6 marzo 2002
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Szeemann Harald
• . Nato a Berna (Svizzera) l’11 giugno 1933, morto a Lugano (Svizzera) il 18 febbraio 2005. Critico d’arte. «[...] un protagonista indiscusso del mondo dell´arte. Intellettuale anarchico che viaggia solitario nei musei del mondo, curatore indipendente, ”produttore di mostre”, o più semplicemente fine amante dell´arte: questi e altri sono i miti che hanno accompagnato l´avventura umana e professionale di Szeemann [...] dal 1981 curatore autonomo permanente della Kunsthaus di Zurigo, Szeemann è stato il simbolo di una critica indipendente, divenuta peraltro merce sempre più rara. Il suo nome rimarrà legato a manifestazioni artistiche tra le più prestigiose. Nel nostro Paese è soprattutto noto per aver diretto due edizioni della Biennale veneziana delle arti visive - nel ´99 con il lancio di artisti cinesi allora sconosciuti, e ancora nel 2001 - tentando di riportarla ai fasti degli anni Settanta, mentre è molto più recente, solo dell´ottobre 2004, la sua ultima direzione per un nuovo importante appuntamento: la Biennale di Siviglia. Harald Szeemann iniziò ad organizzare manifestazioni artistiche nel 1957 con Painters poets/Poets painters. Il suo curriculum, che offre una selezione di mostre individuali, collettive, tematiche ed altre, da allora conta un centinaio di manifestazioni tra cui quella di Giorgio Morandi (1965), Roy Lichtenstein (1968), Mario Merz (1985, 1987, 1990), Cy Twombly (1987), Richard Serra (1990), Georg Baselitz (1990, 1991), Joseph Beuys (1993-94), Bruce Nauman (1995); le mostre intitolate White on White (1966), Le Macchine Celibi (1975), Friends (1969), Happening and Fluxus (1970), Zeitlos (1988), LightSeed (1990); Documenta V nel 1972 e il primo Aperto alla Biennale di Venezia del 1980. Ha inoltre organizzato le mostre dei poeti Hugo Ball, Alfred Jarry, Victor Hugo e Charles Baudelaire. A chi gli chiedeva se la storia dell´arte la fanno gli artisti o i curatori, Szemann rispondeva: ”Secondo me la fanno gli storici. Gli artisti e i curatori devono preoccuparsi di quello che, in futuro, potrebbe essere riconosciuto come degno di appartenere alla storia. Ma in fondo anch´io mi considero uno storico: uno storico dell´intensità...”» (’la Repubblica” 19/2/2005). «”Nella mia vita ho curato moltissime mostre, ma se la prossima non è un’avventura, non mi interessa e mi rifiuto di farla”. In questa sua affermazione c’è la sintesi dello spirito che ha sempre informato l’attività di Harald Szeemann [...] è stato il più geniale teorico, promotore e curatore d’arte contemporanea a livello internazionale a partire dagli anni ’60. Dopo essere stato direttore della Kunsthalle di Berna, sua città natale, sceglie di diventare un critico e curatore indipendente, accettando di volta in volta incarichi del massimo prestigio solo nella misura in cui gli consentivano di realizzare con la massima libertà e apertura i suoi progetti espositivi. Lui stesso si era definito ”produttore” o ”regista” di mostre, per sottolineare la dimensione creativa del suo lavoro. In effetti, Szeemann attraverso la straordinaria serie di mostre allestite, ha dimostrato che il ruolo del curatore, nel senso più alto del termine, può essere un contributo indispensabile (non solo sul piano organizzativo e di legittimazione culturale ma anche su quello dell’invenzione estetica), alla costruzione delle coordinate fondamentali che determinano il senso e la direzione di marcia della produzione artistica innovativa. Ed è riuscito a far questo mettendo insieme in modo sinergico tre componenti. Una vasta e approfondita conoscenza culturale filosofica, letteraria, scientifica, politica, oltre che nel campo specifico della storia dell’arte. Una inesauribile curiosità per tutte le nuove forme di ricerca artistica, sviluppata attraverso un rapporto