Varie, 7 marzo 2002
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Ustinov Peter
• Londra (Gran Bretagna) 16 aprile 1921, Bursins (Svizzera) 28 marzo 2004. Attore • «Figlio di un giornalista di origini russe e di un’artista di origini francesi. E a Londra, dopo aver frequentato la Westminster School, era entrato al London Theatre Studio, per uscirne nel 1938 giovanissimo attore di grande talento e versatilità. In quell’anno debutta a Shere nel Surrey e subito dopo, a Londra, in una serie di suoi sketch comici e satirici. l’inizio di una carriera prodigiosa che vedrà Ustinov affermarsi tanto in teatro quanto in cinema e poi in televisione, dopo la seconda guerra mondiale, alla quale aveva partecipato nel Royal Sussex Regiment e nei Royal Army Ordnance Corps: non solo come attore, ma anche autore di commedie e drammi, regista e sceneggiatore cinematografico, regista teatrale e di opere liriche, scrittore di racconti e romanzi. Un’attività multiforme, debordante (come la sua corporatura massiccia e leggera al tempo stesso), intelligente, curiosa, che lo portò non soltanto al successo in patria e all’estero, ma anche a una serie di incarichi nazionali ed internazionali di prestigio. Fu, fra l’altro, rettore della Dundee University dal 1968 al 1973, incaricato all’Unesco e poi ambasciatore dell’Unicef. Non v’è dubbio che per lui il teatro, lo spettacolo, l’intrattenimento, in tutte le sue forme e manifestazioni, lo attraevano in modo particolare, tanto da farne una sorta di ”animale scenico” la cui presenza, sul palco o sullo schermo grande e piccolo, non poteva passare inosservata. La sua recitazione non era quella di un divo o di un prim’attore (d’altronde il suo fisico non glielo consentiva), ma piuttosto quella dell’attore di spalla, del comprimario, del personaggio secondario. Le sue caratterizzazioni, in questo senso, sono rimaste esemplari, fin dai primi film degli Anni 40, come la figura del prete da lui tratteggiata in Volo senza ritorno (1941) di Powell e Pressburger. Ma come dimenticare il personaggio di Nerone nel Quo vadis (1951) di Mervyn Le Roy, che gli valse una ”nomination” all’Oscar. Personaggio sfaccettato, sottilmente crudele, infido, ma anche ironico, geniale, qua e là grottesco. E come dimenticare i personaggi di Batiatus in Spartacus (1960) di Stanley Kubrick e di Arthur Simpson in Topkapi (1964) di Jules Dassin, per i quali ebbe l’Oscar come migliore attore non protagonista? In essi, e in molti altri da lui interpretati, fra cui il commissario Hercule Poirot di Agatha Christie in Assassinio sul Nilo (1979) di John Guillermin, in Delitto sotto il sole (1982) di Guy Hamilton e nel televisivo Tredici a pranzo (1985), Ustinov seppe infondere la sua arguzia, il suo ”sense of humor”, la sua grande maestria, mai disgiunta da un pizzico di autoironia, da quel nobile distacco dalla parte, un distacco quasi aristocratico, che gli impediva di identificarsi totalmente col personaggio, di annullarvisi senza residui personali. Uno stile di recitazione, per certi versi più teatrale che cinematografico, che l’ha posto a un diverso livello rispetto ai suoi colleghi, meno coinvolto e coinvolgente. Uno stile che si riscontra anche nelle sue regie cinematografiche (dall’esordio con The School for Secrets, 1946, ad Angelo privato, 1949, a Giulietta e Romanoff, 1961, da una sua commedia, a Billy Budd, 1962, dal romanzo di Melville, a Una faccia di c…, 1972), nelle sue commedie, nei suoi romanzi e racconti e nella sua bellissima autobiografia, Dear Me, uscita nel 1977. La fine del comunismo aveva permesso di riallacciare i rapporti con il paese d’origine del padre» (Gianni Rondolino, ”La Stampa” 30/3/2004). Franco Zeffirelli: «Un uomo adorabile. Mi vien fatto di parlare, prima che dell’artista, della persona. Peter Ustinov, la persona, era adorabile. E non nell’accezione mondana, salottiera, dell’aggettivo. Adorabile perché colto, vivace, pieno di ingegno e di spirito, dotato di quel senso dell’umorismo che regala ironia sulla realtà. Senza cattiveria, strappando sorrisi, non ghigni o pessime risate. Era poliglotta, Ustinov. Parlava e leggeva correntemente (oltre che in inglese) in russo, in francese, in italiano. Amava citare i poeti. I versi li sapeva a memoria, li diceva nella lingua originale e ci arrivavano, sul set e fuori, come regali inaspettati. Poi, piano piano, sapendo di averlo amico, o compagno di lavoro, attendevamo quegli spazi aristocratici come qualcosa di speciale, dal gusto inimitabile. Ustinov poi aggiungeva, ai suoi lineamenti nobili, un’irresistibile, naturale allegria. Se ti trotterellava intorno sul set, nei giorni in cui non toccava a lui girare, potevi contare su una semina copiosa di allegria che sollevava l’animo a tutti. Benevolo sempre, positivo, teso a sottolineare il buono e il bello, non per questo rinunciava a un’acutezza particolarissima di giudizio che di rado lo portava a sbagliare. Eppure, di fronte ai momenti duri, quelli collettivi, della Storia, e quelli