Varie, 7 marzo 2002
VATTANI Umberto
VATTANI Umberto Skopje (Macedonia) 5 dicembre 1938. Ambasciatore • «[...] Numero uno della Carriera dal 1997 al 2001 e di nuovo dal gennaio 2004, consigliere a Palazzo Chigi di De Mita, di Andreotti e di Amato, ex ambasciatore a Bonn e presso l’Unione Europea, Vattani conosce come nessun altro le vicende recenti e meno recenti della diplomazia italiana. [...] “Sull’attività di un diplomatico esistono purtroppo molte mistificazioni. Si pensa spesso che le invenzioni moderne abbiano reso superflua o comunque meno utile la sua opera, e si trascura di considerare che il diplomatico come tutti si è adattato ai tempi nuovi. Nel lavoro bilaterale come in quello multilaterale il diplomatico moderno, e mi riferisco naturalmente anche ai diplomatici italiani, ha dovuto allargare le sue conoscenze e acquisire l’uso di nuove tecnologie. E il suo ruolo, così aggiornato, non ha perso nulla dell’importanza passata. I negoziati internazionali avvengono spesso lontano dalle luci della ribalta, altrimenti fallirebbero perché nessuno ama confessare in pubblico un cedimento. Il trionfalismo è il nemico della diplomazia. Ma se ci tocca spesso lavorare nell’ombra, è bene ricordare che non per questo lavoriamo di meno o siamo rimasti in ritardo sui tempi. Il libro bianco del ’98 fu uno sforzo di radiografare il funzionamento della Farnesina, poi si passò all’opera di riforma riassunta nel secondo libro bianco del 2000: nacquero direzioni geografiche oltre a quelle tematiche, e una nuova direzione generale per l’integrazione europea che non era mai esistita. [...] Non posso non ricordare l’ingresso dell’Italia nel G 6 al vertice di Rambouillet. Questo lo dobbiamo all’ambasciatore Raimondo Manzini, e io allora lavoravo con lui. Fu una sfida appassionante che vincemmo evitando di rimanere esclusi da un direttorio, e che mi valse un encomio solenne di Aldo Moro anche se io ero al ministero da nove anni appena. Citerò poi il documento da me preparato per Andreotti e che fu, nel giugno 1991, il primo documento mai firmato da Gheddafi. Il viaggio a Teheran nel dicembre 2000, quando fui il primo ambasciatore occidentale a tornare in Iran. L’Iniziativa Adriatica, che nel maggio 2000 fu la prima a mettere insieme tutti i Paesi rivieraschi. Ricordo, nel marzo del 1991, il mio viaggio in Cina che fu il primo di un alto funzionario occidentale dopo la Tienanmen. E la prima venuta di un Segretario di Stato Usa, Colin Powell, nella sede europea del Justus Lipsius nel novembre 2003, durante la presidenza italiana quand’io ero Rappresentante a Bruxelles” [...]» (Franco Venturini, “Corriere della Sera” 9/6/2005) • «Chi c’era seduto accanto a Giulio Andreotti quando incontrava Tareq Aziz? Chi consigliava De Mita e prima ancora Forlani? Chi tenne testa per conto di Palazzo Chigi a Margaret Thatcher che sviliva la Conferenza di Roma (dai cui lavori sarebbe poi germogliata Maastricht)? [...] Soprannominato “il tedesco” dagli anni trascorsi a Bonn [...] . L’aspirazione non confessata (ma di cui si trovano ampie tracce nelle cronache) del superlavoratore Vattani, figlio, fratello e padre di diplomatici (come stigmatizzò spesso e volentieri [...] il presidente della Commissione esteri Migone), è di fare il ministro. [...] Riorganizzando nell’era Dini la planimetria lavorativa delle feluche italiane, aveva intessuto un rapporto personale con Berlusconi. Una leggenda narra che fu proprio grazie a quel personale rapporto che Vattani, scavalcando il suo ministro, lanciò a Berlusconi l’idea di spostare il vertice Fao da Roma, scansando dall’Italia nelle nebbie polemiche di Genova il rischio di altre violenze no-global. Narra la stessa leggenda che poi Berlusconi ne parlasse informalmente coi suoi in Transatlantico, e Vattani a una riunione tecnica alla Fao, e di lì una polemica che tenne le prime pagine dei giornali per settimane. Ma come sia andata veramente, o verosimilmente, resta il fatto che il peso specifico di Vattani è sempre stato valutato dal suo ministro, di cui peraltro è stato “collega” per una vita: la prima cosa che fece Ruggiero una volta insediato fu di incontrarlo, e di chiedergli: che vuoi fare? Una serie di “no” alle offerte (come anche a Berlusconi che lo voleva viceministro ai Beni Culturali) e una richiesta: andare a fare l’ambasciatore a Bruxelles o a Washington. A Bruxelles, da soli sei mesi, c´era Roberto Nigido: meglio convincere il vecchio amico Nigido che fare un torto all’amico Salleo, che ha accettato di rappresentare l’Italia alla Casa Bianca con una seconda proroga dalla propria pensione. [...] il primo a dichiarare pubblicamente che le nostre feluche devono anzitutto sostenere le imprese italiane nel mondo non è stato Silvio Berlusconi. È stato Umberto Vattani, nel non lontano novembre del 1999» (Antonella Rampino, “La Stampa” 8/1/2002).