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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

TRONCHETTI PROVERA Marco Milano 18 gennaio 1948. Industriale. Manager. Dal 1991 alla guida del gruppo Pirelli, in cui entrò come socio nel 1986

TRONCHETTI PROVERA Marco Milano 18 gennaio 1948. Industriale. Manager. Dal 1991 alla guida del gruppo Pirelli, in cui entrò come socio nel 1986. Presidente di Telecom. Laurea in Economia e Commercio conseguita nel 1971 alla Bocconi, sviluppò le attività di famiglia legate al settore del trasporto marittimo. Presidente de ”Il Sole-24 Ore”, membro della giunta e del consiglio direttivo di Confindustria, consigliere d’amministrazione di Mediobanca, Gim, Hdp, Ras, Università Bocconi (’liberal” 12/8/1999). Sposato in terze nozze con la modella tunisina Afef Jnifen • «Il bellone della finanza oggi indicato come il Gianni Agnelli del XXI secolo, rampollo di una schiatta lombarda di antico lignaggio, presidente di Pirelli e di Telecom Italia, una galassia che vale in borsa 300 mila miliardi […] La prima moglie è Letizia Rittatore Wonwiller, famiglia di rango, autrice di quel manuale sperimentato evidentemente in prima persona dal titolo Come sposare un miliardario. Ma il matrimonio dura soltanto nove mesi, a differenza di quello con Cecilia Pirelli, che durerà 12 anni e che gli varrà a lungo un soprannome non particolarmente lusinghiero: ”il genero”, e tre figli. Quando si lasciano si lega a Barbara Frua, bellezza altoborghese e un po’ fredda, ex moglie del fotografo Fabrizio Ferri […] Bocconiano solitamente musone, uno di cui si dice, o forse si diceva, che ”ha imparato a star zitto da Cuccia” […] Lupo di mare, tifoso e azionista dell’Inter, provetto sciatore» (Laura Laurenzi, ”la Repubblica” 23/12/2001). «Simbolo carismatico degli ”Europe’s tough new manager”, nuovi manager tosti d’Europa, considerato dal ”Washington Post” l’italiano più elegante del mondo (figuratevi la gioia dell’Avvocato), è un uomo di gestione, molto sgobbone, parco di glamour, vero animale da scrivania che forse sa a memoria i fatturati di tutte le filiali all’estero del gruppo. Ha perso il soprannome storico, accento sulla ”a” del doppio cognome, in almeno tre occasioni: nel 1994 quando è riuscito a sollevare dalla bancarotta il colosso dei pneumatici dell’ex suocero, del quale poi sarebbe diventato maggior azionista. Nel 1996, quando ha declinato l’invito a diventare presidente della Confindustria, offrendo la poltroncina a Giorgio Fossa. E nel 1998, quando è stato concupito senza indiscrezione dalla modella tunisina, conduttrice e opinionista musulmana di Canale 5, Afef Jnifen. Velista provetto, sciatore prudente, appassionato di calcio, sponsor dell’Inter e suo azionista, in molti si domandano come faccia a sopportare il timbro di voce vetroso della bella tunisina. Quelli che se lo domandano, evidentemente, non capiscono nulla di donne. Lui, Marco, invece se ne intende» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 31/10/1998). «[…] è come il castello del romanzo di Franz Kafka: gira e rigira, non ti lascia entrare da nessuna parte. Dicono sia un bravissimo sciatore, ma prima che sulla neve è uno slalomista della parola che allude alle cose senza mai entrarci dentro, lasciandole sospese sul bilico di una voluta ambiguità. Così che, alla fine, chi lo ha davanti resta attonito, spaesato e gli verrebbe voglia di toccarlo per sentire se è vero. Ma siccome è anche un potere forte, ha fatto di questa sua propensione a eludere un’arte, costruendovi sopra una carriera di straordinario successo. Inutile, mentre si parla con lui, cercare nelle pieghe della voce i sottintesi, le cose che non dice ma pensa, o peggio tracce di un qualsivoglia giudizio, perché Tronchetti Provera è una sfinge. Lo guardi negli occhi, tenti di farlo sbilanciare, ma lui non lascia trasparire niente. Imperturbabile, al punto da potersi immaginare uno sdoppiamento della personalità dove convivono, opposti, un pubblico e un privato. Ma non è così, niente Dottor Jekyll e Mr Hyde, solo un Tronchetti eternamente uguale: a casa, in barca, in ufficio, e forse anche con se stesso. Potere forte non lo è per carattere, ma per definizione: chi possiede la Pirelli, la Telecom, ha le mani in Capitalia, Mediobanca e Corriere della sera non può essere una mammola. Ma del potere, così come lo vediamo incarnarsi nei tratti di molti dei suoi interpreti, non ha la frenesia perversa, la furbizia luciferina, i lampi di malizia e gli alterni sbocchi d’umore. Lui è un uomo tranquillo, definizione che sottoscriverebbe all’istante. Ma è anche un uomo che ha vissuto due volte, ed è proprio la Telecom, conquistata quando aveva passato i cinquant’anni, a far da spartiacque tra il prima e il dopo. Il prima non affonda lontano nel tempo, ma rimanda alla metà degli anni Novanta, quando subentrò al genero Leopoldo sulla plancia di comando della Pirelli. Il dopo è storia recente, siamo nel 2001, l’annus