Varie, 7 marzo 2002
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Terzani Tiziano
• Firenze 14 settembre 1938, Orsigna (Pistoia) 28 luglio 2004. Giornalista. Laureato in giurisprudenza nel 1962, dopo le prime esperienze giornalistiche al ”Giorno”, nel 1971 diventa corrispondente dall’Asia per ”Der Spiegel”. Collabora con il ”Corriere della Sera”. Tra i suoi libri: Pelle di leopardo (1973); Buonanotte, Signor Lenin (1992); Un indovino mi disse (1995); In Asia (1998). Tutti editi da Longanesi • «Quella autentica, preziosa naturalezza che affiora dai suoi scritti, l’ha spesso praticata (a volte con modi bruschi) nella quotidianità, al punto da dare alla provocazione, di antico sapore toscano, un valore estetico e morale. [...] Con varie borse di studio si era laureato alla Normale di Pisa; era stato un rappresentante e poi un dirigente dell’Olivetti; che aveva abbandonato per frequentare, con un’altra borsa di studio, un’università americana; dove aveva seguito corsi di storia e lingua cinese. Il suo traguardo era la Cina, che allora si apriva di rado ai giornalisti stranieri. Il suo sogno era di diventare corrispondente a Pechino. Nell’attesa saltava da Saigon a Phnom Penh, la prima insidiata dai viet cong, la seconda dai khmer rossi. [...] Aveva altre qualità, oltre la prestanza fisica rilevata dalle donne. Assimilava le lingue con straordinaria facilità. [...] Era anche un po’ sfacciato. Sfrontato. Oltre che curioso e scrupoloso. [...] Detestava il giornalismo impressionista, tipicamente italiano; e forse per questo il giornalismo italiano l’ha trascurato a lungo. Non va a suo onore. Anzi, è una vergogna, che i quotidiani italiani gli abbiano dedicato il dovuto riguardo soltanto quando i suoi libri ebbero successo, anche nel resto del mondo. A Singapore Tiziano collaborava con vari giornali, senza avere un contratto. Aveva rinunciato a quello con il quotidiano ”Il giorno” che lo costringeva a una lavoro redazionale a Milano, ed era partito per l’Estremo Oriente senza garanzie. All’avventura. Angela l’aveva seguito, con i due figli, senza batter ciglio. Non conosco un solo giornalista italiano che abbia osato tanto. A offrirgli un contratto fu il settimanale amburghese ”Der Spiegel”. Per il quale Tiziano è poi stato corrispondente in Asia, con base a Hong Kong, a Pechino, a Tokio, a Bangkok e infine a Nuova Delhi. Trent’anni di Asia. [...] non è mai stato un semplice voyeur, quale è spesso un giornalista. Uno che, rapinate alcune immagini, si allontana da un avvenimento con il bottino sotto il braccio, e poi riversa succosi racconti sui lettori. [...] si è immerso nelle situazioni che ha descritto. Le ideologie lo infastidivano. La sua cultura restava nel sottofondo. Irrompeva raramente nelle corrispondenze o nei libri. Non l’esibiva. Non sventolava mai il suo eccellente percorso universitario. Si atteneva alla realtà. Spesso cruda. La seguiva con rara passione. Quando i nordvietnamiti e i viet cong conquistarono Saigon, nell’aprile ”75, lui non se ne andò: rimase per mesi in Vietnam, senza poter scrivere una sola riga, al fine di vedere la natura del regime comunista che si installava. E dall’esperienza ha poi tratto [...] uno dei suoi libri migliori. Il suo giudizio fu positivo, indulgente, nei confronti dei vincitori. Ma quando in seguito esplose la tragedia dei boat people ed emerse la natura del regime, [...] fece l’autocritica. Non esitò a correggere i giudizi che aveva espresso. E cosi fu uno dei primi a rivelare la strage compiuta dai khmer rossi in Cambogia. Lo stesso accadde in Cina, quando si immerse nella burocratica realtà comunista, favorito anche dalla conoscenza della lingua, e vide cadere, come birilli, una dopo l’altra le sue illusioni. La Cina che aveva amato da lontano e che sperava di scoprire si rivelò ai suoi occhi una società che demoliva uomini, tradizioni e monumenti. Né fu sedotto dal Giappone, allora del miracolo ininterrotto, del quale cercò nelle pieghe più profonde le vecchie e antiche tracce. Così accadde in Thailandia e in Corea. E quando l’URSS cominciò a scricchiolare, [...] attraversò l’Ussuri e visitò tutte le repubbliche sovietiche asiatiche, dal Ghirghistan alla Cecenia, e ne descrisse l’agonia. Il suo Buona notte signor Lenin resta una testimonianza preziosa. Nei trent’anni che vi ha passato, ha assistito alla metamorfosi dell’Asia. Di guerra in guerra, di rivoluzione in rivoluzione ha visto svanire uno dopo l’altro le immagini che avevano acceso la sua curiosità. L’India è stato l’ultimo approdo. Ma anche li ha finito col rifugiarsi sull’Himalaya. Dalla quale poteva contemplare, senza vederlo, lo scempio del mondo» (Bernardo Valli, ”la Repubblica” 30/7/2004). «Aveva un alto concetto del sé ed anche un’alta consapevolezza del proprio io e perfino della sua fisica e rappresentativa apparenza. [...] Si era cacciato in mezzo alle guerre e alle guerriglie, alle torture e alle stragi. Aveva raccontato le movenze della bestia umana ma anche la sua pietà verso le sofferenze altrui, il coraggio e la paura, il sangue e le preghiere. stato un grande inviato e poi anche un grande scrittore. Persino un grande attore che ha messo in scena la sua vita giocando più sull’assenza, sulla lentezza, sui movimenti armoniosi che contenevano e preparavano il balzo improvviso, il pensiero illuminante e il senso di quanto vedeva svolgersi attorno a lui, davanti ai suoi occhi di testimone. Talvolta sbagliò, come accade a tutti coloro che partecipano e spesso partecipando parteggiano. Sbagliò sul Vietnam, sbagliò sulla Cina della rivoluzione culturale. Così almeno confessò a se stesso e sulle pagine dei giornali per i quali lavorava quando si accorse che i fatti tradivano in qualche modo il senso che lui aveva creduto di cogliervi. Quando credette di aver sbagliato non si limitò a farne pubblica ammenda ma si mise all’onesta e caparbia ricerca di un altro senso da dare a quei fatti» (Eugenio Scalfari, ”la Repubblica” 30/7/2004). «Una delle voci più limpide e originali del nostro panorama letterario. Giornalista e scrittore, è autore di reportage e racconti apprezzati in tutto il mondo. I suoi libri sono diventati bestseller in molti Paesi. Da La porta proibita (1985) a Un indovino mi disse (1995, tutti e due Longanesi, poi Tea)» (’Corriere della Sera” 11/3/2004). «Sono arrivato in Cina nel 1979 ed ero considerato un ”amico” perché credevo nel maoismo. Ne sono stato espulso nell’84 perché non scrivevo quel che i cinesi volevano. Ma avevo visto le cose con i miei occhi, avevo visto la distruzione sistematica della tradizione per imporre un altro concetto di umanità. Lo trovavo inaccettabile. E lo scrivevo [...] Sono stato anche molto fortunato: nel ”56 volevo iscrivermi al Pci, perché mio padre era comunista. Ma ci fu l’invasione dell’Ungheria. Non mi piaceva e ci ho ripensato [...]» (Sandra Petrignani, ”Panorama” 13/8/1998).