Varie, 6 marzo 2002
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Tadini Emilio
• Milano 5 giugno 1927, Milano 24 settembre 2002. Pittore e scrittore. Dopo la laurea in lettere, esordisce nel 1947 sul “Politecnico” con un poemetto. Seguiranno poi una serie di scritti critici e teorici sull’arte: Possibilità di relazione (1960), Alternative attuali (1962), L’organicità del reale pubblicato sul “Verri”. Nel 1963 esce il suo primo romanzo L’armi, l’amore (Rizzoli). Seguono due romanzi: L’opera (Einaudi, 1980), La lunga notte (Rizzoli, 1983). Poi il libro di poesia L’insieme delle cose (Garzanti, 1992), il volume au ciel vague (Pagine d’Arte, 1992) e ancora un romanzo: La tempesta (Einaudi, 1993). A partire dagli anni Cinquanta affianca al lavoro critico e letterario, quello della pittura: la sua prima esposizione è del 1961 alla Galleria del Cavallino di Venezia. Nel 1978 e nel 1982 viene invitato alla Biennale di Venezia, nel 1986 tiene una grande esposizione alla Rotonda di via Besana a Milano dove espone una serie di tele che preannunciano i successivi cicli dei “Profughi” e quello dedicato alle “Città italiane”. Del 1992 è la mostra “Oltremare”. A partire dall’autunno 1995 all’estate 1996 tiene una grande mostra antologica in Germania nei musei di Stralsund, Bochum e Darmstadt. Nel settembre 2001, Milano gli ha dedicato un’ampia retrospettiva a Palazzo Reale. È stato a lungo collaboratore del “Corriere della Sera”. «Raccontava che quando era giovane ed era forse più interessato a Carducci, su cui si era laureato, che a Matisse, gli artisti che lo avevano più impressionato erano stati De Chirico e Picasso. “Il primo per la capacità di rifondare una sorta di mitologia nel quotidiano più basso e il secondo per una specie di furia intorno alla figura”. Poi, con il passare degli anni, i suoi interessi si erano andati sempre più allargando, fino a fare di lui probabilmente l’artista più completo del panorama italiano. […] Come pittore aveva esordito nel 1961 al Cavallino di Venezia, spinto dal mercante talent- scout Carlo Cardazzo. Il suo percorso pittorico era stato ricostruito l’anno scorso in una mostra antologica a Palazzo Reale di Milano. Si apriva con una storica collettiva del 1965 da Marconi a Milano, dove esponeva a fianco di Del Pezzo, Schifano, Bay e Adami (che per alcuni anni, insieme con Antonio Recalcati, aveva formato con Tadini un sodalizio pittorico). La mostra proseguiva poi con i cicli “Vita di Voltaire”, i “Paesaggi di Malevic”, “Color&Company”, il “Museo dell’uomo”, le Città italiane, Oltremare, il Ballo dei filosofi. Fino alle recentissime fiabe. […] “Certo - amava precisare -, nella mia pittura ci sono elementi che vengono anche dai libri che leggo. Per far partire un quadro, per metterlo in azione concorrono tutta una serie di fattori che possono anche essere un ricordo letterario. Ma poi la pittura prende il sopravvento e a volte cancella le intenzioni iniziali. Quando parlo di pittura, alludo al suo aspetto materiale: alludo proprio ai vasetti di colore”. Vasetti ai quali dedicò uno dei cicli iniziali del suo lavoro, intitolato “Color& Company”. Perché l’artista, come già si è detto, amava procedere per temi che, pur diventando spesso meri pretesti pittorici, avevano un loro preciso sviluppo logico e figurativo. Temi che a volte venivano da altre pitture e da altre culture, come le maschere e gli idoli dell’Africa nera, filtrati anche attraverso Brancusi e Picasso, ma anche da stimoli ideologici o addirittura dalla cronaca, come i cicli intitolati “profughi e città” dove una metafora si trasformava in buona pittura. Pur arrabbiandosi se lo si accusava di intellettualismo, rivendicava il diritto del pittore alla cultura. “Il mito del pittore cretinotto e mattoide è una balla inventata in periodo tardo romantico. Il pittore è un intellettuale a pieno diritto. E non conosco autentici artisti che non abbiamo una precisa coscienza critica nei confronti del loro lavoro. Basta leggere le lettere di Van Gogh, che sarà magari stato pazzo, ma si poneva problemi specifici e articolati”» (Mario Perazzi, “Corriere della Sera” 25/9/2002).