Varie, 6 marzo 2002
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SZCZERBIAK Wally Madrid (Spagna) 5 marzo 1977. Giocatore di basket. «[...] è figlio del grande attaccante del Real Madrid degli anni Settanta
SZCZERBIAK Wally Madrid (Spagna) 5 marzo 1977. Giocatore di basket. «[...] è figlio del grande attaccante del Real Madrid degli anni Settanta. Walter: bastava il nome a definire il pericolo. Bastava il nome perché il cognome, che tradiva origini polacche, era un groviglio di consonanti che scoraggiava la lettura. Quelle poche lettere davano invece vita a una parola armonica e musicale, scritta sul retro della maglia: era un totem, Walter, da 30 punti a partita; l’Italia lo applaudì a Udine, nell’epilogo della carriera. Wally non ha fatto come papà: sulla canotta ha riportato il cognome ’impossibile’ e i tifosi sono costretti a un corso di fonetica per pronunciarlo correttamente ( Zer-bee-ack è la dizione corretta). In compenso, si è omologato a lui per quanto riguarda il numero di maglia: ’Nei Timberwolves ho scelto il 10 per una dedica speciale a mio padre’, spiegava. Il suo numero preferito era il 32 (’quello che fu pure di Magic Johnson’) ma all’università, la Miami in Ohio, è successo che gliel’hanno ritirato in suo onore. Così, Wally ha cambiato. Ma chi è Szczerbiak jr? Innanzitutto è un ragazzo che, involontariamente, ha fatto un torto alla sua seconda patria. Il Real mise infatti gli occhi sul giovanotto e già immaginava di avere a disposizione, oltretutto come comunitario (il padre, naturalizzato spagnolo, è ’ambasciatore’ negli Usa del basket iberico), il clone degli anni 2000 del formidabile Walter. Wally pareva un giocatore normale, adatto solo al basket europeo. Affermazione incauta e smentita dalla seconda annata universitaria. Altro che Real, Szczerbiak si preparava a diventare un prospetto sicuro nel campionato più forte del mondo. Eppure, la sua storia di cestista non si era sviluppata sul velluto. Ricorda Wally: ’Non ho avuto altri ’eroi’ al di fuori di papà: non ho mai chiesto l’autografo a nessuno, bastava lui, che era stato un protagonista nella Aba, la lega assorbita dalla Nba negli anni Settanta. Avrebbe meritato una ribalta diversa e più importante, io sono qui anche per ’vendicarlo’. Devo a lui se sono diventato un realizzatore preciso. Quando ho cominciato, avevo un tiro orribile. Papà mi ha spiegato con pazienza la meccanica della conclusione: sì, è stato il mio primo allenatore’. Già positivo nella stagione del debutto, nonostante la tendenza ad ingrassare (ora pesa 111 chili, per 201 centimetri di altezza), Szczerbiak II è cresciuto esponenzialmente nell’annata corrente: dopo 36 partite, è il secondo realizzatore dei Timberwolves, battuto solo da Garnett. Gli Stati Uniti, che guardano ai talenti bianchi come un cercatore d’oro può scrutare le pietre di una miniera, hanno già fatto un chiaro investimento su di lui. Non lo ha capito solo Wally, ma anche i colleghi di colore, che lo detestano. Lo accusano di essere il ’cocco’ dell’allenatore, Flip Saunders, gli rinfacciano di giocare con prosopopea e di sentirsi, senza peraltro averlo mai dichiarato, il nuovo Larry Bird. Suo padre era terribile: quando segnava, non mancava di urlare ’bingo’ o di sibilare ’too late’ (troppo tardi) in faccia al marcatore battuto. Non si sa se le due frasi appartengano pure al repertorio di Wally, ma di sicuro il giovane Szczerbiak è già passato agli annali per una furiosa baruffa in allenamento proprio con Garnett: sono arrivati pure alle mani e se Wally parla di ’normale tensione che ci può essere in ogni gruppo’, la verità forse è che i due non si vedono di buon occhio. Quel carattere un po’ così e la scarsa affinità con i giocatori di colore non freneranno però Wally sui binari di una carriera già per lui in discesa e munifica: i Minnesota hanno appena esercitato l’opzione per la stagione 2002-2003 e gli garantiranno 2,3 milioni di dollari, riservandosi pure il diritto di pareggiare future offerte di altri club quando il ragazzo diventerà ’restricted free agent’. Wally commenta così: ’Io non bado a certe cose: quanto guadagno me lo sono sudato fino in fondo, lavorando duro in palestra. Un tempo mi prendevano in giro perché passavo male e difendevo poco. Ora credo abbiano cambiato idea’. Quando lo accolse nella sua scuderia, l’agente Gary Wichard disse che ’dal momento che tutti volevano scovare il Jordan del futuro’, lui aveva trovato qualcosa di nuovo e di differente. Era Wally, appunto, e per ’differente’ Wichard intendeva che il ragazzo non era di colore. Il mito dell’uomo bianco è duro a cadere, nella Nba. Ma forse nel caso di Szczerbiak junior, che già ha saggiato la maglia del Dream Team ai Goodwill Games e al torneo delle Americhe e che quasi sicuramente sarà una stella dei Mondiali 2002 a Indianapolis, si tratta di un passaggio inevitabile” (Flavio Vanetti, ”Corriere della Sera” 14/1/2002).