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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

TORRE

TORRE Roberta Milano 21 settembre 1962. Regista. Film: Tano da morire, Sud side story, Angela • «[...] una delle pochissime persone che – all’inizio dei Novanta – ha lasciato la Milano da bere per immergersi nella Palermo della cosiddetta primavera di rinnovamento, quella guidata dal sindaco Leoluca Orlando, ”una persona che conosce davvero la sua gente e la sua città, un uomo di un’energia eccezionale. Quando arrivai, nel 1990, incontrai lui e la fotografa Letizia Battaglia, anche lei una persona straordinaria: guidavano un gruppo di entusiasti”. Il nonno di Roberta, Pierluigi Torre, ingegnere all’Aermacchi, ha inventato la Lambretta, ”anche mio padre è ingegnere, siamo una famiglia liberale della buona borghesia”. Studi al liceo Parini, ”dove quasi tutti erano alternativi, ma avevano la filippina a casa che rifaceva loro il letto” e poi filosofia alla Statale, ”andavo alle manifestazioni, votavo a sinistra, ma mi sentivo lontana dalla politica, preferivo spettacoli, musica e teatro”. Roberta studia drammaturgia all’Accademia di arte drammatica Paolo Grassi e frequenta le scuole di cinema di Milano e di Bassano del Grappa guidate dal gruppo di Ermanno Olmi. con Olmi che si appassiona alle storie delle persone che vivono ai margini della città. Il suo primo documentario, Tempo da buttare, lo gira al dormitorio di via Ortles, ”dove i rifiuti umani e i rifiuti degli umani convivono: persone e oggetti senza tempo”. Quando arriva a Palermo, nel 1990, cerca anche lì ”storie estreme: il mio viaggio all’indietro nel tempo, dal Nord al Sud, mi porta a incontrare le ultime donne segregate in casa. Adolescenti e anziane, raccontavano davanti alla macchina da presa le loro vite nascoste: ho montato le loro interviste-monologhi in Angelesse, un documentario che ho prodotto e distribuito”. Il fatto è che Roberta Torre è convinta che il cinema politico sia ”quello che denuncia le condizioni umane, quello che cambia il costume, i comportamenti collettivi. Il cinema di Pietro Germi, purtroppo spesso sottovalutato, è molto politico. I suoi due capolavori: Sedotta e abbandonata e Divorzio all’italiana hanno raccontato agli italiani come si viveva in alcune situazioni estreme e forse hanno costretto le donne a svegliarsi”. La Sicilia affascina la trentenne calata da Milano per fare la regista e le offre, nel 1992, lo spettacolo delle stragi: un orrore che scuote l’Italia intera e la cambierà profondamente. ”Gli attentati a Falcone e Borsellino fecero dire anche ai mafiosi: questa volta hanno esagerato. Dalla città devastata partì un’insurrezione che arrivò fino a Roma, eppure... Sono d’accordo con Sciascia quando denuncia i ”professionisti dell’antimafia’. Anche dopo il 1992 ci furono giornalisti che vissero anni celebrando le stragi, gli anniversari, le marce rituali. No, la complessità della Sicilia non si può raccontare in modo bipolare, di qua i buoni e di là i cattivi, qui la moralità, le vedove, là tutti gli altri. Né si può accettare che – senza cadaveri – le coscienze dei siciliani tacciano. [...] Mi sento un’anarchica, il partito a cui sono più vicina è Rifondazione, ma nei Ds mi piace Luciano Violante”. Quando la giovane Torre, nel 1997, mette in scena una commedia musicale sulla mafia, Tano da morire, a Palermo è uno choc. ”Volevo ridere della mafia, demitizzarla, utilizzare la sceneggiata, il ballo, l’Opera dei pupi, per far lavorare tutti personaggi veri, presi dalla strada. Volevo anche far un po’ riflettere sui valori fondamentali del prodotto mafia, l’unico che riusciamo a esportare in tutto il mondo: basata sulla famiglia, è sempre più forte di qualunque Stato. Basta vedere l’uso del pentitismo, un’arma infallibile da girare contro chi te la dà, ovvero lo Stato. Il cinema e la letteratura non possono prescindere dalla mafia: la voglia di Sicilia, che è anche un po’ la voglia di sfogliare il nostro album di famiglia, insieme amato e maledetto, è ovunque. [...]”. Voglia di Sicilia, ma anche amore per la sua gente. Quando Tano da morire vince premi in giro per l’Italia e diventa un successo, Roberta Torre deve cambiare casa, ”venivano a chiedermi di lavorare, c’era la folla tutti i gironi sotto al portone” [...]» (Barbara Palombelli, ”Corriere della Sera” 3/12/2005). «Dopo tanti anni è cambiato anche il mio modo di vedere Palermo. Prima ero curiosa di scoprire questa città, ora la sento come mia. Per raccontarla ricorrevo all’affresco, ora voglio entrarci più dentro. […] Vivendo a Palermo mi sono accorta che c’è un mondo sommerso e nascosto che non posso dire di conoscere a fondo. E che mi ha sempre affascinato. La mafia in realtà non mi interessa, ma nel suo mondo ci sono tipi antropologici e situazioni laceranti da tragedia greca» (Roberto Rombi, ”la Repubblica” 1/11/2002).