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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

TETTAMANZI Dionigi

TETTAMANZI Dionigi Renate (Milano) 14 marzo 1934. Cardinale. Fu ordinato sacerdote dall’arcivescovo Giovanni Battista Montini nel ’57 e mandato al Seminario Lombardo per seguire i corsi alla Gregoriana. Insegnò teologia a Masnago e Seveso e per oltre vent’anni teologia morale nel seminario di Venegono Inferiore. L’11 settembre ’87 fu nominato rettore del Lombardo. Il 1° luglio 1989 venne eletto arcivescovo di Ancona-Osimo e fu ordinato dal cardinale Martini in Duomo; due anni dopo fu nominato segretario generale della Conferenza episcopale italiana. Nel ’95 la nomina ad arcivescovo di Genova e nel concistoro successivo - 21 febbraio 1998 - ricevette la porpora. Dal 2002 al 2011 arcivescovo di Milano • «Gli occhi del cardinale Tettamanzi brillano di luce quando stringe le mani della gente comune, “trasmette calore” dicono tutti, si avvicina e comunica affetto, speranza, attenzione, era così a Genova e succede a Milano, lui va sempre incontro a una storia, a un pianto o a un sorriso. Lo attendono a messa finita, dopo una visita, alla fine di un raduno, e questa disponibilità è paziente e infinita se incontra i giovani (“Da voi ci aspettiamo un passo avanti per una società meno arida e più umana”) , i malati (“Il mondo sembra un oceano di dolore ma quando il dolore sembra cancellare la speranza interviene la fede, dono di Dio, a ridarci forza e dignità”) , i disoccupati (“Un uomo non è più un uomo se perde il proprio lavoro”) o i detenuti (“Dovete credere nel riscatto senza cedere alla tentazione di lasciarvi morire”). Nella sua lunga missione, Dionigi Tettamanzi è un instancabile messaggero della Chiesa partecipata e i suoi discorsi segnano un percorso di apertura e rigore che il contatto con i fedeli amplifica e diffonde. [...] “estensore segreto dei documenti vaticani” teologo morale collaboratore di Papa Wojtyla in encicliche come la Evangelium vitae e la Veritatis splendor, predica il Vangelo anche con la semplicità dei gesti (“A me per primo capita di dimenticare un discorso, ma non una stretta di mano”). “Mi ricorda Papa Giovanni per la sua bontà e la grande forza trascinatrice”, dice Carlo Edoardo Valli, presidente degli industriali brianzoli. La terra conta, nella formazione del cardinale, perché la Brianza è etica del lavoro e senso del dovere, e Renate, dov’è nato, è ancora tutto questo, come quando Dionigi aveva undici anni ed entrò nel seminario di Seveso San Pietro. Il senso della famiglia, la fede della madre, il padre operaio, un fratello falegname, l’appartenenza a un luogo che si ritrova nella domenica a messa e nei fioretti di maggio, nel catechismo e nell’oratorio, non si perdono negli anni di studio che portano il futuro cardinale a laurearsi in teologia, a insegnare per anni fino a diventare rettore del Pontificio seminario lombardo e una delle voci più ascoltate dei cattolici sui temi della bioetica. Arcivescovo di Ancona, segretario della Cei, la Conferenza episcopale dei vescovi con Ruini presidente, poi la nomina a Genova, città difficile, in crisi con il suo passato, lacerata dalla battaglia con i camalli del vecchio porto. È un’investitura questa per Tettamanzi che rafforza il suo ruolo e amplifica la sua influenza in Vaticano. Ha fama di studioso e ghostwriter di encicliche, è guardato con diffidenza dalle correnti progressiste e moderniste della Chiesa, ma a Genova si cala nel sociale, predica un Vangelo che invita alla concretezza, si mostra attento alle questioni legate al lavoro. Entra con forza sui temi dell’immigrazione e predica l’accoglienza, l’integrazione, ma allunga lo sguardo anche sui fermenti no global: il movimento dei giovani che contestano i totem del capitalismo mondiale stimola alcune sue riflessioni. È la vigilia del G8, dei giorni neri per la città. Lui scrive su “Avvenire”: “Assisti amo a una contrapposizione netta fra capitale e lavoro. Nel bazar del villaggio globale a farne le spese sono non gli imprenditori ma le donne e gli uomini che lavorano”. Dice ancora: “Il profitto non è il valore assoluto dell’uomo”. È in linea con Papa Wojtyla, ma quando aggiunge che “il deficit politico deriva da una carenza etica in chi detiene il potere” qualcuno lo giudica un rivoluzionario. È gia considerato papabile quando si fa il suo nome per la diocesi di Milano. Non è poliglotta, dicono i maligni, ma l’approdo alla sede cardinalizia più importante d’Italia e forse del mondo, segnala che per Dionigi Tettamanzi in Vaticano l’apprezzamento è pieno. Nella geopolitica della Curia, c’è chi legge il passaggio come una tappa di avvicinamento a qualcosa di più importante. Ma Tettamanzi a Milano deve riempire il vuoto lasciato dai vent’anni di Carlo Maria Martini, un cardinale nella storia. Lui entra in punta di piedi. Si muove nella continuità. Poi il suo attivismo si manifesta. Apre le porte del Duomo, invita i milanesi “a viverlo di più”. Scrive agli operai dell’Alfa in crisi per sostenere “i valori e la dignità della persona umana”. Richiama la città, capitale economica, a una maggiore attenzione verso i poveri e gli emarginati. Scuote i politici: “La gente ha bisogno di testimonianze fatte di onestà, schiettezza e pulizia morale. La classe politica non è sempre all’altezza”. Richiama anche i suoi preti: “Andate nelle case degli islamici”. E sogna: “A partire dalle nuove generazioni, cristiani e musulmani che vivono nello stesso territorio devono sperimentare possibilità di incontro e dialogo, per smentire le voci che parlano di scontro di civiltà”. Il senso dell’accoglienza diventa il suo messaggio globale. Ma non trascura i piccoli segni. “I bambini non sanno più farsi il segno della croce”, scrive nella lettera alla diocesi. Predica il dialogo, è duro con gli eccessi. “Il Foglio”, dopo la sua requisitoria su Milano “troppo attenta ai muri e poco alle persone”, virgoletta: “È l’ultimo comunista”. Lui continua, nei richiami: “Certe messe sono troppo noiose”. Conservatore, innovatore o terzista? Un mediano tra Ruini e Martini dicono i bookmaker inglesi. Senza nemici, almeno per ora» (Giangiacomo Schiavi, “Corriere della Sera” 5/4/2005). «Un brianzolo mite e schietto nei rapporti personali, ha una buona preparazione culturale (per formazione è un teologo moralista, cultore di bioetica) e una vasta esperienza di governo ecclesiale: è stato arcivescovo di Ancona, segretario della Cei e arcivescovo di Genova. Ama il basso profilo. Non ha la forza e la libertà di parola del cardinale Martini. Ma non si tira indietro, quando deve affrontare questioni spinose: in cinque anni di segreteria della Cei, le sue conferenze stampa hanno sempre fatto notizia, senza che compisse mai un passo falso. È l’unico cardinale di casa nostra ad aver preso una posizione possibilista sull’uso del profilattico in funzione anti-Aids. Più volte ha invitato la Chiesa italiana a osservare un anno di “silenzio” nella produzione di documenti, per “concentrarsi nell’ascolto del Vangelo”. E con ciò siamo agli input evangelici che caratterizzano la sua predicazione. In occasione del Grande Giubileo ha indicato ai genovesi come “luogo giubilare” per l’acquisto dell’indulgenza, insieme ai santuari, anche un ospizio per vecchi, ai quali fare visita “quasi pellegrinando verso il Cristo presente in loro”. Al Sinodo sull’Europa del 1999 (quello stesso dove Martini parlò dei suoi “sogni” sul domani della comunità