Varie, 7 marzo 2002
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UGHI Uto Busto Arsizio (Varese) 21 gennaio 1944. Uno dei più grandi violinisti viventi. Famiglia di origine istriana, nome di battesimo Bruto (da uno zio morto a El Alamein)
UGHI Uto Busto Arsizio (Varese) 21 gennaio 1944. Uno dei più grandi violinisti viventi. Famiglia di origine istriana, nome di battesimo Bruto (da uno zio morto a El Alamein). A sette anni si è esibito per la prima volta in pubblico al Lirico di Milano eseguendo una Ciaccona di Bach e alcuni Capricci di Paganini. Dai nove ai tredici anni ha studiato violino con George Enescu, già maestro di Menuhin, a Parigi e all’Accademia Chigiana di Siena. Nel 1978 è diventato accademico effettivo di Santa Cecilia. Nel 1997 gli è stata conferita l’onoreficienza di Cavaliere di Gran Croce per meriti artistici. Ha suonato, tra l’altro, con la New York Philarmonic Orchestra e con la Concertgebouw di Amsterdam sotto la direzione di maestri come Celibidache, Sinopoli, Mehta, Colin Davis. I suoi violini sono un Guarnieri del Gesù del 1744 e uno Stradivari del 1701 detto Kreutzer perché appartenuto al grande violinista cui Beethoven aveva dedicato la celebre sonata (’Corriere della Sera” 25/6/2001). «Il violino è il suo grande amore. Lo suona da quando aveva cinque anni. Da mezzo secolo studia per ore ogni giorno e, quando fa un concerto, ha sempre un brivido, il timore di non essere abbastanza creativo, abbastanza appassionato. Proprio come un amante. […] E´ un personaggio senza luogo, che vive in tanti luoghi, Anche se ama Roma più di ogni altra città al mondo; anche se, dice, si sente profondamente italiano. Lui, che ha una cultura mitteleuropea, che è nato a Busto Arsizio, da padre istriano e da madre veneta, ma che a cinque anni è andato a studiare musica a Parigi e quindi a Ginevra e a Vienna. Lui, che a dodici anni ha cominciato a girare il globo per i suoi concerti e che, a vent´anni, in Australia, di concerti ne ha tenuti quarantacinque di seguito. Nessun luogo, tanti luoghi. […] ”Ho cominciato a suonare a cinque anni e all´epoca era considerato un avvenimento da enfant prodige. Ma se oggi guardiamo, che so, al Giappone, centinaia di bambini cominciano a suonare il violino già prima, a quattro, perfino a tre anni. Io sono cresciuto con la musica, mia nonna suonava il pianoforte, mia madre aveva studiato canto, mio padre il violino. Lui era nato a Pola ed era venuto in Italia prima della guerra. Era un avvocato, ma anche un grande appassionato di musica. Era amico del maestro Coggi, il primo violino della Scala sotto Toscanini. Venivano in tanti a casa nostra un paio di volte alla settimana, secondo l´uso austriaco della "hausmusic". E sentivo suonare, cantare. A dieci anni sono andato a studiare a Parigi e ho avuto la fortuna di farlo con uno dei più grandi compositori dell´epoca, George Enescu, un rumeno, violinista, pianista, direttore d´orchestra che in Francia aveva cambiato il nome in Enesco. Un personaggio straordinario, un musicista globale, come allora ce ne erano tanti in Europa, con un´immensa immaginazione. Peccato che ero così giovane e immaturo da non poterlo apprezzare fino in fondo. Ma conservo emozioni profonde, sensazioni e istinti che non ho mai perduto. Quando lui morì avevo dodici anni. Allora sono andato a studiare Ginevra, poi a Vienna […] Per me è stata determinante la cultura austriaca e questo è scontato per un musicista. La grande musica strumentale si è sviluppata nei paesi tedeschi, da Bach a Beethoven, a Mozart, a Schumann […] Per me la grandissima musica sta a cavallo tra Settecento, Ottocento e Novecento. In seguito c´è stata quella frattura tra musica dodecafonica e musica tonale che pure ha prodotto grandissimi autori come Stravinsky, Bàrtok, Sostakovic, Schonberg, Alan Berg, la scuola viennese del Novecento […] Roma è la città che preferisco in assoluto. La considero la sintesi dell´arte, della bellezza. Con la sua luce e la sua gente. Sento nell´aria una civiltà eccezionale. Ma amo anche Venezia, che mi provoca la stessa vibrazione artistica. Venezia è una città magica dove non ci si sente mai soli e dove si è sempre accompagnati dall´incanto e dalla meraviglia […] Ormai non voglio fare più di settanta concerti l´anno, non si può essere dei robot. La creatività è nemica della routine. E poi a me piace girare il mondo. Di recente sono stato in Birmania, sono andato a visitare la zona dei templi; in una valle sterminata ce ne sono più di tremila, tutti sorti tra l´800 e il 1200; raccontano il medioevo birmano. Un luogo magico, eccezionale. Io, se non fossi un musicista, vorrei fare l´antropologo. Cerco sempre di capire le ragioni per cui gli esseri umani vivono in modi diversi. E, per farlo, viaggio. In genere lascio il violino che ho portato per il concerto, in albergo, al sicuro in cassaforte e parto con un altro strumento più moderno, meno prezioso. Mi serve per studiare. Una giornata senza musica è una giornata stupida […] Ho un violino Guarnieri del 1744 e uno Stradivari del 1701, il Kreutzer, dal nome del musicista a cui Beethoven aveva dedicato la celebre Suonata. Sono diversi tra loro, il primo possiede un tono caldo, dal timbro scuro, sensuale, più vicino al romanticismo...è come una pittura fiamminga; il secondo invece ha una voce apollinnea, evoca un quadro rinascimentale italiano, o addirittura il Beato Angelico […] Amo la letteratura, che penso sia l´espressione artistica più legata alla musica. Ma amo molto anche la pittura e le arti figurative in generale. Non a caso, per viverci, ho scelto città d´arte come Roma o Venezia. Ma a me piace anche molto la natura, la montagna. E sciare. Brahms si ispirava soprattutto in montagna, che vuol dire silenzio, solitudine, elevazione, assoluto […] Ho una casa all´isola del Giglio. Il mare è l´infinito. Si vede l´orizzonte e, oltre, lo sguardo non può spaziare. E questo regala un´emozione grandissima […] L´arte è l´imitazione della natura che la trasfigura e la rende ancora più bella. Per me l´arte è la natura sublimata. La natura comunica libertà […] L’emozione è libertà. Suonare la grande musica, i grandi classici e i grandi moderni mi dà questa sensazione, ma non è detto che io abbia sempre lo stato d´animo giusto al momento giusto. E´ necessaria anche la tecnica e c´è bisogno si studio e di disciplina, che è lavoro, rinuncia e sacrificio. Comunicare davvero emozione è però un´altra cosa. E io ci riesco soltanto quando, interpretando un grande musicista, riesco prima a emozionare me stesso”» (Silvana Mazzocchi, ”la Repubblica” 20/7/2003). Vedi anche: Stefano Jesurum, ”Sette” n. 34/1997.