Varie, 7 marzo 2002
TORRICELLI
TORRICELLI Moreno Erba (Como) 23 gennaio 1970. Ex calciatore. Con la Juventus vinse tre scudetti (1994/95, 1996/97, 1997/98), una Champions League (1995/96), una coppa Intercontinentale (1996), una Supercoppa europea (1996), due supercoppe italiane (1995, 1997), una coppa Uefa 1992/93. Dieci presenze in nazionale. Giocò anche nella Fiorentina. Adesso allenatore, già sulla panchina della Pistoiese, nel 2009/2010 su quella del Figline (Lega Prima Divisione) • «Alla sua favola mancano solo la zucca e i topolini per essere vera. Però non manca il principe azzurro: e che ”principe” di rango! E che ”azzurro” trendy! Visto che il fiabesco pigmalione rispondeva - e risponde più che mai - al nome di Giovanni Trapattoni, all’epoca dei fatti allenatore della Juventus e attualmente c.t. della cosa più azzurra che c’è in Italia: la nazionale. Nell’estate di dieci anni fa per Torricelli, falegname di Inverigo, montatore in una fabbrica di mobili, difensore della squadra dilettanti di Carate Brianza, la nazionale era un’entità lontana e non considerabile, che la patria storia del pallone aveva appena affidato ad Arrigo Sacchi e che non era riuscita a qualificarsi per gli Europei, che proprio in quei giorni si svolgevano in Svezia. Era triste Moreno, come tifoso azzurro e dell’Inter: perché - delusione ”europea” a parte - aveva capito che Sacchi stava facendo fuori dal ”giro” il suo idolo e modello, Beppe Bergomi. Ma improvvisamente gli arrivò una notizia che gli restituì il buonumore: ”Ti vogliono per un provino” gli annunciò il presidente della Caratese. ”Che sia il Pavia che gioca in C2? - si chiese Moreno con un insolito guizzo d’audacia - No, non esageriamo. In fondo la Caratese viene da un campionato così, così: siamo finiti ottavi senza infamia e senza lode, il Corsico e l’Abbiategrasso sono arrivati dieci punti avanti a noi. Via, la C2 sarebbe davvero troppo!”. Ma è qui che comincia la favola. Perché non era il Pavia la squadra del provino: era la Juve di Baggio e Schillaci, la Juve che aveva appena acquistato Vialli, Ravanelli e Moeller, la Juve di Trapattoni: un suo amico aveva visto Torricelli giocare sotto casa e s’era preso la stravagante briga di segnalarlo al più famoso e titolato tecnico italiano. ”Farai tre amichevoli estive con la Juve” dissero al sempre più incredulo terzino per passione. ”Ma è un sogno! E chi dovrò marcare?”. ”Se non l’hai ancora capito, non dovrai giocare ”contro’ la Juventus: ma ”con’ la Juventus”. Trapattoni lo prese in disparte. ”Sei andato bene: se non riusciamo ad ingaggiare Vierchowod, prendiamo te”. Vierchowod rimase alla Sampdoria. Moreno-Cenerentola entrò nel Castello Bianconero: e con le scarpe da titolare. Per una formazione che sembrava il gioco del ”Dov’è l’errore?” e che recitava: Tacconi, Torricelli, Dino Baggio; Marocchi, Kohler, Julio Cesar; Di Canio, Conte, Casiraghi, Roberto Baggio, Vialli. Vialli era stato acquistato per 30 miliardi, Torricelli per 50 milioni: giocarono lo stesso numero di partite. Baggio gli regalò un soprannome che rimase indelebile: ”Geppetto”. L’amico-osservatore del Trap aveva visto giusto, e lontano. Fisico da combattimento, grande elevazione, generosità straordinaria, classe tutt’altro che plebea, quella maglia da titolare non la mollò più per sei anni: fino a diventare, con la squadra poi affidata a Lippi, campione d’Italia, d’Europa e del Mondo. Inevitabile, a quel punto, con un Arrigo Sacchi a piede libero e affamato di novità azzurre, la consacrazione in nazionale: 24 gennaio 1996, Italia-Galles 3-0 a Terni. Fino a tre anni e mezzo prima le avversarie di Torricelli si chiamavano, con tutto rispetto, Pro Lissone, Iris Oleggio e Bellinzago. Gli Europei del ”96 non furono fortunati. L’eliminazione dell’Italia decretò la fine dell’era-Sacchi: Moreno giocò una sola partita, la più dolorosa, quella contro la Germania. Ma, grazie anche alle (meritate) fortune con la Juventus, la sua carriera azzurra non subì intoppi. E venne, con Maldini, il momento dei Mondiali. ”Noi della Juve ci arrivammo da campioni d’Italia: io, purtroppo, avevo avuto una stagione un po’ travagliata per colpa di un grave infortunio. Ma Maldini mi inserì fra i 22 e per me fu come toccare il cielo come un dito. Con un’immensa gioia in più: quella di poter disputare un Mondiale al fianco del mio idolo, Beppe Bergomi. Avevo dieci anni quando lo vidi laurearsi campione in Spagna. Nei giorni di ritiro lo ”consumai’ letteralmente, facendomi raccontare tutto della sua vita e della sua carriera”. […] Alla terza partita, Italia-Austria, si fece male Nesta. Per un attimo pensai ”è arrivato il mio momento’. Ma Maldini si alzò e indicò Beppe. Lo vidi talmente felice di scendere in campo per il suo quarto Mondiale a 35 anni che non provai alcuna delusione per il mio mancato impiego: oltretutto vincemmo e ci qualificammo per gli ottavi. Andammo a Marsiglia per affrontare la Norvegia. ”Tieniti pronto’, mi disse Maldini, ”che potrei avere bisogno di te’. Ricordo una giornata bellissima di sole. Per me la possibilità di giocare un Mondiale finì quel giorno: Maldini confermò Bergomi e spostò Costacurta sulla ”mia’ fascia destra, privilegiando la sua esperienza. Non ne feci un dramma: credetemi, per me era già una grande gioia essere lì”. Il Mondiale dell’Italia finì nei quarti allo stadio Saint Denis di Parigi con quei maledetti rigori contro la Francia: ”Era la seconda volta in vita mia che andavo a Parigi: c’ero stato in vacanza da ragazzo, in camper, con mio zio. Ricordo la tensione dei rigori e il mio abbraccio a Di Biagio, che non voleva calciare quel maledetto pallone che finì sulla traversa; ricordo il pianto disperato dello ”zio’. Ma per lui non trovai le parole. Lo guardai, ancora una volta, con tanta ammirazione. Di quei Mondiali ho la mia maglia numero 8, il secondo ricordo più importante della mia vita dopo quella della Juve campione d’Europa. Io uscii dal giro azzurro un anno dopo, ancora per un infortunio: anche Zoff mi aveva e mi avrebbe dato fiducia. Tre c.t., tre grandi uomini […] Trapattoni mi diceva sempre: ”Moreno, il calcio è una bella cosa, ma tu non dimenticare mai come si costruisce un tavolo’”» (Marino Bartoletti, ”Corriere della Sera” 1/6/2002).