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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

VANZINA

VANZINA Enrico Roma 26 marzo 1949. Sceneggiatore • « I film da lui scritti, e diretti dal fratello Carlo, raccontano di yuppie, di nuovi ricchi, di sgraziati imbecilli che hanno trascorso gli anni Ottanta a ostentarsi e a far chiasso. Quei film, da Vacanze di Natale ad A spasso nel tempo, mostrano in dettaglio la volgarità crassa del ceto medio italiano, le illusioni di arrampicatori ed esperti nell’arte di arrangiarsi. Solo che lui [...] è esattamente l’opposto del mondo raffigurato dal cinema facile e popolare che porta lo stemma dei Vanzina. Figlio di Steno, regista che negli anni Cinquanta seppe coniugare come pochi altri intelligenza e ”commercialità”, Vanzina ama i bei libri e i quadri d’interni del Seicento e Settecento, è un inguaribile nostalgico del tempo che fu, è un italiano all’antica e che ci sta a fare il moralista. [...] Il Vanzina reale ha poco di buffo. I suoi occhi sorridono amari. Se vi parla seduto su una poltrona di casa, state certi che alle sue spalle c’è una parete colma di libri o magari il quadro che Filippo De Pisis regalò a papà Steno alla nascita del figlio. Da ragazzo avrebbe voluto fare lo scrittore, non il mestiere in cui suo padre era stato a suo modo inarrivabile: far ridere la gente raccontando l’Italia vera. Il Totò di Guardie e ladri e l’Alberto Sordi del memorabile Un americano a Roma erano stati modellati da Steno. Il figlio Carlo, nato nel 1951 (due anni dopo Enrico), ne seguì le orme già diciassettenne. I fratelli fecero combutta a partire dalla metà degli anni Settanta. I frequentatori di casa Vanzina, ai Parioli, erano stati Pietro Germi ed Ercole Patti, il regista Mario Camerini ma anche Mario Soldati, Federico Fellini ma anche Leo Longanesi. Sordi aveva dondolato sulle sue ginocchia il piccolo Enrico. Quando Longanesi morì, Steno si chiuse nel suo studio, abbassò le persiane e rimase a piangere un intero pomeriggio. [...] Una pellicola della qualità di Un americano a Roma i figli non ce l’hanno nella loro filmografia. E se chiedete a Vanzina se questo mancato risultato gli brucia, lui ha la risposta: ”Papà ebbe la fortuna di avere Sordi. Senza Sordi Un americano a Roma non sarebbe quel che è. Purtroppo noi non abbiamo potuto disporre dei migliori attori della nostra generazione, da Carlo Verdone a Roberto Benigni, perché loro i film se li sono fatti e diretti da sè. Se il primo Vacanze di Natale avesse avuto un Verdone, credo che sarebbe rimasto nella storia del cinema. E comunque è un film buonissimo già così com’è. Di tutti i bis e ter con quello stesso titolo noi non siamo responsabili”. Se a Vanzina uno ricorda le parole sferzanti di tanta critica nei confronti dei film suoi e del fratello, lui si accalora, si dichiara offeso. Dice che chi racconta il presente non per questo è connivente col presente, anche se ammette di essere ”un prigioniero del cinema commerciale”. Un cinema che deve fare i conti con il pubblico com’è, in gran parte spettatori nella fascia di età fra i 13 e i 26 anni. Non era così ai tempi di Steno, quando il cinema era l’arte per tutti. Quando Totò bighellonava in casa Vanzina, perché di lavorare al mattino non gli passava neppure per la testa (’La mattina non si fa ridere”). Vanzina fa l’elenco degli otto sceneggiatori di Guardie e ladri, gente che tutta assieme ha scritto libri di che riempire una piccola biblioteca. Il cinema come lavoro, come preparazione, come rigore, come mestiere che ti chiede quattordici ore al giorno: ”Uno come Sordi ha messo lo stesso impegno in una comparsata come nei suoi ruoli più importanti. Che certi giovani attori di oggi dopo due anni passino già alla regia mi lascia un po’ stupito. Se mi piacciono i film di Aldo, Giovanni e Giacomo? Sono dei comici molto forti, molto seri, tutt’altro che dei "’cazzari’. Esattamente com’era Totò”. I ”cazzari”, Vanzina li odia. Quelli che parlano a voce troppo alta, quelli che hanno dieci e vendono cento, quelli che dicono una parola in più [...]» (Giampiero Mughini, ”Panorama” 22/6/2000). Vedi anche: Lucia Castagna, ”Sette” n. 21/1996; Claudio Sabelli Fioretti, ”Sette” n. 40-41/2000;