mani sulla città (1963), dove recita straordinariamente la parte di un imprenditore edile senza scrupoli, il regista Francesco Rosi fu accusato di averne fatto un tipo troppo carismatico. E basta pensare che l’Oscar gli arrivò per il poliziotto di La calda dell’Ispettore Tibbs (1967), che vediamo credibilmente trasformarsi da razzista bigotto in un uomo capace di rispetto. Con Rosi ha fatto anche un ruolo in Lucky Luciano (1974), mentre è da ascrivere a merito di Ermanno Olmi uno dei pochi ruoli positivi del nostro: l’ispirato narratore della vita di Giovanni XXIII in E venne un uomo (1965). Carattere turbolento, sposato quattro volte (una delle quali con Claire Bloom), facile a cadere in crisi depressive, ha sempre continuato a lavorare. E se negli ultimi anni doveva accontentarsi per lo più di brevi partecipazioni, la sua recitazione era diventata essenziale e si sentiva ogni volta il tocco del maestro in grado di sorprendere per la finezza e la sensibilità. Un esempio per tutti, il sublime cammeo del giudice in Pazzi in Alabama (1999) di Antonio Banderas» (Alessandra Levantesi, ”La Stampa” 10/7/2002). «C’è una foto dove, già anziano e calvo, adempie al tardivo rito di farsi immortalare nell’empireo del divismo con una stella cementata sul marciapiede dell’Hollywood Boulevard. Il fatto che è inginocchiato suscita un commento nel libro del suo biografo Tom Hutchinson: ”Questa è una delle rare occasioni in cui ho visto Rod mettersi in ginocchio”. Personaggio combattente, ha attraversato i 77 anni della sua vita tumultuosa senza mai arrendersi alle avversità, accettando tutte le sfide e ringhiando all’occasione. Sempre sopra le righe, sullo schermo e fuori, perfino troppo. Quando Ermanno Olmi volle farne il Mediatore della sua biografia di Giovanni XXIII, si sforzava di ottenere dall’attore la massima semplicità; e Steiger, invece, metteva nella parte tutta l’esplosiva concentrazione di un devoto allievo dell’Actors’ Studio. Con il risultato che il regista - dopo essersi accanito in moviola a tagliare tutto ciò che gli pareva in più nel debordante campionario espressivo del suo interprete - voleva farne una pizza e mandargliela perché ci riflettesse sopra. Penso che sarebbe stato capace di accogliere l’omaggio con una risata, perché era anche spiritoso, ma non avrebbe cambiato il registro. Il suo segreto stava infatti nel continuo azzardo della coloritura mimica e verbale, secondo la prassi di chi recitando non butta via niente e, anzi, amplifica e sottolinea. In questo modo strappò un grande successo con L’uomo del banco dei pegni (1965), impersonò un memorabile serial killer in Non si maltrattano così le signore (1968), ebbe il suo Oscar con il poliziotto razzista di La calda notte dell’ispettore Tibbs (1967) e fu un monumentale Napoleone in Waterloo (1971). Ma in controtendenza sapeva anche lavorare di fino, come fece agli ordini di Francesco Rosi in Mani sulla città, dove seppe dare al suo palazzinaro arrogante e corruttore una sfumatura di simpatia che aggiungendo credibilità al pamphlet non piacque ad alcuni critici di quella sinistra che allora vedeva il mondo diviso in buoni e cattivi. [...] Soprattutto in tempi più recenti, accettando personaggi che nei film tendevano a diventare sempre più collaterali, riuscì a dare la dimostrazione dell’assioma dell’amato Stanislavsky: ”Non esistono piccole parti, so lo piccoli attori”. Forse la sua alchimia sfiorò spesso il miracolo, perché, fedele seguace del Metodo, continuò a nutrire le sue figure di fantasia con il sangue delle ferite vere che gli aveva inferto la vita. [...] Era un uomo tempestoso ma vulnerabile. Scriveva poesie e teneva conferenze; e trovò perfino il tempo di rendersi utile in politica, insegnando al presidente Clinton qualche trucco attoriale per render più efficaci i suoi discorsi» (Tullio Kezich, ”Corriere della Sera” 10/7/2002).