diretto e costante con gli artisti, anche dei paesi più lontani, e attraverso continui viaggi di esplorazione. E infine, una straordinaria capacità di coordinamento e organizzazione, unita a un pragmatico senso strategico all’interno del sistema dell’arte (relazioni con musei, galleristi, collezionisti), senza mai dover subire condizionamenti eccessivi. Szeemann si afferma in modo decisivo come critico militante (per adoperare una definizione dell’epoca) nel 1969, curando alla Kunsthalle di Berna la grande e rivoluzionaria mostra, When Attitudes Become Form, che per la prima volta riuniva insieme le più vitali e innovative tendenze americane e europee emerse dopo la Pop Art: Process Art, Land Art, Arte Povera, Conceptual Art, Performance Art. Di questa mostra, che invadeva anche gli spazi esterni al museo che ha cambiato radicalmente la logica degli allestimenti, così aveva scritto Germano Celant: ”L’insieme dei lavori fa esplodere completamente la tradizione espositiva: cumuli di terra si assommano a cartelli e fotografie, i materiali come fuoco, pietra, fango, piombo e vetri vengono esposti casualmente come opere d’arte...”. L’idea di mostre con una concezione aperta, vitale, in progress, in dinamica interazione con i contesti ambientali e architettonici, è quella alla base di tutte le successive realizzazioni. Nel 1972 è direttore unico della Documenta 5 di Kassel, che viene radicalmente rivoluzionata. L’evento espositivo viene articolato in cento giorni, e gli artisti non sono solo invitati a presentare delle opere e delle installazioni, ma anche delle performances. Dopo l’esperienza di Documenta, Szeeman decide di realizzare un museo immaginario, il ”Museo delle Ossessioni”. La più nota delle manifestazioni temporanee di questo ”museo” è la famosa mostra dedicata alle ”Macchine Celibi” (con tutta una serie di opere autoreferenziali e con forti valenze simboliche, come il Grande Vetro di Duchamp), che viene presentata anche a Venezia nel 1975. Qui alla Biennale del 1980 è il curatore, e anche l’inventore, della sezione ”Aperto”, dedicata alle nuove tendenze emergenti. E’ qui che inizia il successo travolgente a livello internazionale della Transavanguardia, e dei neoespressionisti tedeschi. Nel 1981 viene nominato curatore indipendente della Kunsthaus di Zurigo. Tra i suoi meriti maggiori c’è anche quello del rilancio in grandissimo stile della Biennale di Venezia, che rischiava di perdere definitivamente il suo prestigio dopo anni di crisi e polemiche. A Venezia è direttore dell’edizione del 1999, che si sviluppa in modo inedito e spettacolare anche negli spazi dell’Arsenale, e che abolisce, in buona parte, le divisioni nazionali, in un allestimento totalizzante intitolato ”AperTutto”. Viene anche riconfermato direttore dell’edizione successiva del 2001, che con il titolo di ”Platea dell’Umanità”, mette in scena le nuove prospettive globali dell’arte» (’La Stampa” 19/2/2005). « un uomo molto alto, asciutto, con una barba lunga da profeta, occhi azzurri intensi, fuma una sigaretta dopo l’altra [...]. Parla, gesticolando, un italiano impeccabile con uno strano accento svizzero, che mantiene in tutte le altre lingue. poliglotta per origini di famiglia: ”Mio nonno era ungherese, mia nonna boema, mio padre è stato educato a Londra poi ha sposato una svizzera, io sono nato nel ’33 a Berna [...] Ho fatto di tutto: grafico, decoratore, scrittore, pittore, attore, ho fatto un teatro da solo, poi sono tornato a Berna. Fare mostre è diventato un modo di esprimermi. Posso dire di essere il veterano dei curatori di mostre d’arte contemporanea. Nel ’60 ero il curatore del Museo di arte moderna di Berna, ho allestito mostre che oggi si possono considerare dei classici. Sono sempre stato un ribelle, dal ’69 in poi non ho più voluto avere cariche ufficiali” [...]» (Alain Elkann, ”La Stampa” 19/8/2001).