Varie, 7 marzo 2002
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Teshigawara Saburo
• Tokyo (Giappone) 15 settembre 1953. Coreografo. Ha studiato scultura e balletto classico. Nel 1985 incontra Key Miyata e insieme a lei forma “Karas”, un progetto che attraverso creazioni originali lo fa conoscere in Europa. Da quel momento la sua carriera è stata un crescendo di successi e sue coreografie sono entrate nel repertorio di complessi di prestigio internazionale come il “Ballet Frankfurt” di William Forsythe, il ”Nederlands Dance Theatre” di Jiri Kylian, la compagnia di balletto dell’Opéra di Parigi. Opera anche nel campo della visual art, realizzando installazioni e video. «Artista poliedrico, interprete di performance sensazionali in cui viene seppellito per avvertire la pressione della terra o in cui cammina su cocci di vetro acuminati, […] rappresenta l’ultima frontiera della nuova danza nipponica» (“Corriere della Sera”, 1/12/2001) • «Rivelatosi alla fine degli anni Ottanta al Concorso Coreografico di Bagnolet - all’epoca trampolino di lancio per tutta la nouvelle danse francese e non solo - è diventato […] una delle stelle più brillanti della coreografia contemporanea, forse il “caso” più eclatante scoppiato in Europa, dopo quelli di William Forsythe e Pina Bausch. […] “Quando ho cominciato il mio lavoro, l’intento era quello di giungere a distillare una nuova forma di bellezza. E questo è ancora oggi il mio scopo. È molto importante. In realtà la bellezza in sé non ha una forma definitiva. Ma noi possiamo creare qualcosa, attraverso la danza, una forma, appunto, che ci restituisca in un modo nuovo il senso della bellezza. Ed è importante affascinare per prima cosa se stessi, per poter affascinare gli altri: è come un incontro speciale con una sensazione ‘pura’ che può essere rivelata […] L’armonia è una cosa molto importante per il corpo. Noi viviamo in questo mondo: ci sono l’aria, la forza di gravità, la nostra vita, l’amore. Ciascuna di queste cose ha già una sua forte armonia. Nella natura c’è armonia, nel corpo c’è armonia. Ma a volte qualcosa interviene a disturbare questa armonia e allora, attraverso la tecnica, si può costruire un’armonia diversa. […] noi tutti viviamo con un certo grado di libertà ma siamo circondati da limiti: fisici, sociali... Vivere in una stanza di forma quadrata è una forma di limitazione. In inverno lei dovrà mettere dei vestiti più pesanti. Per camminare userà un paio di scarpe. Per me la libertà è, dopo una lunga camminata, sedersi sul letto e togliersi le scarpe... […] Quello che mi interessa è creare un nuovo punto di vista, una ‘cornice’ diversa per osservare le cose. Sulla terra noi tutti viviamo soggetti a certe condizioni: la possibilità, e la capacità, di scegliere di modificare una o più di queste condizioni: questa per me è la libertà. Ed è molto interessante dal punto di vista artistico. In una forma d’arte questo significa ideare una nuova cornice e poi lavorare all’interno di quella cornice per produrre qualcosa di nuovo […] nonostante abbia io stesso dei convincimenti forti e profondi, riguardo alla danza, pure cerco sempre, almeno un po’, di dubitare di me stesso. Avere convincimenti troppo forti è un limite. Per un artista è sempre importante avere dei dubbi […] Quando creo un movimento con il corpo, per il corpo, cerco sempre di ottenere la massima freschezza. Come se non sapessi nulla prima di quel movimento. Come se potessi partire da zero. Come se fossi rinato quel giorno, quel mattino. Come se potessi vivere una nuova vita, quel giorno. Naturalmente io e i miei danzatori abbiamo già una solida tecnica alle spalle. Il mio scopo è riuscire a combinare quella freschezza con la nostra tecnica e ottenere qualcosa di valido, di interessante. Che contenga bellezza, fragilità e forza“ […]» (Donatella Bertozzi, “Il Messaggero” 27/3/2005).