varie, 6 marzo 2002
STORTI
STORTI Giovanni Milano 20 febbraio 1957. Attore, appartenente al trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo con Aldo Baglio e Giacomo Poretti • «Sono come Bob Dylan, che ha bisogno degli amici per riuscire a ricordare. Dev’essere stato il trauma che ho subito alle elementari. I miei dicevano che ero un bambino gioviale, pieno di virtù, con tantissima energia. Ma questo fino alla terza elementare, fino all’infanzia rovinata. Perché, dopo tre brave insegnanti, in quarta e quinta ho avuto due maestri terrificanti: si chiamavano D’Amico e Aquila. Quelli me li ricordo, ancora adesso, loro sì, e ancora adesso li odio. Non era mica una scuola quella, era un regime, un lager: spesso di mattina avevo la febbre, perché proprio non ci volevo andare. Da allora addio serenità, e sono diventato un bambino molto chiuso. Però, a pensarci bene, ce li ho due bei momenti, prima del lager. Uno è il primo bacio. Si chiamava Emanuela, era bionda con gli occhi azzurri. Eravamo due bambini in vacanza in montagna, d’estate. L’altro momento è la fuga dall’oratorio. C’era un bel glicine, cresciuto di fianco al muro: ricordo che con un mio amico, avremo avuto sette o otto anni, ci arrampicammo fino in cima, scendemmo dall’altra parte e ce ne andammo a spasso per Milano. Quando ci trovarono il prete si limitò a sgridarci, ma i miei mi legnarono per bene […] Ero uno studente abbastanza bravo, ma di una timidezza patologica. Oratorio a parte, in quegli anni mi rivedo tante volte da solo mentre gioco in casa. Con il fortino, gli indiani e i cowboy. Recitavo? Beh, sì. Sceneggiavo? Beh, sì. Però di quegli anni ricordo più le estati che gli inverni. C’erano i fossi puliti, allora, e noi andavamo a Ticinello, che poi era un canale vicino a Lacchiarella, a sud di Milano. Per fare il bagno, dopo viaggi spaventosi in bici. […] Gli anni dell’adolescenza per me sono stati un po’ buttati nel cesso. Ecco, se devo avere un rimpianto ce l’ho per quegli anni lì, la prima metà dei Settanta. Mi sono iscritto a perito aziendale, corrispondente in lingue estere […] Erano gli anni dei subbugli e dei gruppi di studio, e facevo qualsiasi cosa meno che studiare. Avevo in classe i leader di tutti i gruppetti e i movimenti: la politica si respirava e anche la violenza. Ma a me la violenza ha sempre fatto paura, sono sempre sto un pacifista. Perciò sono rimasto ai margini […] Aldo e io ci siamo conosciuti all’oratorio. Ormai avevamo diciannove, vent’anni, l’età in cui ti vuoi svezzare e non sai bene cosa fare. Eravamo entrati in confidenza e un giorno ci siamo detti: ”Proviamo a icriverci a teatro” […] Ma dire che ci fosse questo grande richiamo artistico, proprio no. Allora Aldo era il mio migliore amico. Forse ci siamo trovati per una questione di carattere, di compatibilità. Io avevo delle qualità, lui ne aveva altre. Di Aldo, che allora lavorava alla Sip, mi piaceva il fatto che fosse indipendente, e poi apprezzavo il suo istinto un po’ selvaggio. Lui era quello che volevo essere e che non ero. Com’ero io? Come adesso: cinico e ironico […] Fisicamente c’eravamo, tanto che più tardi ho anche insegnato Acrobatica alla Civica scuola d’arte drammatica Paolo Grassi. I miei trascorsi con lo spettacolo? A dieci anni suonavo la tromba. Nessuna tradizione in famiglia, però i miei genitori erano entusiasti e anche a me piaceva. L’ho abbandonata presto, ma se non altro mi è servita per non finire assaltatore sotto la naja o entrare nella banda di una caserma a Torino. Altri precedenti? All’oratorio ero nel gruppo di teatro, il bellissimo teatrino dell’oratorio di Porta Romana, dove t’insegnavano, prima ancora che a recitare, a tener presente che i vecchi chiodi, quelli già usati, non si buttano mai via, ma si raddrizzano. Che è una grande lezione […] Ci vede Arturo Conso, il direttore artistico del Derby di Milano, e ci chiama a fare un provino. Avevamo un repertorio di appena venti minuti, ma quel primo spettacolo tutto nostro andò bene. Anche perché la gente rideva in un modo diverso rispetto al numero successivo, quando entrava in scena un cabarettista classico […] Nei posti normali, nei locali dove la gente veniva per vedere lo spettacolo, eravamo apprezzati. E se non piacevi non è che stavano a fischiarti. Ma in altri… Non avevamo mica un agente, allora, e prendevamo tutte le offerte di lavoro che venivano. A volte era una sofferenza […] Le discoteche non avevano un angolo riparato dove farti recitare: la gente, che era lì per ballare, del nostro spettacolo se ne fregava. A volte ti andava bene, altre no. A Calcinaia di Pisa c’era un posto famoso perché a tutti i cabarettisti tiravano le monetine addosso, un po’ come ai Blues Brothers nel saloon country: ma lì, a me e ad Aldo andò bene; una gran bella soddisfazione […] Certi posti avevano una fama… Uno si chiamava Ghiffa, era dalle parti di Novara. Sapevi che come cominciavi, quelli prendevano a gridare, però le serate dovevi farle […] Il trio vero e proprio nasce con Su la testa, il programma di Paolino Rossi, nel 1992. Anche se fino al 1994, fino al primo Mai dire… gol, per noi resteranno sempre anni di gavetta […] stata la tv a darci la popolarità. Ma da allora, basta tv, siamo scappati […] Siamo molto criticoni con noi stessi. Certe sere a teatro ci si arrabbia di brutto. Magari lo spettacolo è andato bene, il pubblico è rimasto soddisfatto, ma non sa cosa succede in automobile tra noi tre di ritorno dalla serata: ognuno rinfaccia all’altro qualche errore e si fanno le pagelle» (La prima vera storia di Aldo, Giovanni & Giacomo, raccontata a Cesare Fiumi, Mondadori 2001).