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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

VargasLlosa Mario

• Arequipa (Peru) 28 marzo 1936. Scrittore. Premio Nobel 2010. Una delle voci più alte della letteratura latino-americana contemporanea. Il successo internazionale arriva con Conversazione nella cattedrale del 1971 e Pantaleone e le visitatrici del 1973. Candidato alle presidenziali del 1990, viene sconfitto. Oltre a dilettarsi come commentatore di calcio, è fondatore della Fundacion hispano-cubana, organizzazione che si propone di tenere vivi i rapporti culturali tra il popolo cubano e quello ispanico. Altri libri: La zia Julia e lo scribacchino, Il pesce d’acqua ecc.• «Dentone peruviano, che fin dall´inizio si è messo in caccia dei suoi demoni personali – l´erotismo e l´assenza del padre che aveva abbandonato la famiglia, e che forse gli somigliava anche troppo - confrontandosi con loro nel campo unico e riservato in cui ogni scrittore dovrebbe confrontarsi: quello dello stile. [...] Con gli anni l´irrequietissimo ed eclettico peruviano ha diversificato la sua attività, diventando scrittore di teatro, saggista, commentatore, uomo politico, fino a presentarsi candidato alle presidenziali, un uomo orchestra dai talenti multipli» (Stefano Malatesta, “la Repubblica” 26/8/2003). «È un intellettuale che si sporca le mani con la vita: quando scrive ascolta i rumori del mondo facendo attenzione a non farli sopraffare da quello della sua penna che graffia la carta. Mario Vargas Llosa, “schiavo volontario e felice della letteratura”, come ama definirsi, ha macerato la sua arte in mille esperienze: quelle d’una infanzia dorata, poi precipitata, a soli dieci anni, nell’abisso del panico e dell’odio verso un padre violento riapparso dal nulla che s’aggirava per casa con aria collerica e rivoltella in tasca; i disperati e sempre frustrati tentativi di fuga; il collegio militare con le ambiguità e le perversioni narrate, poi, in La città e i cani; l’amore tenero d’una piccola prostituta chiamata “Piedi Dorati” conosciuta in un bordello del fosco quartiere di Huatica; la passione travolgente per una “donna snella e con lunghe gambe, voce rauca e risata forte” che si consuma tra scandali e denunce. Poi, quando è ancora poco più che adolescente, l’apprendistato giornalistico e, infine, la libertà definitiva: quella mirabolante Parigi degli anni Cinquanta dove “Marito” arriva ventenne grazie al premio vinto nel suo primo concorso come scrittore. Conosce la Spagna delle radici famigliari, l’Europa. Sino al ritorno, nel 1974, da letterato ormai cosmopolita, in un Perù nel quale la gente vive in condizioni disumane. Matura, in questo scenario dove s’incontrano miseria e corruzione elevata a sistema, la scelta politica che l’induce a candidarsi alle presidenziali contro “el chino” Fujimori. La sua ricetta, razionale e liberale, viene sconfitta e lui subisce l’onta dei fischi e dei maltrattamenti proprio da parte dei miserabili al cui riscatto aveva creduto. Una vita, cento romanzi: da La guerra della fine del mondo a Conversazione nella Catedral, dal diario elettorale Pesce nell’acqua, a Il sergente Lituma sulle Ande in cui prende vita un intreccio poliziesco sullo sfondo delle vicende del Perù e dell’avventura di Sendero Luminoso, da La festa del Caprone che ricostruisce la caduta del dittatore Trujillo a Il paradiso è altrove nel quale i temi di condanna contro le tirannie si coniugano con l’appello alla libertà e alla giustizia. [...] “La letteratura è stato l’elemento più stabile e permanente della mia esistenza. Sin dall’infanzia, quando ho dovuto subire questa situazione così difficile all’interno della mia famiglia, i libri, per me, sono diventati un rifugio, una compensazione agli atteggiamenti autoritari che mi venivano imposti e ai quali, per parecchio tempo, non ho osato ribellarmi. Uno scudo: mi sentivo protetto dalla lettura, e soprattutto dalla scrittura, nonostante mio padre non le considerasse ‘cosa da uomini’. O, chissà, è stato proprio questo suo disprezzo a farmele amare ancora di più. Forse se in quegli anni non avessi così sofferto, oggi non sarei uno scrittore [...] Sono convinto che la letteratura nasca da una certa insoddisfazione nei confronti della nostra società, della nostra vita. Ed è proprio questo inappagamento che ci induce a creare altri mondi, vite parallele nate e costruite dalla fantasia: l’attitudine critica si sviluppa e cresce grazie all’osservazione del rapporto tra la realtà vissuta e quella inventata. Ecco il motivo per cui, secondo me, a prescindere dalle coloriture, diciamo filosofiche, degli autori, tutta la buona letteratura è sempre un positivo germe di critica [...] La realtà dev’essere il punto di partenza, non d’arrivo. Senza una rottura con il contingente, la letteratura non raggiunge la sua indipendenza e, quindi, la sua sovranità. Anche se bisogna fare in modo di non cadere nell’astrazione altrimenti i lettori non si identificherebbero, non si riconoscerebbero nei personaggi. Per sintetizzare direi che occorre instaurare tra i due mondi una relazione dialettica perché la letteratura non è lo specchio della nostra vita, ma ci dà ciò che la vita di tutti i giorni ci nega [...] L’ispirazione non è qualcosa che arrivi da sola, per chissà quale miracolo: è il risultato di sforzo e di perseveranza. Forse esistono autori straordinari che non hanno bisogno di questa disciplina. Se dovessi fare un nome potrei, magari, citare Rimbaud. Ma credo che, nella maggior parte dei casi, il talento si costruisca sulla volontà. Dietro l’ambizione creatrice non ci sono quasi mai facilità o scioltezza. Basta leggere le biografie di geni come Flaubert o Joyce per rendersene conto» (Renato Rizzo, “La Stampa” 17/6/2004).