horribilis che sfocia nell’attentato alle due Torri, l’anno in cui ha comprato il colosso dei telefoni. Tronchetti Provera dice di avere un carattere che fa innervosire persino la moglie Afef: non conflittuale, rispettoso delle opinioni altrui, ecumenico e costruttivo. Per questo si definisce un uomo di minoranza in un paese che non conosce sfumature, ma solo colori pieni.Se non avesse ripudiato il concetto, il suo amico Paolo Mieli lo iscriverebbe d’ufficio al club dei terzisti. Meno esoticamente, lui si dipinge come un uomo positivo, un solitario in un mondo pervaso di negatività, dove il male vince sul bene. Ed è su questa idea di sé che ha costruito molta della sua fortuna: guai a scambiarla per acquiescenza, rinuncia a combattere. Le cose, con fatica, alla fine si fanno. Dietro ai modi felpati, l’uomo è tenace, e fin che non raggiunge l’obiettivo non molla. I suoi azionisti dicono che nonostante gli piaccia troppo comandare da solo, sull’azienda del telefoni ha fatto un ottimo lavoro, vista la brutta congiuntura e i debiti ereditati. Si racconta che abbia litigato con Luca di Montezemolo, lui che ne era stato uno dei king maker, accusandolo di essersi mosso da presidente della Confindustria scompostamente, ma lui dice che non è vero. Si narra che ai tempi di Ferruccio de Bortoli abbia alzato la voce perché il ”Corriere” gli aveva fatto qualche sgarbo, ma lui dice che non è vero. […] Si dicono tante cose, ma lui, la sfinge, non ne conferma nessuna. Così trovargli dei nemici è un’impresa titanica, avara di soddisfazioni per gli amanti del pettegolezzo, i cultori del retroscena. Nemmeno Giuseppe Tesauro, che dovrebbe essere un arcinemico, rientra nella categoria. Quella del presidente dell’Antitrust, che gli ha appioppato una multa da 152 milioni di euro, è solo una visione legittima ma sulla quale Tronchetti, educatamente, si permette di non concordare. In economia è un liberista precoce, un bocconiano blasée, un fervente devoto del dio mercato. Non rivelerebbe per chi vota neanche sotto tortura, ma dai suoi non detti si può presumere che il cuore guardi alla sinistra moderata e riformista. Però non è questo il punto, ma un altro. Il presidente della Telecom crede nel primato dell’economia sulla politica, non un dettaglio da poco. Nella sua concezione è un primato salvifico, perché mentre la rissa continua fra i poli affossa il Paese, i bravi capitalisti lavorano per offrirgli una prospettiva di sviluppo, una via per uscire dalla palude. Se la politica è instabile, Tronchetti Provera si sente il paladino della stabilità, valore supremo, al punto da impegnare il suo gruppo quando qualcuno l’ha minacciato. Su cosa poi sia la stabilità, e chi nella lotta tra i signori del denaro la incarni, si può anche discutere. Ma nella sua spasmodica attenzione a non prestare il fianco, è persino difficile dire quale capitalismo abbia in mente: se quello delle famiglie, cui per nome e storia appartiene, o quello delle public company che per cultura non dovrebbe disprezzare. Ma questo è un problema di domani, di quando l’Italia sarà tornata a essere un paese normale. Adesso, anche in economia, è ancora tempo di trincea. Quando comprò la Telecom, il Financial Times lo incoronò come il nuovo Agnelli. La cosa non mancò di provocare qualche mal di pancia a Torino, dove l’Avvocato non aveva alcuna intenzione di abdicare, e i pochi pretendenti venivano trattati con sabauda sufficienza. Ma col suo entourage ammise che quel cinquantenne alto, di bel’aspetto, col capello brizzolato, capace di parlare e muoversi con garbo, poteva insidiargli il primato. ” un bravo manager” disse arrotando la erre, e paragonando il suo arrivo in Pirelli a quando si aprono le finestre di una stanza rimasta chiusa per troppo tempo. Diverso per natura e temperamento, in molte cose però gli somiglia. Per esempio nell’eclettismo, che lo fa discettare su tutto, con spiccata predilezione verso i massimi sistemi: dalla politica internazionale al trattato di Maastricht, dall’ultimo focolaio di tensione in Medio Oriente alle fluttuazioni del dollaro, alla crisi di rappresentatività del sindacato. Per esempio nel saper apprezzare le belle donne, al punto che la più bella ha finito con l’impalmarla. Poi ci sono le differenze. Tronchetti Provera non ha la battuta pronta e tagliente del signor Fiat, e neppure quel reticolo di conoscenze internazionali che in un paese provinciale come il nostro era servito non poco ad alimentarne il mito. Però, aggiungono subito anche i più scettici, è ancora giovane, dunque ha molto tempo davanti. Già, ma per fare cosa? Qui viene il bello, perché il nostro si schermisce ancora di più. Farà quello che ha sempre fatto, e che non smette di piacergli: l’industriale, il risanatore di giocattoli rotti. E qui chi lo vorrebbe in politica resta deluso. Ma non perde la speranza, perché prima o poi il tranquillo sempre uguale Tronchetti potrebbe anche sorprendere» (Paolo Madron, ”Panorama” 17/3/2005).