Varie, 7 marzo 2002
VELARDI
VELARDI Claudio Napoli 25 ottobre 1954. Imprenditore ed editore. Fu braccio destro di D’Alema a Palazzo Chigi. Ex assessore al Turismo della Regione Campania (fino al giugno 2009) • «Membro dello staff di Massimo D’Alema, l’ha seguito a Palazzo Chigi. Viene, come Rondolino, dalla scuola della Fgci. Precursore della moda delle ”teste rasate”, seguita da Rondolino. Ex riformista napoletano passato da Napolitano a D’Alema. Molteplici esperienze di vita, come Rondolino, tra le quali segretario regionale della Basilicata e giornalista di ”Repubblica”. E’ specializzato. D’Alema fallisce la Bicamerale, e Velardi fallisce nel partito. D’Alema fallisce la Cosa 2, e Velardi fallisce all’’Unità”. Trionfa uno, trionfa l’altro. […] Ha casa a Capri e d’estate manda agli amici un biglietto da visita con sopra scritto: ”Siamo in casa a partire dalle 20”. Mario D’Urso non manca mai, mai una volta, in un rigurgito di albagia aristocratica rimandò indietro il cartoncino con una risposta: ”Per quel che mi riguarda potete anche uscire”» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini”, 31/10/1998). «[...] ”Eravamo decorosamente poveri”. Figlio di Francesco, tipografo e piccolo editore (era sua la enciclopedia della canzone napoletana curata da Ettore De Mura nei primi anni Settanta) ”cui non ho fatto a tempo a dare soddisfazioni” e di Maria Tittì Campaiola, pianista ”eterea e bruttina, io ho preso da lei”, ha respirato politica fin da bambino. Il nonno Enrico Velardi, ferroviere socialista, perse il lavoro perché antifascista e si mise in proprio. Al nipote Claudio, migliorista dalemiano, è stato d’esempio. ”Vivo di contraddizioni, da sempre. Ero proprio bruttino, pedicelloso, mi piacevano i fascisti, leggevo i diari di Galeazzo Ciano. Mi buttai a sinistra, al ginnasio, solo perché tutte le belle piccirelle erano nel movimento, le migliori al manifesto. Avevo anche un gruppo musicale, gli Hell’s Angels, suonavo la tastiera. Carriera politica regolare, dalla Fgci fino al vertice del partito. Da ragazzini, facevamo anche la fame: in Calabria, con Marco Minniti, ci imbucavamo a mangiare ai funerali, però come era bello stare per ore al bar della piazza, svegliarsi all’una e fare una riunione al giorno, con calma... A Roma, poi, nella casona di via Tacito dove alloggiavamo noi capetti figiciotti, che bordelli! E quante partite a Risiko con Massimo D’Alema. Ero bravino nelle tattiche, sono un tecnico. Ma non sapevo fare i comizi e non mi volevano, ero ridicolo, si capiva che mi sembrava di dire troppe frottole e non ero convincente”. Con Velardi c’è un pericolo permanente: è inevitabile cedere al primo istinto, che è quello di farsi contagiare dalla simpatia. Sulla simpatia, sui rapporti, sulle buone amicizie e sul ”ci penso io” è fondato il suo vulcanico e un po’ misterioso universo imprenditoriale, specializzato in marketing politico e lobbying: ”Fattura 22 milioni di euro all’anno. E le quote societarie sono diviso quattro: un 30% ciascuno io e i miei due amici di sempre, Antonio Napoli e Massimo Micucci, un 10-12 % della holding appartiene invece a un gruppo di bresciani che controlla le autostrade venete”. Velardi ha venduto le sue azioni del quotidiano arancione Il Riformista alla famiglia Angelucci [...] Le sue società principali, Reti e Running hanno clienti come Autostrade, Lottomatica, Enel, Sky, Fastweb, cui forniscono di tutto, dal monitoraggio parlamentare alla telefonatine di rassicurazione quando uno dei capi deve affrontare un’intervista o un convegno, scrivono testi, emendamenti utili alle aziende, sorreggono gli amministratori delegati freschi di nomina, combinano appuntamenti discreti con i politici giusti al momento giusto. La Wi-fi, la capogruppo, ha acquisito [...] la società di ricerche di mercato Gps, del sociologo Giampaolo Fabris. Un’altra sigla, la ”Papermoon” produrrà una serie lunghissima di telefilm per Raifiction dell’amico di sempre Agostino Saccà [...] ex dirigente comunista, ex giornalista, ex portavoce e capostaff di Massimo D’Alema, prima alla Camera e poi a palazzo Chigi.Una strategia che’applicata al governo del Paese – portò alla batosta elettorale del 2000. Quella mattina, sul presto ”Massimo mi chiamò e mi disse: vado là e mi dimetto. Ero d’accordo con lui. Eravamo stati troppo arroganti, troppo presuntuosi e troppo ingenui. Quando Guido Rossi, consulente della vecchia Telecom, ci lanciò un’accusa che ancora gira, quella ”di avere costruito a palazzo Chigi l’unica merchant bank in cui non si parla inglese’ avremmo dovuto rispondere, invece ci siamo chiusi nella torre e siamo finiti assediati. Pensavamo che, una volta al governo, avremmo portato in avanti l’Italia, pensavamo che tutte le chiacchiere sul complotto che fece cadere il governo Prodi e sullo staff dei Lothar, noi pelati, erano poco importanti rispetto al grande compito che ci attendeva. Certo, quando tutto finì e sentii Mussi parlare di ”velardismo’ come fosse un reato, mi tolsi qualche sassolino dalle scarpe: in un’intervista, li minacciai, utilizzando la memoria storica e la conoscenza delle storie di partito. Da allora, le battute su di me sono finite”. Adesso, giura