Varie, 6 marzo 2002
TABUCCHI
TABUCCHI Antonio Pisa 23 settembre 1943. Scrittore. Insegna Letteratura all’Università di Siena. Traduttore e studioso di Pessoa, esordì nel 1975 con Piazza d’Italia. Ultimo suo testo di narrativa: Tristano muore . Una vita (Feltrinelli, 2004). Nella sua produzione si ricordano: Notturno indiano (Sellerio), premio Médicis étranger, Piccoli equivoci senza importanza, Requiem (Feltrinelli) e il romanzo cui deve la fama internazionale: Sostiene Pereira, vincitore del Campiello e del Jean Monnet per la Letteratura Europea (nel 1995 Roberto Faenza ne trasse un film con Marcello Mastroianni) • «[...] uno dei pochi scrittori italiani capaci di restituirci la felicità di essere lettori e per questa ragione ogni suo nuovo libro diventa un evento. O quasi. [...]» (Curzio Maltese, ”la Repubblica” 4/4/2006). «Nella prima fase della sua vita, volendo fare di sé un capolavoro, ha fatto un’imitzione, quella di Fernando Pessoa. Nella seconda fase, invece, ha invertito i ruoli scoprendo sì il gioco dell’imitazione, ma con se stesso nella parte del capolavoro e Pessoa in quella di un pallido clone. Desidera ardentemente che qualcuno bruci i suoi libri. Brama, come Eva bramava la mela, di essere sbattuto in una sordida galera da un golpista y caudillo y dictator y aguzino y fascista y razista y reacionario, un dictator vestito del blanco con il monocolo nero e lo scudiscio nigro, uno con la faccia da revisionista come Antonio Banderas. Ma non crediate lo faccia per antifascismo. solo un sadomaso. Sogna tutte le notti Sergio Romano con il gatto a nove code. E poi, non si chiama Antonio, si chiama Giangiacinto» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 31/10/1998). «Sostiene Tabucchi d’essere un occhio che guarda da lontano il suo paese e che ciò che vede non gli piace. Lo sguardo presbite dello scrittore inquadra decadenza, menzogna, scarso livello morale, prosopopea sia negli uomini che governano sia in quelli che aspirano a governare. Un’Italia che preoccupa e inquieta, per la quale l’unico antidoto potrebbe essere la caparbietà della gente comune pronta a rivendicare la forza della mitezza, troppo spesso scambiata per sottomissione, e a vivere con schiena dritta nel quotidiano. Sforzandosi, senza iattanza, di contribuire a cambiarlo tenendo a mente che ”la democrazia non è qualcosa di fisso, ma di mobile. Spetta a noi lottare per essa altrimenti si rinsecchisce”. [...] ”Il mio libro d’esordio è del ”75 e s’intitola Piazze d’Italia: una ”controstoria’ dall’Unità alla Seconda Guerra mondiale attraverso la vita d’una famiglia di socialisti libertari. una deformazione giornalistica affermare che io mi sia ”ideologizzato’ [...]”. Dice Guglielmi: ”Dopo un inizio fulminante nei suoi libri ha fatto irruzione una pericolosa ideologia del narrare chiudendo gli spazi al gioco letterario”. [...] ”[...] No, io non ho avuto un innamoramento senile e improvviso per certi temi sociali, diritti umani, eccetera eccetera. Questo impegno è, in realtà, un filo che attraversa tutta la mia produzione letteraria. Penso anche a Piccoli equivoci senza importanza del 1985: mostra i due volti dell’Italia di quegli anni con i protagonisti - un imputato per banda armata e il giudice che presiede la Corte - che sono stati compagni d’università. E c’è, poi, un terzo personaggio che scrive il racconto in prima persona. Anch’egli era stato studente con loro: guardando come la vita abbia portato le persone su versanti completamente opposti, in quel momento scruta anche se stesso”. il concetto ricorrente della ”missione” dello scrittore e del compito della letteratura: istillare dubbi; allarmare, se è il caso. ”Secondo me le certezze le dispensano soprattutto i politici e i teologi, che ne sono pieni. E credo che se anche la letteratura si mettesse a lanciare messaggi, diciamo forti, per convincere i cittadini, si ridurrebbe a sola propaganda. A me piace che pensare alla letteratura come campo di riflessione e di indagine nel quale il lettore possa, appunto, coltivare il dubbio”. Ma qual è per lei il senso della scrittura? ”Pensiamo alla vita: un serie di avvenimenti che accadono nel tempo, molte volte in maniera del tutto casuale, non collegata per logica ai fatti. Diciamo che, di per sè, l’esistenza ”è’ e basta. Ha bisogno d’essere interpretata, raccontata per poter prendere una forma intelleggibile. Altrimenti è un pollo in gelatina. Beh, la letteratura è per eccellenza la scrittura: ci fa comprendere che quanto accade non sono avvenimenti isolati, palloncini che scoppiano all’improvviso, funghi che escono dalla terra spontaneamente. Si tratta, al contrario, di una rete. O, se vogliamo, del rovescio d’un tappeto attraverso i cui nodi riusciamo a capire la figura che c’è sul lato opposto [...]”» (’La Stampa” 27/11/2005).