Varie, 7 marzo 2002
Tags : Lilian Thuram
THURAM Lilian Pointe-à-Pitre (Guadalupa-Francia) 1 gennaio 1972. Ex calciatore. Con la Francia fu campione del Mondo nel 1998 (suoi i due gol decisivi nella semifinale contro la Croazia) e d’Europa nel 2000, vicecampione del mondo nel 2006
THURAM Lilian Pointe-à-Pitre (Guadalupa-Francia) 1 gennaio 1972. Ex calciatore. Con la Francia fu campione del Mondo nel 1998 (suoi i due gol decisivi nella semifinale contro la Croazia) e d’Europa nel 2000, vicecampione del mondo nel 2006. Con il Parma vinse nel 1998/1999 coppa Italia e coppa Uefa, nel 1999 la supercoppa italiana. Passato alla Juventus, vinse quattro scudetti (2001/2002, 2002/2003, 2004/2005, 2005/2006, gli ultimi due revocati) e perse una finale di Champions League (2002/2003). Ha chiuso la carriera nel Barcellona. 7° nella classifica del Pallone d’Oro 1998, 25° nel 1997, nomination anche nel 1999, 2001, 2003, 2005, 2006 • «[...] Detto Thu-Thu, quando andava sulla fascia destra come un trenino. Ma soprattutto Thu-ram pre-si-dent!, che resta tutt’ora uno degli slogan più belli del calcio mondiale (e sì che in Francia avevano già coniato un capolavoro afro-cubano come Pla-ti-ni Ti-ga-nà). Erano i tempi della Coppa del Mondo ”98, della squadra black-blanc-beur. ”Bisognerà vincere ogni giorno un mondiale per accettare la Francia così com’è?”, disse allora Thuram. Adesso che le banlieues bruciano, i Bleus sono un simbolo per nessuno. Ma non sarà meglio così che dare una soddisfazione a quel bel tomo di Sarkozy? L’intervento di Thuram prima dell’amichevole Francia-Costarica cos’ha da invidiare alla pila dei tanti editoriali pantofolai usciti sui giornali? Dice Thuram: ”Forse Sarkozy non sa quello che dice. Io sono cresciuto in banlieue [...] Anche a me davano della feccia. Ma non lo ero. Volevo solo lavorare [...] Ora sembra che conti solo la sicurezza. Certo, chi non vuole vivere sicuro? Il problema è che bisogna trovare dei colpevoli, ed ecco la gente delle banlieues [...] Prima di parlare di insicurezza bisogna parlare di giustizia sociale”. E aggiunge: ”Spesso i ragazzi hanno come idoli dei giocatori di calcio, e va bene, Ma ci vorrebbero anche altri idoli”. Già. In Albania (!), dopo il Mondiale ”98, due famiglie cambiarono nome ai propri figlioletti: li chiamarono Thuram. Thuram fu l’eroe dell’8 luglio 1998, giorno della semifinale contro la Croazia. Al 45esimo del primo tempo Davor Suker menò un fendente proprio dalle sue parti e la Francia andò sotto di un gol. ”Non è possibile - pensò il terzino destro - sono 26 anni che aspetto questo momento! E allora sono andato”. Un minuto dopo rubò palla a Boban al limite dell’area avversaria, triangolò con Djorkaeff e incrociò in rete un tiro impossibile. Si ripetè al 70esimo. Raccolse una palla di Henry che sembrava perduta, beffò il terzino sinistro Jarni sulla linea di fondo e si avviò in area battendo per la seconda volta il portiere. ”Cos’hai fatto? Cos’hai fatto?”, continuava a chiedergli il suo compagno Desailly. Tutt’ora Thuram non sa spiegare quello che gli è successo in quei venticinque minuti. Non aveva mai segnato in nazionale. In quella esibizione di lucidissima trance non sfuggì a nessuno che gli avvelenatissimi nazionalisti croati furono beffati e sconfitti di fronte al loro impresentabile presidente Tudjman, quella sera in tribuna. E che talvolta è giusto che il calcio (si) faccia politica. Mai il contrario. Poi, è facile sbeffeggiare uno come Thuram quando parla delle sue banlieues. Dicono i suoi critici: prende un sacco di soldi, faccia il suo lavoro, che altro vuole? Lo dicono sempre di tutti i calciatori (ma anche dei comici o dei cantanti) che dicono qualcosa. [...] Nato a Anse Bernard in Guadalupa, Lilian Thuram arrivò a 9 anni a Parigi con la sua famiglia: una madre e 5 tra fratelli e sorelle nati da 3 padri diversi. Visse in banlieue a Bois Colombiers (Parigi) e alla Citè Hlm Le Fougiers (Fontainebleu). Da