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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

TRICHET Jean-Claude Lione (Francia) 20 dicembre 1942. Governatore della Banca Centrale Europea (dal primo novembre 2003) • «Ex direttore del Tesoro, diventato nel 1993 Governatore della Banca di Francia

TRICHET Jean-Claude Lione (Francia) 20 dicembre 1942. Governatore della Banca Centrale Europea (dal primo novembre 2003) • «Ex direttore del Tesoro, diventato nel 1993 Governatore della Banca di Francia. uno dei padri dell’euro […] Diplomato all’Ena, la scuola nazionale di amministrazione, ingegnere minerario, ispettore generale delle Finanze, è stato, appena quarantenne, uno dei più fidati consiglieri del presidente della Repubblica Valéry Giscard d’Estaing, poi capo di gabinetto di Edouard Balladur, ministro delle Finanze nell’86 e nell’87, quando il nuovo governo socialista lo ha confermato nella stanza dei bottoni, a capo del Tesoro. La sua fede nella nuova moneta unica europea è incrollabile, le sue scelte politico-economiche lo mettono talvolta in difficoltà con le massime cariche dello Stato, Chirac e Jospin» (Elisabetta Rosaspina, ”Corriere della Sera” 17/7/2002). «’Sa come fare aderire l’interlocutore al suo punto di vista, mettendolo in condizioni di sentirsi molto intelligente se lo fa” è stato detto di lui. un’arte della parola, la sua. A vent’anni scriveva poesie; adesso, assicura, si limita a leggerne. Ne declama perché, sostiene, ”la poesia nacque per essere recitata”. Ne sa molte a memoria, e gioca sul consumato doppio senso che nella sua lingua offre ”apprendre par coeur”, imparare a memoria, imparare con il cuore. Capita anche giusto che due dei suoi autori preferiti, due grandi della letteratura francese, avessero notoriamente un pessimo rapporto con il denaro: Charles Baudelaire e Paul Valéry. Così può occuparsi di denaro mostrando al contempo di ritenere che ci siano nella vita cose più importanti dei soldi. L’hanno visto sulle mura della città dei suoi avi, Saint Malo (dove c’è anche un Quai Trichet, sul porto) declamare ad alta voce una poesia di Chateaubriand, nativo di lì. stato amico di scrittori, come Julien Gracq e il malinconico e bizzarro Georges Perec, l’autore di La vita, istruzioni per l’uso. Gli è capitato di scendere in un pozzo carbonifero e di attaccare la roccia con un martello pneumatico, come parte del tirocinio per diventare ingegnere minerario all’Ecole di Nancy, e di raccontarne più tardi che ”ha conosciuto la fatica dei minatori descritta da Emile Zola”. Insomma, un francese in tutto e per tutto, intellettuale ed elegante, appassionato della retorica e del suo Paese. Ha studiato solo in Francia, cosa davvero rara tra chi oggi si occupa di economia nel mondo. Però in patria a lungo l’hanno considerato una specie di marziano, un alieno che si era introdotto nei palazzi del potere per indurli con perfida intelligenza ad adottare politiche prima sconosciute, il rigore contro l’inflazione, il franco forte, l’autonomia della banca centrale dal potere politico, l’attenzione al giudizio dei mercati. Lo insultavano, dieci anni fa, chiamandolo ”ayatollah della moneta forte”, ”servo della Bundesbank”, ”monomaniaco del rigore”. Gli hanno chiesto se alla guida della Bce continuerà a difendere con la stessa severità di Duisenberg l’obbligo di contenere i deficit pubblici entro il 3%, di cui il suo Paese è un recidivo trasgressore. Ha risposto che naturalmente lo farà, ”perché il limite al 3% del prodotto lordo è una invenzione francese”. Era un understatement garbato: fu lui in persona a proporlo, nelle trattative per stilare il trattato di Maastricht, con l’idea che fosse più facile applicare un numero secco che l’esclusione delle spese di investimento