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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

TOMBA

TOMBA Alberto Bologna 19 dicembre 1966. Ex sciatore alpino. Dal 1986 ha cominciato a gareggiare regolarmente in Coppa del mondo, ma l’esplosione risale al 1987, quando conquistò il bronzo in slalom ai Mondiali di Crans Montana, lo stesso posto nel quale, nel 1998, concluse la carriera vincendo in slalom. In Coppa del mondo ha vinto 50 gare: 15 gigante, 35 in slalom. Lui sostiene che sono 51, calcolando uno slalom parallelo che la Federazione internazionale ha però considerato come gara a squadre. Ha conquistato una Coppa del mondo assoluta (1995), quattro di slalom e quattro di gigante. Cinque le medaglie d’oro olimpiche: tre d’oro (due nel 1988, una nel 1992), due d’argento (1992 e 1994). Due volte iridato (1996), ai Mondiali ha vinto anche due bronzi (1987 e 1997) • «Quando si affacciò al cancelletto di partenza dei vent’anni era il campione rampante, l’ultima spremuta di anni Ottanta: ”All’inizio saltavo sempre: di giorno le porte degli slalom, di notte le finestre degli alberghi”. All’inizio era soprattutto il verbo, che l’atleta non sempre coniugava col soggetto: spesso inforcava la frase, quando mancavano solo due parole alla fine. Ma quel Tomba aveva una grande arma: l’autoironia. Era il primo a riderci su. Sempre. Tanto che capitava che il nuovo campione ridesse anche quando non si capiva cosa ci fosse da ridere, prigioniero di uno strano cocktail di sicurezza e infantilismo. Allora si divertiva a giocare col suo noma: ”Tomba vince perché... bara e seppellisce tutti”. [...] Dicevano i maligni: ”Alberto è come i carabinieri delle barzellette”. In effetti Alberto Tomba era carabiniere, fin dalla sua prima medaglia mondiale, anno ”87, governo Craxi. E carabiniere è rimasto, strano miliardario stipendiato dagli italiani, finché la situazione non è precipitata tra il ”95 e il ”96, quando precipitarono prima di tutto le sue mutande - in un servizio senza veli che imbarazzò l’arma - e, in seguito, la sua coppa, finita in testa al fotografo che di quel servizio era l’autore. Quando poi le mutande ricomparvero fu anche peggio: griffate da un marchio austriaco, furono esibite da Tomba in certe foto pubblicitarie. Sicché l’Arma alla fine lo disarmò, congedandolo - anche se ufficialmente fu ”divorzio consensuale” - con il grado di maresciallo. Ora, questa parabola della divisa - Tomba in alta uniforme nella parata sulla Quinta Strada a New York e Tomba che tira fuori il tesserino per giustificare un eccesso di velocità alla polizia della Florida, ”sono un graduato come voi” - è un po’ il succo della sua storia, partita da una famiglia di provincia e alla famiglia ritornata: l’esemplare storia di un italiano medio, roba da Alberto Sordi, storia di grandi glorie e piccole meschinità. Tomba nazionalpopolare più del Festival di Sanremo, precipitato della cultura di massa del Paese, anche per via della sua favola da emigrante di lusso al contrario: Tomba padano, montano per forza, per sforzo, quando lo sci italiano parlava solo tedesco e lui, Pasta Kid, bolognese grande e grosso, veniva tenuto ai margini della comitiva. Un tecnico gli disse che dall’Appennino non poteva venire nulla di buono, dimenticando un tale Zeno Colò; un compagno di squadra dal cognome pieno di consonanti gli appioppò il nome di Scipione l’Africano, che era un modo per dire ”terrone” a uno sciatore di pianura. Ma Tomba incassò tutte le vincite e le rivincite e anche un posto nell’immaginario collettivo, tra successi olimpici e amorosi, tra le medaglie d’oro e la Colombari [...] Tomba in fondo è stato un eroe pop. Ha sempre declamato a voce alta gli stessi sogni di quelli che l’hanno sognato, tifato, invidiato [...] forse perché il suo triangolo di virellone in Bermuda è sempre stato Ferrari, discoteca e gnocca [...]» (Cesare Fiumi, ”Sette” n. 5/1998). «Un famoso editorialista del ”New York Times” ad Atlanta, durante l’Olimpiade, scrisse che l’Italia è rappresentata in modo esemplare nel mondo da questo trinomio: Pavarotti, Sofia Loren e Tomba, la bomba [...] ”Il problema è che mi hanno costruito addosso un certo tipo di personaggio, e quello mi tiro avanti ormai senza più speranza di far sapere in giro che il vero Tomba è un po’ diverso [...] Non firmo un autografo su mille e sono il solito montato. Esco una sera a cena e si siede vicino a me una ragazza che magari vuole un po’ di pubblicità e sono il solito donnaiolo” [...] una fidanzata ingombrante, Martina Colombari, poi molte storie da rotocalco [...] ”Se mio padre non mi avesse messo gli sci ai piedi, penso che avrei fatto qualcosa di spericolato. Il motocross mi attirava parecchio, magari provavo con le automobili. Gli sport di squadra non fanno per me, io sono individualista: se posso dire di avere un sogno irrealizzato, credo che sia quello di non essere stato un campione dei tuffi. Io mi sento un po’ acrobata” [...]» (Riccardo Romani, ”Sette” n. 14/1997). «Difficile scegliere un’emozione [...] tra le tante che ci ha trasmesso l’Alberto nazionale. [...] Il gigante in Alta Badia del ”94, quello che rimase famoso non soltanto per le magiche evoluzioni di Tomba, ma anche per la sua esultanza spontanea, sul parterre, in compagnia di Yukon, il suo husky siberiano amico per la pelle. [...] ”Era una pista che conoscevo bene. Ero tranquillo, rilassato. Era tutto facile in quella stagione, come nel 1988. Dell’Alta Badia mi ricordo che c’era la funivia, in Alta Badia quando risalivi per partire vedevi anche la gara. Era un’emozione ancora più grande. [...] Avevo sempre venti- trentamila tifosi al seguito, ma in Alta Badia il calore della gente lo avverti soltanto alla fine perché il parterre è lontano, non vedi il pubblico. Man mano che scendi, lungo il canalone, senti le urla, le campane, le trombe. Di tutto, di più. [...] Alla partenza uscivi all’ultimo momento perché faceva un gran freddo, anche meno trenta. Per tenere caldi i piedi arrivavo dieci minuti prima del via, dopo un massaggio veloce e un sorso di tè bollente. Infilavo le cose al volo per non pensare alla gara, e quella volta ho messo all’ultimo anche gli occhiali per evitare che si appannassero. [...] A volte sul cancelletto di partenza facevo qualche battuta per superare i momenti critici. Una volta Girardelli la fece a me, ma non abboccai. Tra la prima e la seconda manche c’era una ragazza che era venuta a salutarci e a chiederci l’autografo. Lui mi prendeva in giro per farmi agitare. ”Attenzione, c’è questa ragazza, devi fare una bella figura’, mi diceva. Ma nulla cambiò. Io ero primo dopo la prima manche e primo sono rimasto. Lui secondo. Era l’Olimpiade di Albertville, Girardelli ci teneva da matti. [...] Se vincevo la prima manche non ce n’era per nessuno. Soltanto qualche volta ho fallito. [...] Mio padre, mi portava sempre a sciare. Non credo che rifarei ancora tutti quei sacrifici: il freddo, gli allenamenti, la costanza...”» (Gabriella Mancini, ”La Gazzetta dello Sport” 15/2/2004).