piccolo era centravanti nelle interminabili sfide in strada tra Francia-Brasile, e giocava sempre col Brasile. A un certo punto voleva fare il prete, e invece lo misero a fare il difensore. A vent’anni toccò il cielo con un dito quando finì al Monaco, superando una malformazione congenita al ginocchio che rischiava di non farlo più giocare. Da lì andò al Parma di Tanzi. E non passò inosservato, anche perché leggeva libri e portava occhialini ”da intellettuale”. Fichissimi. Chiamò il suo primo figlio Marcus, come Garvey (ma, confessò di aver avuto la tentazione di Malcolm). Per tutto il 1999 portò sotto la maglia del Parma una t-shirt che festeggiava i 150 anni dalla fine della schiavitù in Guadalupa. E diceva cose come: ”Per un ragazzo delle Antille o dell’Africa è tempo di conoscere la propria storia, e di esserne fiero”. Oppure: ”Lo sapete che il semaforo è stato inventato da un nero americano?”. Nè traslasciava il ”caso” italiano: ”Del Piero? diventato un armadio”. Erano i tempi delle accuse di Zeman alla Juve dopata. Anche le curve (racaille?) si accorsero di lui. Con la curva laziale, specialmente, intavolò una battaglia epica. Fu il figlio di Cragnotti a chiedere di farlo venire alla Lazio scudettata (e bianca), per svelenire il clima e provare a far tacere i buu razzisti. Thuram rispose: ”Un giocatore nero deve pensarci due volte prima di andare alla Lazio”. Gli Irriducibili andarono a Parma in delegazione per fargli cambiare idea: dissero che i buu non erano razzisti, ma soltanto sfottò (più o meno la pensava così Daniela Fini, all’epoca). Lui non ci credette nemmeno un po’. Ebbe persino una telefonata di Veltroni, che provò a difendere il buon nome della città, e il risultato fu che Thuram passò alla Juve per 35 milioni di euro [...]» (Alberto Piccinini, ”il manifesto” 17/11/2005). «Un gigante, un singolare impasto di classe, vigore ed eleganza. Si afferma nel Monaco, nel 1996 si trasferisce al Parma, con il quale si aggiudica Coppa Uefa, Coppa Italia e Supercoppa dei Lega. Nell’estate del 2001, eccolo approdare alla Juventus, valutato ottanta miliardi di lire. Thuram gioca indifferentemente al centro della difesa, la posizione più gradita, e sulla fascia destra: ed è proprio qui che Marcello Lippi lo colloca abitualmente. Il suo ingaggio coincide con la ”rifondazione” della squadra orfana di Zinedine Zidane. Con Lilian, sono arrivati Gianluigi Buffon (da Parma, anche lui) e Pavel Nedved. [...] Naturalmente, Lilian è anche cliente fisso della Nazionale francese. Nel 1998, si laurea campione del Mondo a Parigi; nel 2000, campione d’Europa a Rotterdam contro l’Italia di Dino Zoff. Pochi gol, ma buoni. Su tutti, la doppietta alla Croazia nella semifinale mondiale ”98: la Francia stava perdendo 1-0» (’La Stampa” 8/12/2003). «Approdò in Europa a nove anni dalla natia Guadalupa, da ragazzo giocava nel Fontainebleau come laterale destro di centrocampo. Solo dopo un lungo infortunio nelle giovanili del Monaco venne stabilmente schierato al centro della difesa […] Ha la naturale armonia di corsa degli atleti di colore: non per niente praticava la corsa prima di darsi al calcio. Puntuale anche se non bruciante lo scatto nel breve […] Morbido e resistente nelle incursioni offensive, da mezzofondista veloce [..] Tocco morbido da centrocampista o addirittura rifinitore […] il classico difensore che non butta mai via la palla […] Raramente perde un duello aereo […] la forza muscolare esplosiva gli consente di ripartire con l’azione offensiva in tempo brevissimo con scatto bruciante e poderosa falcata che ne rendono problematico l’inseguimento per l’avversario superato […] Levatura superiore anche sul piano del carattere, fa della lealtà una bandiera […] Impossibile provocarlo, rare le proteste […] Concentrazione non sempre ferrea, che ne mina episodicamente il rendimento […] volendo potrebbe incidere di più in fase offensiva» (Carlo F. Chiesa, ”Goals” marzo 2001).