di avere ”buoni rapporti con tutti” [...]» (Barbara Palombelli, ”Corriere della Sera” 18/3/2006). «[...] capo dello staff del D’Alema segretario alle Botteghe Oscuree e del D’Alema premier a Palazzo Chigi. Oggi lobbista: rappresenta ai politici gli interessi delle aziende che lo pagano. E consulente politico: organizza le campagne elettorali dei candidati. [...] ispiratore del ”Riformista” [...] ”Fin quando ho fatto politica non ho mai organizzato affari. I miei conti, quando sono uscito da Palazzo Chigi, erano in rosso [...] Essere capo dello staff di un leader significa esercitare la funzione di critica [...] Dire al tuo capo ”stai facendo bene’ è tecnicamente una stronzata [...] Il leader è un narcisista, una persona totalmente autocentrata. Chi gli sta vicino deve evitare che esageri. D’Alema si lamentava perché alle 8 e mezza io avevo già letto i giornali e cominciavo a dargli addosso [...] ”Hai sbagliato tutto’… ”Hai fatto tutte cazzate’… ”Ti stai fottendo con le tue mani’ [...] Il nostro staff è stata un’innovazione anche perché i singoli membri erano dotati di una certa personalità, Fabrizio Rondolino, Massimo Micucci, Antonio Napoli, Gianni Cuperlo, Nicola Rossi, Nicola Latorre e Claudio Caprara.. D’Alema si è messo vicino delle persone dotate di cervello… [...] Io ho una stima sconfinata per D’Alema. Dovevo combattere contro me stesso una incredibile battaglia per non adularlo [...] L’obiettivo di chi sta dentro una direzione di partito è fare fuori quello che è più vicino al leader per insediarsi al suo posto” [...] Velardi passa la vita a mostrarsi più intelligente di quello che è. Chi l’ha detto? ”L’ha scritto Santoro [...] Ebbi uno scontro con lui dopo una partecipazione di D’Alema ad una sua trasmissione [...] Santoro aveva fatto passare per una donna comune una signora che aveva portato lì col preciso scopo di rompere i coglioni a D’Alema. un trucco che usa spesso, quasi ogni settimana. La massaia che passa per caso [...] Occhetto è una persona deliziosa e simpatica che politicamente non vale un granché [...] Io sono un uomo pieno di passioni, uno che si indigna quando vede gli arrivisti e i cinici [...] Pietro Folena, Giovanna Melandri, Fabio Mussi. Hanno partecipato ad un’esperienza di governo, sanno com’è difficile risolvere i problemi di un Paese, a quanti compromessi bisogna adattarsi. E [...] per piccole convenienze di collocazione interna, scelgono una strada totalmente divergente. Questa loro indifferenza rispetto ai contenuti, ai valori… [...] Fu Guido Rossi a parlare di noi come di ”una merchant bank di gente che non sa parlare inglese’. Uno che per le sue consulenze prende parcelle miliardarie e poi si spaccia come padre nobile della sinistra [...] Quando la sinistra vinse le elezioni nel ”96 Storace incontrò D’Alema allo stadio e gli disse: ”Ah D’Alè, mo te do la lista de quelli che arrivano da te a ditte che so’ sempre stati de sinistra. So’ gli stessi nomi de quelli che arrivarono da me a dimme che erano sempre stati de destrra’. [...] Mio padre aveva una piccola tipografia di un certo peso e tradizione. Mia madre faceva l’insegnante di musica. Io andavo a scuola al Genovesi, il liceo classico di Napoli [...] Arrivai al Genovesi fascista, leggevo i diari di Galeazzo Ciano. Con le ragazze non funzionava. Mi detti malato per una quindicina di giorni e tornai a scuola comunista [...] Avevo 14 anni. Ero confuso e combattuto tra impegno politico e cazzeggio. Avevo un complesso rock, gli Hell’s Angels, e poi andavo alle riunioni politiche gruppettare in cui non capivo niente. Un leader dell’epoca, Guglielmo Trupiano, sotto l’obelisco di piazza del Gesù, mi disse: ”Tu sei uno sporco bordighiano’. E io pensai: ”Ma che avrà voluto dire?’ Qualche anno dopo, sciolsi il complesso e mi iscrissi al Pci [...] Questa sinistra snob che fa i girotondi con le giacche di cachemire mi sta sui coglioni. Se vivi una condizione borghese, devi essere un borghese. eticamente indecente atteggiarsi a proletario. La sinistra snob è gente che vive bene, frequenta benissimo, guadagna moltissimo e se la passa comoda [...]”» (Claudio Sabelli Fioretti, ”Sette” n. 21/2002). La sua società, Running, per le elezioni 2001 offriva un pacchetto tutto compreso da 45 milioni di lire: «’Al candidato offriamo un servizio completo: analisi del collegio, sondaggi, organizzazione del budget, strategia di comunicazione e scelta dei temi della campagna, un sito web e i rapporti con la stampa”. Diciotto clienti in tutto, ”tutti in collegi marginali, quelli dove la differenza la può fare il candidato”. Ex collaboratore di Massimo D’Alema, si conoscono dal 1974: ”Ero nella Fgci e dovevamo scegliere un segretario quando ad Ariccia, al comitato centrale, arrivò un giovane antipatico e arrogante. Era Massimo D’Alema. Fece un discorso fiume, uno dei suoi, e alla fine tutti dissero: è il migliore […] L’anno dopo, avevo vent’anni, mi spedì a commissariare la Fgci di Reggio Calabria. C’era il sospetto che molti iscritti fossero inventati e così mi disse: vai e raddrizza le cose […] Dopo un anno mi ruppi le scatole, presi un giovanotto e gli dissi: resta qui tu. Era Marco Minniti.”» (’La Stampa” 21/4/2001).