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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

Thoeni Gustavo

• Trafoi (Bolzano) 28 febbraio 1951. Ex sciatore • «Se la Valanga Azzurra fu la più grande squadra che lo sport italiano abbia mai avuto, Thoeni ne fu l’alfiere e il simbolo: l’illuminava di splendente ed assoluta classe. Con le sue imprese e quelle dei baldi compagni, lo sci alpino da pratica d’élite e un poco snob si trasformò in sport di massa: non solo per i numeri del turismo invernale ma anche per la straordinaria popolarità che raggiunse il culmine una luminosa mattina di marzo del 1975, quando tre fuoriclasse del calibro di Thoeni, del giovane Ingemar Stenmark e del formidabile discesista Franz Klammer si ritrovarono al cancelletto della partenza in Valgardena per la finalissima di Coppa del Mondo, tutti e tre a pari punti. La resa dei conti si consumò in uno spettacolare parallelo: il più straordinario mezzogiorno di fuoco che il Circo Bianco seppe mettere in scena. Vinse Thoeni, conquistò la sua quarta Coppa, ma fu determinante il gioco di squadra. L’Italia lo consacrò eroe nazionale. Gustav era un ragazzo di montagna come quelli di una volta: timido, silenzioso, taciturno. Divenne un’icona. Ora non lesina più le parole e il suo italiano non è più incerto, anzi, spesso lo arricchisce d’ironia. Smise di correre nel 1980. Senza mai lasciare lo sci. Ha allenato Tomba, è diventato il cittì della nazionale. Nessun rimpianto, dunque? [...] ”Quando correvo. Erano anni d’avventure, di scoperte per me. Potevo viaggiare, esplorare il mondo di cui avevo letto qualcosa nei libri di scuola. Oggi è normale che i giovani viaggino. Trent’anni fa uno che veniva da un paesino piccolo e sperduto come il mio, Trafoi, ai piedi dello Stelvio, non aveva queste possibilità. La città era lontana. Oggi i montanari assomigliano sempre di più ai cittadini, nel senso che hanno interessi che li accomunano, poi ci sono i computer, Internet, i telefonini, i soldi. [...] Da ragazzo, a scuola mi appassionava Napoleone, nello sport mi colpì moltissimo Cassius Clay, ma il cuore batteva per i mie due miti sciistici: JeanClaude Killy e Toni Sailer. Killy aveva fascino ed era bravissimo, forse il migliore. Di Sailer si sentiva parlare, ma vedere mai. Non c’erano le gare di sci in tv, e così mio padre mi procurò delle riviste austriache per farmi vedere il campione che aveva vinto tre ori ai Giochi di Cortina del ”56, e che tanto aveva colpito la mia immaginazione di bambino. [...] 1964 al Bondone, la mia prima vittoria importante, il Trofeo Topolino. il ricordo sportivo cui sono più affezionato. Dell’ultima gara, a Saalbach, non ho particolare memoria. Ne ho molta di più, e molto più amarezza, delle Olimpiadi di Lake Placid, nel 1980. Allora vigeva un particolare regolamento che favoriva i primi cinque della prima manche. Io arrivai per un pelo sesto. Mi demoralizzai e alla fine fui solo ottavo. Era venuto il momento di smettere”» (Leonardo Coen, ”la Repubblica” 28/2/2001). «Nasce a Trafoi, ai piedi dello Stelvio, teatro delle grandi imprese di Fausto Coppi. E dell’Airone, nella sua sciata essenziale e tremendamente efficace, ricorda la capacità di stracciare gli avversari senza dare l’impressione di strafare. Capacità che appartiene soltanto ai fuoriclasse. Come Gustavo Thoeni. Capitano della famosa Valanga Azzurra, vincitore di quattro Coppe del Mondo, campione mondiale e olimpico, numero uno del circo bianco per quasi tutti gli anni ”70. [...] ”Sono nato praticamente con gli sci ai piedi: i primi me li costruì mio nonno. Erano di legno e mi ricordo che ci giravo per casa. Avrò avuto tre anni, forse anche meno. Poi sono cresciuto, ovviamente in simbiosi con sci. Trafoi era un paese piccolissimo, immerso nelle montagne. L’unico svago, da ragazzi, era sciare. Andavamo in gruppo, senza maestro o allenatore, inventavamo nuovi percorsi: era un modo come un altro per scoprire l’ambiente che ci circondava e diventare grandi. A 14 anni, ho cominciato a fare sul serio. Mio padre mi accompagnava in giro per il Nord Italia, a disputare decine di gare. La svolta venne quando vinsi il Trofeo Topolino. Può sembrare un nome curioso eppure era una delle competizioni più difficili e rinomate. Lì capii che potevo fare il grande salto. Sarà banale dirlo, ma da piccolo io ho sempre sognato di vincere la Coppa del Mondo di sci. E poi quando i miei desideri si sono realizzati ho provato soddisfazioni impagabili. [...] l’impresa che ricordo con più emozione è stata, paradossalmente, il secondo posto nella discesa libera di Kitzbühel, in Austria. Sulla mitica Streif arrivai a soli tre millesimi da Franz Klammer, il più forte discesista di tutti i tempi. E non dimentichiamoci che Klammer, in quella stagione, aveva vinto tutte le libere in calendario eccetto quella di Megève dove gli si ruppe un attacco. Ma io ero in forma spettacolare: nel 1975 dominai in combinata, una delle mie specialità preferite, vincendo in tutte le gare, ovvero su Lauberhorn, Hahnenkamm e Kandahar. [...] Non ho mai avuto paura con gli sci ai piedi. Sarà anche perché, fortunatamente, non sono mai incorso in gravi cadute. Ero un tipo prudente, almeno quando non conoscevo la pista. Poi, una volta presa confidenza col tracciato, mi scatenavo. E per scendere il più veloce possibile ho spesso messo da parte le emozioni che mi dava la competizione e il paesaggio circostante. [...]» (Cheo Condina, ”il manifesto” 4/2/2005).