Varie, 7 marzo 2002
Tags : Donald Trump
Trump Donald
• New York (Stati Uniti) 4 giugno 1946. Immobiliarista • «Tutti gli americani sanno chi è Donald Trump, uno degli uomini più ricchi del mondo e anche uno dei più ”esposti” dal punto di vista mediatico. Un trionfo per chi è nato nel Queens da una famiglia di immigrati svedesi. [...] Spiega: ”C’è chi nasce col talento per giocare a golf, io sono nato con quello di fare soldi. Eppure non ho mai fatto niente per denaro: del resto, che differenza c’è tra possedere cinque o sette miliardi di dollari? Nessuna. Lavoro perché mi diverto”. Il primo colpo lo mette a segno comprando proprietà in svendita nella bancarotta delle ferrovie newyorkesi, come l’hotel Commodore, diventato Grand Hyatt Hotel. Poi compra terreni ad Atlantic City per costruire casinò, e l’anno dopo viene legalizzato il gioco d’azzardo. Oggi il suo impero vale il doppio degli Anni ”80. Il suo edificio più famoso è la Trump Tower, costruita a New York sulla Quinta Strada. [...] un salutista: non fuma, non beve né liquori né caffè dopo la morte di un fratello alcolizzato. [...] ”La coppia più felice che ho visto sono stati i miei genitori, insieme per 63 anni. Mio padre Fred, costruttore come me, era molto in gamba ma non si è mai spinto oltre Queens e Brooklyn, io ho colonizzato Manhattan. Forse sono stato più ambizioso di lui, forse erano tempi diversi. Per papà il massimo era abitare nei sobborghi, stare con mia madre, cambiare la macchina ogni due anni. Io ho avuto bisogno di Trump Tower, dell’hotel Plaza, dello yacht di Khashoggi, del jet. I tempi sono cambiati. [...] La seconda volta mi sono sposato troppo in fretta, bisogna avere il tempo di conoscersi. [...] Con Ivana è stato un gran matrimonio per i primi dieci anni, poi ho sbagliato a farla entrare nei miei affari perché alla fine parlavamo solo di lavoro. Io e Marla, invece, eravamo troppo diversi”. Vero: lei è un’appassionata di yoga, pacifismo e cibi biologici; lui di locali notturni, pena di morte e fast food. Il matrimonio durò solo quattro anni e finì male, con Marla barricata in stanza e gli uomini della sicurezza che avevano ricevuto l’ordine di farla sloggiare assieme alla figlia di 4 anni. Disse: ”L’ho visto essere crudele con tante persone ma non credevo che avrebbe trattato me e nostra figlia in questo modo”. Ma Donald Trump è convinto: ”Sono stato più un buon padre che un buon marito”» (’La Stampa”, 3/12/2003). «Con la sua boccuccia da bambino vizioso e il ciuffo rossiccio che sembra tinto da un calzolaio daltonico, il volto di Donald Trump è l’immagine di tutto ciò che il mondo adora e detesta di New York, l’incarnazione della profezia secondo la quale niente ha successo come l’eccesso. [...] fino a quando ci sarà una New York, ci sarà un Donald Trump, l’uomo che ha marchiato a fuoco Manhattan con la propria ”T”, come i vaccari del West marchiavano i loro manzi. [...] L’uomo che vale miliardi eppure ”non si può permettere una tintura dei capelli meno ridicola”, come scrisse la rivista ”Cosmopolitan”, è una leggenda con le fondamenta di cemento, dunque indistruttibile. Di lui si narrano parabole e miracoli, come la storia dell’umile meccanico che riparò la sua auto in panne senza chiedere neppure la mancia e il giorno dopo ricevette, nella corbeille di fiori per la moglie, l’avviso dalla banca che il suo mutuo era stato pagato ed estinto. ”Ogni rovescio è per me un’occasione per fare ancora più soldi”, scrisse nel proprio quarto bestseller autobiografico, L’arte della rimonta, e lo confermò negli anni ”80, quando un’altra bancarotta imposta dai creditori gli meritò una vignetta sul ”New York Daily News”, che lo dipingeva su un marciapiedi, rannicchiato dentro una scatola di cartone con una grande ”T” dipinta sopra con la bomboletta, ”the Trump carton”. Dieci anni dopo quel prematuro requiem, il suo marchio a fuoco aveva segnato più edifici e ormai più città, di quante ne avesse mai sognati, [...] figlio di un piccolo costruttore che si era specializzato nelle abitazioni popolari a basso costo. Facendo esattamente il contrario di ciò che faceva il padre, costruendo palazzi sfacciatamente lussuosi a prezzi insolenti (tre milioni e mezzo di dollari per una stanza da letto e soggiorno nelle nuove torri) per miliardari cafoni, specie che a Manhattan abbonda, è arrivato a possedere, tra le molte altre cose: la Trump Tower sulla Quinta Strada, da poco affittata dalla Asprey cosmetici che ha accettato di pagare la pigione più elevata al mondo; il Trump Building a Wall Street; la Trump Parc Tower; la Trump World Tower accanto all’Onu; una seconda Trump Tower su Park Avenue; il Trump International Hotel, progettato dal riverito architetto Philip Johnson; l’Hotel Plaza; l’Hotel St. Moritz; il supernegozio Nike Town; i locali del gioielliere Tiffany’s e il più grande terreno ancora disponibile a Manhattan, l’enorme e dismesso scalo ferroviario sulla West Side. [...]» (Vittorio Zucconi, ”la Repubblica” 12/8/2004).