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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

VALLANZASCA

VALLANZASCA Renato Milano 4 maggio 1950. Bandito. Celebre per le evasioni e per il successo con le donne. Nato a Milano da Marie, dalla quale prende il cognome, e da Osvaldo. Il primo arresto, a otto anni, non è per furto ma per aver liberato gli animali di un circo. A 21 anni è già un ladro affermato e pieno di soldi. Vive con Consuelo in un appartamento di 13 stanze. Il 14 febbraio 1972 la rapina organizzata dalla sua banda (detta della Comasina) in un supermercato a Milano lo porta in galera, dove rimane quattro anni e mezzo partecipando a numerose rivolte. Sempre nel 1972, mentre è in carcere, nasce suo figlio Massimiliano. Il 28 luglio 1976 evade, complice un agente, dall’ospedale dove si era fatto ricoverare procurandosi un’epatite con «iniezioni di urina (la mia) nel sangue e una cura di uova marce». Il 23 ottobre 1976, viene accusato di aver ucciso un poliziotto a un posto di blocco nei pressi di Montecatini. La sua banda si sposta al Sud e uccide ancora: il 13 novembre ad Andria muore l’impiegato di una banca. Seguiranno sparatorie, morti e feriti. Tra le vittime un medico, un vigile urbano e tre poliziotti. Il 13 dicembre 1976 Vallanzasca passa ai sequestri: la prescelta è Emanuela Trapani, rilasciata il 22 gennaio 1977 dopo il pagamento di 1 miliardo. Vallanzasca medita di rapire ricchi industriali, tra cui Silvio Berlusconi. La latitanza romana si conclude il 15 febbraio ”77: i carabinieri lo arrestano e lo trovano ferito. Il 14 luglio 1979 sposa nel carcere di Rebibbia Giuliana Brusa. Divorzierà nel ”90. Il 28 aprile 1980 evade da San Vittore. Viene subito ricatturato. Il 20 marzo 1981, nel carcere di Novara, durante una rivolta, taglia la testa a un ragazzo di vent’anni, Massimo Loi, con cui gioca a pallone. Il 18 luglio 1987 fugge dalla nave che lo sta portando all’Asinara. Da Genova raggiunge Milano a piedi. Il 7 agosto viene catturato a Grado. Il 31 dicembre 1995 tenta, invano, la fuga dal carcere di Nuoro. Dal 1997 è nel carcere di Novara. «Quattro ergastoli gli hanno dato. Fine pena mai. Perché Vallanzasca ha rubato, sparato, ucciso. stato arrestato, è evaso, l’hanno riacciuffato, è fuggito di nuovo, è tornato dentro. Non ha smesso un attimo di pensare alla fuga. Finché, arrivato a Novara, ha gettato la spugna. [...] ”Mai fottuto un compagno, mai scopato la donna dell’amico. [...] ho cominciato da bambino, rubando le figurine Panini. E ho continuato finché non mi hanno ingabbiato. E sono uscito e ho ricominciato. stato il mio lavoro, l’unico che sapessi e volessi fare [...] io non sono una vittima della società. Tanti ragazzi sì, ma io no. Rubare mi è sempre piaciuto. [...] Ero gentile, educato, facevo il baciamano. Loro mi pagavano il gelato. Rubavo la roba, la stivavo in un magazzino e poi la davo via gratis alle massaie. Avevo nove anni. [...] tanti uomini mi hanno fregato, nella vita, ma nessuna donna. Dopo la fuga dalla nave ho contattato 30 persone, ma solo cinque mi hanno aiutato. Tutte donne. Loro hanno sentimenti, sono più vere: io mi sento molto donna. [...] Mi mandavano fotografie pazzesche: con me vivevano fantasie inconfessabili al partner o al marito. Per loro ero una specie di ”puttano virtuale’. Ad alcune di loro dicevo: certe cose falle con tuo marito. No, rispondevano, le farei solo con te. [...] molte sono le cose che non rifarei, soprattutto quelle che, direttamente o indirettamente, hanno coinvolto persone che non c’entravano nulla, che non erano lì per morire. Non intendo poliziotti: io non ho mai sparato per primo e per il mio codice sono a posto. Parlo dei morti civili. E sono morti che pesano. Come quel medico ucciso durante una rapina: al processo non riuscivo a guardare in faccia la vedova, anche se non ero stato io materialmente a sparare. Mi sono accorto che il dolore degli altri era uguale al mio. Per la morte dei disgraziati che si sono trovati al posto sbagliato nel momento sbagliato, non do la colpa al caso ma me l’accollo totalmente: quando ho deciso di portare una pistola, sapevo che ci sarebbe stato il momento in cui l’avrei usata. [...] Era la fine del ”76, avevo in mano la Trapani. Certi ”camerati’ italiani mi hanno fatto invitare in Cile. Ci sono rimasto una settimana, ho visto anche la finale della coppa Davis, quella vinta dall’Italia. Ma non ero andato lì per il tennis. Ero latitante, feci una specie di sopralluogo: in Cile avrei potuto rifarmi una vita. Ho avuto contatti con militari molto vicini a Pinochet. Io avevo grana a pacchi e sognavo una fazenda con vacche e cavalli. Loro mi offrivano una nuova identità [...] Ho cambiato idea: non vado tanto d’accordo, io, con i regimi fascisti. In cambio di licenze e documenti, ovviamente, dovevo pagare qualcuno, qualcuno in alto. Non mi fidavo. E poi ho visto cose che non potevo sopportare: raccattavano la gente per strada, la caricavano sulle jeep. In apparenza era tutto bello e pulito, nemmeno un barbone alla stazione: li portavano via per l’immagine. [...] Io sono la dimostrazione vivente che chi ruba non fa soldi. Ne ho buttati via tanti, di soldi, questo sì. La latitanza non mi è mai costata granché, anche se facevo una vita costosa: lo champagne, le donne, meglio due che una sola, eh! Ma mi piacevano le case e spendevo molto anche nei vestiti: ne avevo più di una ventina di Litrico, oltre a quelli fatti su misura. La mia passione era il gessato, quello alla Delon e alla Belmondo. [...] Facevo le rapine col vestito firmato, io. [...] Evadere: per anni è stato il mio chiodo fisso. Appena arrivavo in un carcere lo dicevo subito a tutti, anche al direttore: io da qui scappo. Facevano perfino le scommesse sulle mie evasioni! Ma ogni fuga si è dimostrata una pia illusione. Quando a Nuoro mi hanno beccato con il telefonino in cella e hanno messo di mezzo la mia avvocata, che non c’entrava un bel niente, ho detto basta. [...] Chi mi ha venduto, a Nuoro, era un drogato di 20 anni in crisi d’astinenza. Cosa c’entro io con quelli? Di chi potrei più fidarmi? [...] Per sei anni sono stato nei braccetti: li avevano progettati per i politici ma ci sono finiti dentro soprattutto detenuti comuni. Niente colloqui, nessun libro nè fogli per scrivere e nemmeno tv, una sola ora d’aria la settimana e la prima lettera di mia madre dopo un anno”. [...]» (Pier Mario Fasanotti e Valeria Gandus, ”Panorama” 18/11/1999). Vedi anche: Carlo Bonini, ”Sette” n. 47/1999.