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 2002  marzo 06 Mercoledì calendario

CAT STEVENS

(Steven Dimitri Georgiou) Londra (Gran Bretagna) 21 luglio 1948. Cantante. Autore di brani celebri come Moonshadow e Father and son. Fece scalpore la sua conversione alla fede musulmana negli anni ”70. Da allora si fa chiamare Yusuf Islam, anche se è di origine greco-cipriota e svedese. Ha fatto parlare la sua fede anche attraverso la musica: il suo primo disco dopo la conversione si intitola La vita del Profetà e nel 2003, dopo 25 anni di inattività sulla scena non religiosa, ha partecipato a un album di canzoni per la pace con Mc Cartney, David Bowie e altri scrivendo due brani inediti contro la guerra. «Ha voltato le spalle a un passato che, in circa dieci anni di carriera, lo ha portato a vendere qualcosa come 50 milioni di dischi, eppure l’amore per la musica è rimasto intatto. [...] Un tempo si chiamava Cat Stevens e le sue canzoni - da Moonshadow, a The first cut is the deepest a I can’t keep it in - erano sulla bocca di tutti. Oggi si chiama Yusuf Islam e con questo nome ha inciso anche alcuni dischi, però molto diversi dai precedenti. E comunque non è più una rockstar, bensì un impegnato promotore della cultura islamica, fondatore di quattro scuole musulmane. Con gli eccessi associati alla musica - nei quali, ammette lui stesso, era ”un grande esperto” - ha chiuso. [...] Ufficialmente Stevens si convertì nel 1977, ma ”la ricerca della verità”, per usare una sua frase, era cominciata tempo prima, più precisamente nel 1968, quando i problemi legati a tre pacchetti al giorno di sigarette iniziarono a farsi sentire. ”Avevo una tosse terribile. Un giorno, mentre ero al pianoforte, mi sono accorto che avevo tossito sangue. Ho capito che c’era qualcosa che non andava, mi sono recato dal medico e mi è stato detto che avevo la tubercolosi e che, se non mi facevo curare, mi rimanevano circa due settimane di vita”. Ci volle un anno prima che Stevens tornasse pienamente in salute; dalla convalescenza il cantautore emerse con brani a sufficienza per tre album e, soprattutto, con molte letture spirituali alle spalle. In particolare lo aveva colpito The secret path, Il sentiero segreto, scritto dal mistico inglese Paul Brunton. ”C’è un punto in cui Brunton scrive: ”Non sarai mai soddisfatto finché non avrai raggiunto la verità’. Mi ricordo che pensai che sarebbe stato meglio se non avessi mai letto quelle parole. Perché da quel momento in poi non sono più riuscito a stare fermo: non volevo lasciare questo mondo senza trovare un posto di pace, dove niente avrebbe potuto turbarmi, neanche la morte”. C’è riuscito? ”Ci sono giorni in cui mi sento ancora sotto sopra, altri in cui, invece, mi sembra di aver trovato ciò che cercavo”» (Paola De Carolis, ”Corriere della Sera” 20/10/2003). «’Credo che il mio pensiero sulla musica abbia attraversato momenti diversi. Dal punto di vista islamico, ci sono opinioni discrepanti al riguardo. Così, all´inizio, mi sono mosso con molta cautela, voltando le spalle a tutto ciò che avevo fatto fino in quel momento. Lo so, tagliando i ponti con il passato ho distrutto una carriera. Ho voluto approfondire i miei studi teologici per capire fino in fondo quale fosse la posizione più equilibrata e corretta da prendere riguardo alla musica. E recentemente [...] sono arrivato alla conclusione che esiste una via di mezzo, un punto di vista più equilibrato. Ora dico, prendi gli elementi positivi di quel che la musica rappresenta: per alcuni sarà l´armonia, per altri la felicità che può generare, per altri ancora la spiritualità o la religiosità insite nel suo messaggio. La musica è un linguaggio di umanità, un linguaggio universale [...] Per una generazione, o almeno per una parte di essa, ero una specie di filosofo, un caso quasi unico nello show business [...] Amavo la musica appassionatamente e quello era il mio linguaggio, la mia vita”. [...] stava nuotando nel Pacifico, in California. Si allontanò troppo dalla riva, le forze gli vennero meno, stava affogando. ”Dio, aiutami, e io lavorerò per te”, gridò. E un´onda gigantesca portò in salvo un altro uomo, Yusuf Islam» (Giuseppe Videtti, ”la Repubblica” 11/5/2004).