cattolica), invitò a “dare volto concreto a una Chiesa più snella, disposta a riformare le sue strutture e a vivere come seme e lievito nel mondo, perché risplenda sempre il primato del Vangelo”. In occasione del G8 di Genova ha fatto risuonare la sua corda evangelico-sociale, guadagnandosi una fama di amico dei “no global” del tutto abusiva. In quell’occasione disse meno del Papa, ma fu descritto come un contestatore radicale da chi aveva interesse ad alimentare una polemica tutta nostrana, dopo quei gravi incidenti di piazza. È considerato un papabile, si direbbe da tutti. Oltre alla posizione moderata - o moderatamente aperta - e al curriculum, lo favoriscono l’amabilità e il fatto di non avere nemici. È ricordato con affetto ovunque si è fermato, nei suoi tanti passaggi per uffici e città. L’approdo alla sede cardinalizia più importante d’Italia - e forse del mondo - segnala che l’apprezzamento per il personaggio è pieno anche presso il Papa e la sua Curia. Dopo un papato eroico, non italiano e di lunga durata, egli appare - al momento - come un candidato ideale per un papato italiano e di minore durata, che riprenda in mano il governo ordinario della Chiesa. Ma questo vale oggi e forse non varrà domani. E chissà se potrà mai valere per i cardinali non italiani. È verosimile che l’attuale Pontificato duri ancora qualche anno, poniamo due o più, e per allora Tettamanzi avrà superato i settant’anni e ci saranno almeno tre nuovi cardinali residenziali italiani: a Firenze, a Venezia e a Genova. Potrebbero sorgere dunque nuove costellazioni e opportunità che oggi non sapremmo immaginare» (Luigi Accattoli, “Corriere della Sera” 12/7/2002). «Aveva solo ventitré anni quando Giovanni Battista Montini, poi Paolo VI, lo ordinò prete. Giovane uomo di profonda cultura divenne professore di teologia morale nel seminario di Vengono Inferiore. Passò a Roma nel 1987 rettore del Pontificio seminario lombardo di piazza Santa Maria Maggiore. E da lì poco alla volta salì: arcivescovo di Ancona, segretario della Conferenza dei Vescovi, arcivescovo di Genova. Vicepresidente della Conferenza episcopale. Cardinale nel 1998. […] Il cardinale del quale si ricordano i rapporti con l’Opus Dei e con la Comunità di Sant’Egidio[…] Rigoroso, puntiglioso. Ma pure alla mano. Ansioso di ascoltare. E di controbattere. […] Di questo uomo è stato scritto che è “la figura emergente del Sacro Collegio Cardinalizio”. Che è l’Estensore segreto dei documenti vaticani. Di certo è un severo censore delle aperture in tema di matrimonio, di sessualità, di bioetica. Ma è pure, oltre che un teologo intransigente, un predicatore aperto ai temi sociali. È stato il primo cardinale della storia a entrare nella sede dei “camalli” genovesi, i lavoratori del porto» (Fabio Cavalera, “Corriere della Sera” 12/7/2002). «La parrocchia di Renate sta sempre lì, campi da calcio, basket, pallavolo, una quantità di ragazzini che tirano pedate al pallone reggendo ghiaccioli in equilibrio instabile, castagni, faggi e abeti sullo sfondo del Resegone. Non fosse per l’abbondanza di aziende, capannoni e bancomat, per la teoria di “villette otto locali doppi servissi” che inorridivano Carlo Emilio Gadda e flagellano la profonda Brianza tra Como e Lecco, il panorama sarebbe lo stesso di prima della guerra, quando don Pasquale Zanzi notò Dionigi Tettamanzi e il suo amico Tranquillo Colombo che rifiatavano su un muricciolo, se li prese in braccio e profetizzò: “Tranquillo, ti te sarèt un bel pret! Ti no, Dionigi, te se tropp furb !”