privati, della vita di ognuno, buttava lì una sua frase fatidica, buonista, provvista di una serenità, direi, latina: ”Bisogna sempre guardare il rovescio d’argento”. Lo ricordo benissimo, l’ho qui, davanti agli occhi. E non posso che dargli ragione. Gli eventi, tutti, hanno un loro rovescio d’argento del quale non ci si può dimenticare, dal quale si può partire per vederci più chiaro e guardare al futuro con fiducia. Nel mio Gesù, Ustinov fa la parte di Erode. In fondo, la parte di uno che è un po’ parente del Nerone per il quale Peter resterà, indimenticato, negli occhi e nel cuore del pubblico. Esistono, di Erode, scene non utilizzate nel film: vita privata, bagni di vapore, via vai di schiavi, l’armamentario di mollezze di cui il sovrano orientale si circondava. Lui, nei panni di certi satrapi tremendi, ci si trovava a meraviglia, pur essendo, nella quotidianità, il loro contrario. Ma è stato grande anche come Poirot nei film dai romanzi di Agatha Christie, un ruolo per il quale ha speso la parte arguta e umoristica del suo gran talento d’attore» (Franco Zeffirelli, ”Il Messaggero” 30/3/2004). «Famoso Nerone ed Erode di misura XXL. [...] Consigliava di conservare l’innocenza infantile fino a quando si trovava l’altra, simile, della vecchiaia: i misteri di nascita e morte sono contigui. Per farsi capire dai bambini, diceva, a volte abbaiava, stabilendo immediato, buffo contatto; nei casi estremi, accadde in Cina, imitò un gufo e li conquistò. Nel sangue patriarcale di Ustinov – che lascia oltre 100 film, romanzi e commedie, tre mogli e quattro figli per dire solo gli affetti più cari – si incrociavano ceppi diversi. Complicato il geroglifico di famiglia: trisnonni sparsi per il mondo (uno anche a Venezia), nonno ufficiale dello zar, uno in Estonia, uno zio a Costantinopoli, il papà scrittore tedesco-russo, la madre Nada, pittrice franco-russa collaboratrice di Diaghilev e sorella di Nicola Benois, famoso scenografo alla Scala. Lui fu concepito a Pietroburgo, ma nacque a Londra [...] dove i suoi erano fuggiti inorriditi da Lenin. Esibizionista felice, Ustinov si considerava cittadino del mondo, abile imitatore linguistico e poliglotta anche nei dialetti: ”Il romano l’ho sentito a Cinecittà, il milanese quando lavoravo alla Piccola Scala per Stravinskij e Mussorgksij”. Viveva da inglese e pensava da francese, dicevano; certo era british per cultura, studente della Westminster, sir e rettore ad honorem dell’Università di Durham. Chi l’ha visto a Londra nel ”90 nel recital An evening with Peter Ustinov ricorda con quanta finezza raccontava la sua biografia ed ironizzava sulla famiglia reale inglese e su quella americana, i Reagan. Ustinov, elettrizzante tuttofare nello show business, si era lanciato 18enne al Players Theatre nel varietà ma, come i grandi, sapeva essere drammaticamente comico e comicamente drammatico, felice di essere un’attrazione. Fu regista di 4 film (fra cui l’ottimo Billy Budd di Melville in cui era anche il capitano), fu scrittore dell’autobiografia Dear me, di un volume di racconti e di due libri sulla Russia, fu autore di commedie allestite anche da noi come L’amore dei 4 colonnelli, parodia delle convenzioni del teatro, e Giulietta e Romanoff, da cui trasse un film con Sandra Dee e John Gavin in guerra fredda. Fu un entertainer a largo raggio che il cinema rese popolare fin da quando, attendente di guerra del Ten. Col. David Niven, scrisse La via della gloria di Reed. Col gusto gigionesco del trucco e della caratterizzazione, Ustinov fu poi il capriccioso, isterico Nerone nel Quo vadis? di Le-Roy, in piena Hollywood sul Tevere, l’Erode del Gesù di Zeffirelli, l’Edoardo VII di Ombre su Dublino, il mediator di schiavi Lentulo Baziato nello Spartacus di Kubrick, uno dei due Oscar da non protagonista insieme con Topkapi di Dassin, dove era uno spiritoso ladro per caso. [...] Ustinov non si faceva pregare: viveva in viaggio, accettava film, promozioni, serate benefiche e talk show, col gusto del mimo e dell’istrione amante della burla, portando in società con ironia quel fisico corpulento e quel gran barbone bianco: qualcuno lo definì un incrocio fra un ippopotamo, un tricheco e un vecchio divano. Perse solo una grande occasione, quella della Pantera Rosa che passò a Sellers. Lo si ricorda nel remake di Charlie Chan, del Ladro di Bagdad, del Pirata Barbanera; evaso cuor d’oro accanto a Bogart e Ray in Non siamo angeli, principe di Galles in Lord Brummel, Lady L con la Loren, I commedianti con Liz e Burton ispirati da Graham Greene; poi Walrus in Alice e Mirabeau, amico di Danton, in un film rievocativo della Rivoluzione Francese, in L’Olio di Lorenzo e Solstizio d’inverno. Se il suo ruolo per cinefili fu il domatore del circo nel capolavoro di Ophuls Lola Montez, il pubblico lo amò come Hercule Poirot, l’ispettore di Agatha Christie, in Assassinio sul Nilo, giallo kolossal: a lui piaceva come suo opposto, un voyeur scapolone nevrotico» (Maurizio Porro, ”Corriere della Sera” 30/3/2004).