Varie, 7 marzo 2002
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Tergat Paul
• Baringo (Kenya) 17 giugno 1969. Maratoneta. Cinque titoli mondiali di corsa campestre dal 1995 al 1999: (anche il connazionale Ngugi c’era riuscito, ma non consecutivamente), quattro i secondi posti (oltre a un terzo) ottenuti sui 10.000 nelle grandi manifestazioni, dietro all’etiope Gebrselassie (Olimpiadi ”96 e 2000, Mondiali ”97 e ”99), 3 i secondi posti nelle prime tre maratone della carriera (Londra 2001, Chicago 2001, Londra 2002), poi è stato quarto a Chicago 2002 e Londra 2003, due i titoli mondiali conquistati nella mezza maratona, nel ”99 e il 2000 (sulla distanza è rimasto imbattuto dal – 95 al 2000), sei le vittorie di fila alla Stramilano, dove nel ”96 chiuse in 58’51’’, miglior prestazione mondiale poi annullata perché il percorso era più corto di 49 metri (’La Gazzetta dello Sport” 29/9/2003) • «Tanti, tantissimi connazionali arrivano, realizzano imprese, vincono medaglie pesanti e poi, inesorabilmente, spariscono. Per i meno attenti sono nomi senza volto, personaggi non riconoscibili. Tra i molti Koech e i troppi Korir è facile far confusione. Con lui no: Tergat domina da oltre dieci anni e anche se contro Haile Gebrselassie ha perso 21 delle 24 volte in cui si sono incontrati, al pari dell’etiope è l’uomo che ha segnato un’era dalla corsa prolungata. [...] I suoi segreti sono semplici. Dall’alto di un talento fuori dal comune, Paul – che seguito dalla famiglia Rosa ha fatto dell’Italia una seconda Patria – s’è sempre gestito al meglio. Rare gare, ma mirate. Pochi obiettivi, ma prestigiosi. Dalla sua anche una mentalità vincente e una personalità spiccata: moglie e tre figli, a Ngong, località a 15 chilometri da Nairobi, vivono un’esistenza agiata perché Paul non sperpera e anzi, nel tempo, ha avviato attività parallele a quella sportiva che lo hanno portato a gestire un import-export di auto e un distributore di benzina» (Andrea Buongiovanni, ”La Gazzetta dello Sport” 30/12/2004) • «Il momento più difficile della vita di Paul Tergat non è stata la sconfitta di Sydney sui 10mila a opera di Gebreselassie per un distacco inferiore a quello con cui Greene vinse i 100 metri, ma a Berlino, il 28 settembre 2003, quando doveva infilare la Porta di Brandeburgo, mentre la sua cadenza era già al di sotto al preesistente record della maratona di Khannouchi. ”Non sapevo dove andare, non vedevo la striscia per terra, le moto si stavano infilando tra le colonne. Mi sono sentito perso, ho buttato cinque-sei secondi, poi finalmente ho trovato la via”. Quell’esitazione permise a Korir di arrivargli a 1’’, mentre lui chiudeva in 2h 04’55", primo uomo sotto i 2h05’, primo keniano a battere il record della maratona. La sua è una storia tipica dell’altopiano, anche se Paul ammette che scuola andava scalzo (’fino a dieci anni”) ma non correndo, in fondo distava solo tre miglia. ”Ma non sempre era facile arrivare a scuola con lo stomaco vuoto perché non hai mangiato”. La famiglia di Tergat non era particolarmente povera, almeno per gli standard keniani: ma il padre aveva comunque tre mogli e diciassette figli, ovvio che lo stipendio soffrisse. ”Non ho mai mangiato in un fast food” dice ora con ironia. Poi arrivò l’aiuto del World Food Program, che distribuisce pasti ai bambini poveri del mondo. ”Paul è un nostro testimonial naturale” dicono al WFP, che l’hanno nominato ambasciatore con una solenne cerimonia al Coni. Loro gli hanno dato da mangiare e lui s’è preso il record del mondo. Una storia talmente bella da sembrare inventata. Tergat è un atleta dal talento smisurato che ha conosciuto bene la sconfitta. Dal ”95 al ”99 fu cinque volte campione del mondo di cross, ma su pista, nei suoi 10mila, non ha vinto niente, secondo dietro Gebre ad Atlanta ”96, ad Atene ”97, a Siviglia ”99, a Sydney 2000. ”E ogni volta non avevo rimpianti, avevo dato tutto, non avevo più energie. Ero in pace con me stesso”. I due sono ora accomunati dagli stessi sentimenti premurosi verso le proprie genti, per i quali sono dei semidei. ”Ma sono sempre di più gli atleti che portano benessere al proprio popolo. Il loro successo distribuisce denaro nelle famiglie, crea posti di lavoro, dà una spinta anche importante alle economie nazionali”. Tergat è attirato dagli affari, ha infinite attività compresa la proprietà di una rivista di atletica. Si tiene lontano dalla politica, della quale diffida. ”Anche perché in Africa chi va al potere perde subito di vista i bisogni della gente”. Vincere quel giorno a Sydney costò caro all’etiope che cominciò a declinare mentre Tergat decideva di passare alla maratona e lo precedeva in quella di Londra 2002. ”Ma io non ho mai sentito che fosse una rivincita”. E’ stato un alunno lento anche sulla distanza più lunga: al sesto tentativo quella di Berlino è stata la sua prima vittoria. ”Ma ogni maratona è una gara unica. E’ la madre delle corse. Da vivere sempre nel dolore, una corsa che ti cambia la faccia. Per me è stato difficile anche imparare a bere. Devi afferrare la bottiglia portarla alla bocca, deglutire, e tutto mentre devi andare forte”. Berlino è stata una corsa bizzarra, con cinque lepri, con una seconda parte corsa più veloce della prima, in 1h01’ 52’’. E possibile correre le due metà con questo tempo? ”E’ molto difficile, credo che lì siamo ai limiti dell’umano, almeno per ora. Io, quando ho tagliato il traguardo, sentivo di essere arrivato al mio di limite. Potevo migliorare solo quei pochi secondi persi alla Porta”. [...] L’obiettivo della vita è la maratona di Atene, dove cerca l’apoteosi, e dove chiuderà la sua carriera con la nazionale keniana, all’interno della quale non ha avuto sempre rapporti tranquilli con i dirigenti. [...]» (Corrado Sannucci, ”la Repubblica” 22/1/2004).