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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

Trezeguet David

• Rouen (Francia) 15 ottobre 1977. Calciatore. Dal 2010/2011 all’Alicante. Campione del mondo 1998 (vice nel 2006) e d’Europa 2000 (segnò il golden gol con il quale venne sconfitta 2-1 l’Italia in finale). Con la Juventus ha vinto quattro scudetti (2002, 2003, 2005, 2006, gli ultimi due revocati), vicecampione d’Europa nel 2002/2003. Capocannoniere della serie A nel 2001/2002. Ventiduesimo (parimerito con Nedved) nella classifica del Pallone d’Oro 2000, dodicesimo nel 2001, nomination (ma nessun voto) nel 2002 e nel 2003. Cresciuto in Argentina, giovanissimo ha giocato due anni nel Platense (appena 5 presenze), poi cinque stagioni in Francia nel Monaco (93 presenze, 52 gol) • «Il 4 luglio 2000 si celebra il matrimonio tra la Juve e un giovane di belle speranze, David Trezeguet. È, in quel momento, il giocatore più odiato d’Italia. Due giorni prima, il suo golden gol, nella finalissima dell’Europeo, ha mandato in frantumi il sogno italico di ritornare sul tetto d’Europa 32 anni dopo il successo targato Riva- Anastasi. Nella gerarchia juventina, non scritta, ma egualmente vigente, il ventiduenne franco-argentino è l’attaccante numero quattro della Signora. Prima di lui, Del Piero, Inzaghi e pure Darko Kovacevic, detto “Bueno”. Sulla panchina della Juve c’è Ancelotti. Ed è accanto a Carletto che David si sistema per il primo impegno della stagione, la Champions, ad Amburgo. Inzaghi fa tripletta, David non si alza neppure. Va in campo da titolare, invece, in coppia con Kovacevic, quando si gioca la coppa Italia. Eh, la gerarchia... In campionato, gioca (e segna) quando Ale o Pippo non ce la fanno. Minuto su minuto, gol su gol, alla giornata numero 14 ha già messo in fila 8 reti. Poi si fa male, stiramento, un mese fuori. Rientra il 4 marzo, ma ci mette un po’ prima di ritrovare la condizione. Commenta, amaro: “Se avessi saputo di giocare così poco, non sarei venuto alla Juve”. Carletto, cuore sensibile, gli regala le ultime 5 partite del campionato. E David lo ringrazia con 6 gol. Alla fine sono 14, bottino succoso, soprattutto perché le presenze totali sono state scarse. Moggi si convince di aver visto giusto e “molla” Inzaghi al Milan, promuovendo David spalla di Del Piero. Decisione che non cambia neanche quando il francesino viene richiesto da Moratti quale indispensabile pedina per cedere Vieri. Secondo anno, primo da titolare vero. Carletto non c’è più, ora ricomanda Lippi. David va come un treno, 24 gol, alla fine, e titolo di capocannoniere in condominio con Tatanka Hubner. Ma, quel che più conta, scudetto. Numero 26 per la Juve, numero 1 per David. Il quale, forse ingenuamente, va a batter cassa. Già, perché il milione e 600mila euro stabilito all’inizio dell’avventura juventina aveva un codicillo, chiamiamola pure una promessa. “Se dimostrerai il tuo valore, ci sarà un congruo aumento”: queste, in sostanza, le parole di Moggi. David crede che i 14 gol del primo anno e i 24 del secondo bastino per “aver dimostrato il suo valore”. Moggi, invece, pare non sentirci. Inizia la terza stagione in bianconero. Sull’aereo che porta la Juve negli Emirati per una rapida “marchetta” calcistica, primi giorni di gennaio 2003, Trezeguet sbotta: “O mi aumentano il contratto o me ne vado”. E, tra le righe, fa capire che un certo signor Arsène Wenger, il tecnico francese che allena l’Arsenal, sarebbe felicissimo di vederlo fianco a fianco con Titì Henry, già suo partner (e amicone) nel Monaco nonché in nazionale. La Juve non gradisce assolutamente, succede un pandemonio, cala il gelo tra David e la società. Un David, tra l’altro, che ha un’annata rovinata da infortuni a