suggerita dai tedeschi. Roba sua, il rigore. Ma lo stile nel difenderlo sarà diversissimo da quello di Duisenberg. L’obbligo di dire e non dire, di comunicare senza rivelare, che assilla i banchieri centrali, l’olandese lo ha affrontato parlando poco e limitandosi spesso a delle battute che però non sempre gli venivano bene. A Trichet, per quanto se ne sappia, non è mai sfuggito un lapsus. Nei dieci anni che ha guidato la Banca di Francia ha intrattenuto i giornalisti invitandoli a pranzo, tenendo incontri off records, rispondendo al telefono: sempre cercava di convincere, mai rivelava nulla che non dovesse. Se cambierà qualcosa nella condotta della Bce è difficile dirlo: anche questo corrisponde all’uomo Trichet. curioso che una personalità così spiccata, forte per carattere e per varietà di interessi, esponga una visione dell’economia di geometrica freddezza, senza nemmeno una piccola sbavatura, poco originale insomma; al contrario, per dire, di Antonio Fazio che trae molto da Keynes che gli altri banchieri centrali poco amano e cita il suo San Tommaso, o di Alan Greenspan capace di trarre conclusioni controcorrente da dati che analizza lui stesso. Dicono i suoi critici che Trichet ha scelto freddamente di posizionarsi nel mainstream, al centro della corrente che domina nel pensiero economico internazionale, capendo che presto o tardi la Francia sarebbe stata costretta a confluirvi anche controvoglia. Ha una forte idea della storia: cerca di individuare una tendenza di lungo periodo per precorrerla. Ha fatto così fin da giovane. Nel 1969, naturalmente alla Ecole nationale d’administration (Ena), era di sinistra come tutta la sua generazione, predicava giustizia ed eguaglianza, firmò un appello ”contro la repressione”. Ma non riteneva certo che ”lo Stato borghese si abbatte e non si cambia”: voleva cambiarlo lui entrandovi, tanto che di fronte alla minaccia del potere di non ammettere a pubblici incarichi i diplomati di quel corso riottoso si acquietò. Lui stesso racconta che con lo studio dell’economia gli ”caddero i paraocchi”, verso il ”75: ”Mi accorsi che le idee della sinistra di allora erano totalmente avulse dalla realtà”. Da quella conversione gli è rimasta, racconta, ”la scarsa fiducia negli esperti di qualsiasi genere, che secondo me una volta su due si sbagliano”. dunque un pragmatico. A trentasei anni, nel ”78, era già nello staff del presidente della repubblica Valéry Giscard d’Estaing. Non sempre gli è andato tutto per il verso giusto. Nella grande crisi valutaria del settembre ”92 che portò all’uscita rovinosa di sterlina e lira italiana dallo Sme, come presidente del comitato monetario europeo, fu sospettato - soprattutto dagli inglesi, ma anche dagli italiani - di giochi di prestigio fondati sul non riferire per intero le posizioni dei rappresentati di un Paese ai rappresentanti di un altro. Parve, per dirla in francese, un po’ tricheur, vale a dire baro, negli interessi esclusivi della Francia e del ”franco forte”. Promosso a Francoforte (bisticcio valido anche nella sua lingua), Trichet si troverà a fianco nel lavoro quotidiano, come personaggi più di spicco nel direttorio a 6, il greco di formazione americana Lucas Papademos, vicepresidente in rapida ascesa di reputazione, l’italiano cosmopolita Tommaso Padoa-Schioppa, il quintessenziale tedesco Otmar Issing. ”Baro no, Trichet - dice sorridendo un economista che ha avuto occasione di incontrarlo spesso - ma un pochino bugiardo sì, come spesso capita agli alti funzionari francesi, in nome di interessi che ritengono superiori”. Gli piace mettere per scritto le sue indicazioni, inviando lunghi biglietti o e-mail. Gli piace convincere e vincere. Vorrà mostrare con garbo che comanda lui» (’La Stampa” 20/10/2003).