Varie, 6 marzo 2002
STORARO
STORARO Vittorio Roma 24 giugno 1940. Direttore della fotografia tra i più grandi, tre volte premio Oscar (Apocalypse Now di Coppola, Reds di Warren Beatty, L’ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci) • «’Credo che ognuno di noi dia una parte della propria vita quando tenta di scrivere con la luce la storia di un film; proprio come fa l’autore musicale con le note, lo sceneggiatore con le parole”. [….] Un pensiero artistico che si alimenta di molteplici riferimenti pittorici […] Pellizza da Volpedo per Novecento, Francis Bacon per Ultimo tango a Parigi o Magritte per Il conformista. […] (spiega che) la Luce non è una sola, sono tante. Una gamma infinita ”che non è soltanto il ”giorno’ e la ”notte’ indicati nelle sceneggiature. La luce naturale e quella artificiale, l’ombra e la penombra, l’alba e il tramonto, il sole e la luna. E ognuna racconta una storia, esprime un concetto o un’emozione, scava nell’inconscio”. […] (Apocalypse Now) ”il mio primo impegno all’estero, dove mi ero sempre rifiutato di andare (mi avevano offerto Il grande Gatsby, tra gli altri). Coppola mi disse ”leggi Cuore di tenebra’: in Conrad ho trovato la chiave per tradurre in conflitto visivo un conflitto interiore, etico e di civiltà. Ma non sarei arrivato a questo risultato senza il cammino precedente”» (Paolo D’Agostini, ”la Repubblica” 16/12/2001) • A proposito di Apocalypse now: «Il cuore della tenebra non appartiene né allo sconosciuto né alla giungla, ma alla civiltà da dove proviene. Quando l’ho capito ho deciso di accettare la proposta di Francis Ford Coppola. La guerra del Vietnam mi sembrava lontana, non mi sentivo coinvolto. Temevo, poi, che un film del genere, da girare quasi completamente in esterni, non mi avrebbe permesso quelle sfumature alle quali ero abituato lavorando in Italia, in particolar modo con Bernardo Bertolucci, così legato all’inconscio, agli interni, alla cultura. […] C’era una grande organizzazione: era pronta anche una camera operatoria. Preparavamo il set dalle dieci del mattino alle sette di sera, poi andavamo a cena, e alle otto eravamo pronti, Enrico Metelli saliva sull’elicottero per girare in infrarosso – era pericolosissimo -, si sparava il parashutflere, un paracadute luminoso, e da quel momento nessuno poteva più intervenire trranne gli effetti speciali per far brillare gli esplosivi. Era veramente un’apocalisse, ma nessuno si è mai ferito […] Sovrapponendo le fonti energetiche naturali a quelle artificiali sono riuscito a rappresentare visivamente l’idea fondamentale del film. Quando abbiamo iniziato a girare, per esempio, chiedevo sempre agli effetti speciali dei fumoni colorati, quelli per le segnalazioni per gli eleicotteri. Io li usavo come una violazione naturale del colore della giungla. Usavo gli archi voltaici per mostrare la violenza perpetrata dalla luce artificiale nella notte. Utilizzavo le esplosioni delle bombe per evidenziare il contrasto tra il colore del napalm e una piantagione di cocco. Usavo le esplosioni per illuminare. Anche perché all’epoca avevo appena finito Novecento e ritenevo più che sufficiente il quantitativo di materiale che avevo portato con me. Fu un errore perché Apocalypse essendo in cinemascope richiedeva molta più luce, e per di più in un Paese così lontano non avrei avuto la possibilità di cambiare dei pezzi qualora ne avessi avuto bisogno. Allora pensai di andare fino in fondo al concetto delle luci artificiali in scena» (Goffredo De Pascale, ”diario” 23/11/2001) • «Dico spesso ai miei figli: guardate che un’idea non è mai quando la si ha, un’idea è quando si trova il momento giusto per proporla, si trovano le parole giuste per presentarla, si trova la forza giusta per farla accettare. E dopodiché ci vuole un’energia incredibile e la forza di volontà per poterla realizzare. Quando è completata, lì sì che si può chiamarla idea. […] Mi può capitare di svegliarmi alle quattro e un quarto del mattino, che è il momento in cui si sveglia il preconscio, perché improvvisamente ho un’intuizione che mi fa capire qualcosa che il giorno prima non avevo del tutto realizzato. E allora sento di volerla attuare a tutti i costi nel mio ambito professionale, perché se non riesco a farlo sto male fisicamente, mi vengono i crampi allo stomaco. […] Verso i 13-14 anni cominciai a fare pratica presso un laboratorio fotografico, nel pomeriggio, dopo la scuola. La mia famiglia, che era un po’ limitata nei mezzi, non mi avrebbe dato la possibilità di studiare fotografia in seguito, e quindi dovevo darmi da fare per mantenermi gli studi da solo. Ricordo che per me la fotografia era mistero, la parola non capivo neanche bene cosa fosse. In questo studio fotografico dove lavoravo come aiutante cominciai a fare le prime bellissime cose per penetrare il mistero, iniziando per esempio a lavare le bacinelle dello sviluppo stampa […] Mio padre era proiezionista della Lux Film e certamente sognava, immaginava! Avrebbe voluto realizzare lui le immagini che proiettava. Ha dato a me questa spinta e io, realizzando il mio sogno, ho realizzato anche il suo […] Una figura che ha significato molto per me è quella di Albert Einstein, che ritengo sia stato un grande poeta prima di essere un grande fisico. Poi, sul piano umano, Gesù Cristo, un grande leader. Anche Buddah, Mozart e Caravaggio […] Il cinema dà una grande possibilità. La possibilità, progetto per progetto, di documentarsi, di ricercare, di conoscere una certa storia. Fare L’ultimo imperatore ha voluto dire per me entrare improvvisamente nella cultura cinese e studiare i Ming, fare Il conformista mi ha dato la possibilità di capire il cinema o la pittura negli anni Trenta, fare Dick Tracy mi ha fatto conoscere il mondo del fumetto e dell’espressionismo tedesco che l’ha ispirato […] La mia famiglia mi ha spinto in tutti i modi ad essere un cameramen televisivo col posto fisso» (Lucilla Colonna, ”Oltre” marzo 1999).