ripetizione, dal ginocchio alla spalla, alla caviglia. Alla fine, sono solo 9 i gol in campionato: mabastano, tuttavia, ad acchiappare lo scudetto numero 27. Siamo alla cronaca. La stagione 2003-04 inizia con l’arrivo di Miccoli che va ad aggiungersi all’ormai veterano Di Vaio. Le famose gerarchie, però, non cambiano: se appena sono in grado di camminare, ecco in campo Del Piero-Trezeguet. Il che, tuttavia, non contribuisce a rendere sereno David, tormentato dal tormentone (del contratto). A Lecce segna, ma non esulta, ad esempio» (Paolo Forcolin, “La Gazzetta dello Sport” 28/1/2004) • «[…] La sua avventura inizia dall’altra parte del mondo. In Argentina, che è casa. La famiglia Trezeguet è cresciuta a Buenos Aires, anche se le origini sono basco-francesi. Il bisnonno di David era partito dall’inizio del secolo dal sud-ovest della Francia, in cerca di fortuna. Negli anni, in quella terra di pionieri, è riuscito a trovarla. Difficile, comunque, tagliare di netto le radici con la terra madre. L’occasione per rinsaldare il legame capita a papà Jorge, argentino nel carattere e perfino nel nome. Argentino anche nella vocazione al calcio. Centrocampista di piedi buoni e di estro piacevolmente sudamericano, trova un ingaggio nel ’76 a Rouen. È la terra degli avi, anche se il Nord è lontano dai luoghi d’origine. E lì, nel cuore vivo di Normandia, nel 1977 nasce David, l’erede. Che si arrampica da francese sui primi due anni di vita, prima che quel padre calciatore faccia le valigie e riporti, nel ’79, la famiglia in Argentina. È lì che David cresce, giocando a pallone contro i muri di Baires, imparando quel calcio. Cresce in tutti i sensi, diventando un marcantonio. Papà Jorge, nel frattempo, è diventato preparatore atletico del Platense, piccolo club della capitale che vive non senza affanni l’esperienza del campionato massimo argentino, e segue con particolare attenzione il settore giovanile. E lì fa approdare quel figliolo cresciuto in fretta […] Nel ’93, a sedici anni appena compiuti, il ragazzo arriva a debuttare in prima squadra […] Sbarca a Parigi nel 1995 e resta in prova un mese al Paris Saint Germain. Non convince. I dirigenti della società gli fanno capire che in fondo nella vita esistono tanti mestieri […] Nel frattempo qualcuno si è accorto di quel ragazzo e probabilmente ha visto, oltre a ciò che può offrire, anche quello che può diventare. Si chiama Arsene Wenger, osservatore speciale e piuttosto interessato. Il tecnico del Monaco convince il presidente Campora a tesserare il ragazzo, gli fa fiutare l’affare. David si trasferisce da Parigi al Principato, e i primi mesi non sono esattamente una strada in discesa. È in prova, i suoi documenti non sono in regola e con lui c’è tutta la famiglia, nella stessa situazione. I permessi di soggiorno ritardano, e i Trezeguet vivono una situazione precaria da irregolari in un appartamento a due passi dal centro tecnico della Turbie […] Didi si allena e fa conoscenza coi nuovi compagni. Tra gli altri un coetaneo che ha appena due mesi più di lui, da subito amico e complice, sul campo e nella vita, in una scalata all’Olimpo del calcio che riuscirà ad entrambi. Thierry Henry si chiama quel diciottenne […] Parigi, 7 febbraio 1996 […] Jean Tigana lo chiama in prima squadra e lo fa esordire nella massima divisione […] Chiamato a indossare per la prima volta i colori della Nazionale della sua nuova patria calcistica, gioca da protagonista l’Europeo under 18: la Francia vince, lui è il capocannoniere del torneo con quattro reti […] Nella stagione 1997/98, finalmente, parte da titolare […] diciotto reti in ventisette partite, quanto basta per convincere Aimé Jacquet, ct della nazionale, che quel ragazzo venuto dall’Argentina è pronto a difendere i colori