. Don Pasquale non poteva immaginare che Tranquillo avrebbe fondato un’industria di maniglie e Dionigi sarebbe diventato cardinale e arcivescovo di Milano, ma fa lo stesso, del resto fu proprio lui a favorire la vocazione del ragazzo che a undici anni decise di entrare nel seminario di Seveso San Pietro. L’essenziale è vedere questo mondo piccolo, la gente che lo chiama ancora “Don Dionigi”, gli dà del tu e lo paragona a Papa Giovanni (“È come lui! Guardi che sorriso!”), il parroco di allora che nella chiesa è affrescato tra i ragazzi del suo oratorio e “teneva Dionigi come un figlio”, ricorda Mamma Giuditta. L’essenziale è questa signora minuta che ha novantun anni e la fede inattaccabile dei vecchi brianzoli: abita poco lontano, a Carugo, e quando Dionigi ha chiamato a casa, alle undici di ieri, Giuditta Tettamanzi non si è commossa, “piangere sarebbe come un’offesa al Signore, questa chiamata è un disegno di Dio, bisogna essere pronti all’obbedienza”. La figlia Giovanna abita con lei e sorride, “nostra madre gli ha trasmesso anche la fede, hanno un’intesa nella preghiera e mio fratello le è molto legato, lo dice sempre: io sono sicuro perché so che tu, mamma, preghi tutti i giorni per me”. Proprio martedì il cardinale Tettamanzi è tornato da loro e dal fratello Antonio che abita a Renate e fa il falegname con i due figli. Poi è andato a pregare sulle tombe del papà Egidio, operaio, e di don Pasquale. È difficile capire davvero le sue posizioni sulla famiglia, la morale, il lavoro, i poveri, l’attività pastorale instancabile, il pensiero del teologo che ha collaborato alla stesura di due encicliche, attento alla scienza e autore di un testo fondamentale come la “Nuova bioetica cristiana” mandata in rete (bioeticacristiana.it) con Bill Gates, è difficile comprendere tutto ciò senza partire da questo paesino di tremilaseicento anime, da questa zona di grande fede e lavoro. A Renate gli hanno dedicato un libro, Qui sono le mie radici: mamma Giuditta racconta che “da piccolo aveva già questo desiderio di essere prete, disegnava la pianeta, il piviale, tutto ciò che serviva per dire la Messa, costruiva i paramenti con la carta da giornale e li colorava con gli acquarelli, giocava a celebrare nella nostra corte...”. Antonio Merlo, 65 anni, compagno d’infanzia, ricorda le parole di don Pasquale, “Merlo, regordes, don Dionigi l’è piscinen ma el ga ul crapen !”, la testa fina. Così il parroco si rivolse al cardinale Colombo: “Io non ho potuto studiare, questo chierico deve farlo al mio posto”. E Dionigi fece strada, primo della classe senza spocchia: “Aveva una grandissima capacità di sintesi, faceva specchietti per i compagni, rendeva semplici anche argomenti difficili”. Don Pietro Denna ha 68 anni come il cardinale, sono entrati in seminario e hanno detto la prima messa insieme: “Suonava il pianoforte, cantava, recitava, si apriva a tutti”. Monsignor Antonio Riboldi, 82 anni, era suo insegnante: “Preciso, brillante, lavoratore, un tipo intelligente con il quale era bello avere un dialogo”. Che sia rimasto così lo dice pure un laico come il professor Umberto Veronesi: “Dialogare con lui è un piacere intellettuale perché è un uomo aperto, pragmatico, un profondo teologo che sa di scienza e capisce che non c’è antagonismo ma una collaborazione possibile: si può difendere le proprie posizioni e capire i problemi degli altri, tenere aperto il dialogo senza massimalismi”. Girolamo Sirchia, ministro della Salute, dice lo stesso: “Affronta le questioni bioetiche con rigore e una certa laicità, pacatezza, comprensione delle posizioni diverse: disposto ad ascoltare, oltre che a parlare”» (Gianguido Vecchi, “Corriere della Sera” 12/7/2002). «[...] Cresciuto all’ombra di Wojtyla come scrittore dei suoi discorsi su famiglia e bioetica, [...] ha messo la sordina a questi temi e si è prodotto in tirate contro la globalizzazione, le plutocrazie, le telecrazie. [...]» (Sandro Magister, “L’Espresso” 17/2/2005).