della nazionale […] È il momento giusto, dietro l’angolo c’è un mondiale da giocare sui campi di casa […] Contro l’Arabia Saudita entra dopo mezz’ora al posto dell’infortunato Dugarry e contribuisce con un gol al bottino (4-0) della squadra […[ Nei quarti, contro l’Italia […] non si fa vedere più di tanto ma nell’epilogo ai rigori butta dentro un pallone decisivo per il passaggio del turno […] La finale contro il Brasile vista da bordo campo […] Per qualcuno assomiglia molto a Van Basten, per altri è una specie di reincarnazione di Delio Onnis, mitico bomber italo-argentino degli anni Ottanta che a Monaco è diventato leggenda coi 299 gol segnati in prima divisione, record assoluto del campionato francese. Lui non ha dubbi, il modello di riferimento si chiama Gabriel Omar Batistuta» (Marco Tarozzi, “Calcio 2000” settembre 2000) • «Dopo i mondiali del 1998 Sensi mi voleva, ma fece l’errore di parlare con me e non con il presidente. Mandò venti emissari a discutere con il sottoscritto, il mio procuratore e mai con Campora. Che se la legò al dito. Io volevo la Roma ed è forse stato il periodo in cui ho sbagliato di più. Mi “misi” fuori squadra. Continuai ad allenarmi, ma desiderando il trasferimento in Italia: a quell’età lo ritenevo importante, formativo come poche altre cose al mondo. Risultato: rimasi emarginato per alcuni mesi […] Contavo di diventare un preparatore atletico: ho frequentato le scuole primarie e secondarie, sarei andato all’Università se non avessi avuto fortuna con il pallone. Poi ho anche lavorato in una fabbrica metallurgica. Avevo tredici anni, catena di montaggio, movimenti e impegno leggeri, giusto per guadagnare i soldi necessari per essere indipendente […] Non mi è mai mancato niente, ma ricordo che una volta per comprarmi un paio di scarpe stipulammo un accordo lungo. Quindici rate […] Giocavo nel Platense, ero piccolo, l’allenatore mi prese da parte e mi disse chiaramente: “Tu non hai le qualità per arrivare, non farai strada”. Suo figlio, a quel tempo, giocava in un categoria superiore, da titolare, era un tipo quotato. Oggi io sono alla Juventus e qualcosa ho vinto. Lui è a Buenos Aires: guida un taxi» (Matteo Dalla Vite, “Guerin Sportivo” 17/1/2001) • «[...] una continuità di gol decisamente rara. Gol di varia foggia, preferibilmente di testa, specialità nella quale eccelle per una naturale elevazione abbinata a un timing perfetto, ma non solo. Ha un bel tiro, anche dalla distanza, perché in corsa esibisce una notevole coordinazione, e perché i cromosomi argentini si rivelano decisamente prevalenti su quelli della patria ufficiale. È poi uno spietato opportunista, qualità che non sempre sorride agli attaccanti di alta statura. Non solo per questo, potrebbe ricordare, azzardo un paragone impegnativo, il nostro Spillo Altobelli, di cui è più robusto e meno completo e continuo, per ora. Ma ugualmente micidiale in fase conclusiva […] Ha due anni meno di Crespo, quattro meno di Inzaghi e Vieri, otto meno di Batistuta. Il tempo lavora per lui» (Adalberto Bortolotti, “Guerin Sportivo” 5/9/2001) • «Gambe lunghissime, sangue argentino, accento francese, quando esulta, ghigna, scuote la testa e corre […]. Il centravanti snob, che si è preso volentieri il numero 17 sulle spalle, sembra girare al largo, distratto, altrove. Invece sa essere spietato, come ricorda bene l’Italia di Zoff. Nell’estate del golden gol agli Europei, era costato 45 miliardi, il record assoluto per la Juventus. Era arrivato per fare la riserva di Inzaghi. Ha rischiato di finire in panchina a guardare Vieri. Ora nella Juventus di Lippi nessuno è indispensabile come lui. […] Punti di forza: gran colpo di testa, opportunismo, un’agilità elegante e potente» (Niccolò Zancan, “la Repubblica” 19/11/2001).