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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

VENDITTI

VENDITTI Antonello Roma 8 marzo 1949. Cantante. Autore • «Frequenta verso la fine degli anni Sessanta il Folkstudio di Roma: da questa esperienza nasce il primo album, Theorius Campus, inciso nel 1972 insieme a Francesco De Gregori e in cui figurano Sora Rosa e Roma capoccia. Dopo altre prove discografiche e brani che conoscono una buona notorietà (come Le cose della vita e Mio padre ha un buco in gola, 1973; Quando verrà Natale e Campo de’ Fiori, 1974), ottiene vasto e duraturo successo nel 1975 con l’album Lilly (che comprende anche Compagno di scuola). Il segreto della continuità della sua popolarità sembra risiedere nell’abilità nel far convivere testi riflessivi, intimisti e persino a volte di amara denuncia e dura protesta con una cantabilità aperta, facile, di immediata comunicazione. Questa miscela di umori diversi, tenuti insieme da una disponibilità melodica non frequente nei repertori dei cantautori, gli garantisce un seguito che lo accompagna quasi inalterato per due decenni. Possiamo ricordare solo alcune tappe del suo persorso artistico: innanzitutto gli album discografici che si susseguono regolarmente, fra cui Sotto il segno dei pesci (1978, contenente Bomba o non bomba e Sara), Buona domenica (1979), Cuore (1983, con Ci vorrebbe un amico e Notte prima degli esami), In questo mondo di ladri (1988, con Ma che bella giornata di sole), Benvenuti in paradiso (1991), Prendilo tu questo frutto amaro (1996). Poi è doveroso ricordare i concerti sempre gremitissimi che lo vedono protagonista: fra questi citiamo quello tenuto al Circo Massimo di Roma nel 1983 (dove presenta Grazie Roma) e quello in piazza Plebiscito a Napoli nel 1996» (Augusto Pasquali, Dizionario della Musica Italiana – La canzone, Newton&Compton 1997). «Un´infanzia difficile. ”Sono nato di otto mesi, pesavo un chilo e quattro. Nel ´47 non esisteva l´incubatrice: quelli come me li buttavano via. Mi salvò un sogno. A mia madre apparve Francesco Saverio, un santo. Le disse solo: ”Wanda, lui vivrà’ e così si ritrovò tra le mani questo sgorbio. Sono figlio unico e sono vissuto per essere seviziato da mia madre, che è stata professoressa di latino e greco. Ancora oggi, a 91 anni, mi telefona ogni sera, le stesse domande, e se sbaglio c´è pronto il voto: ”Quattro’. Da ragazzino ero grasso come un maiale, pesavo 94 chili, mi chiamavano ”cicciabomba’ e per uno che chiamano così è finita, sei quello che non inviteranno mai alle feste”. Nipote di romana chiesa. ”Mia nonna era cattolicissima, la domenica mi obbligava a seguire la messa mattutina. Tornavamo per colazione, poi chiaramente a mezzogiorno tutta la famiglia doveva andare alla messa borghese. Mia nonna tornava anche lei. Poi, a sera, sempre la nonna mi accompagnava alla messa vespertina. Ricordo una domenica, a 14 anni, che avevo la febbre e non potevo muovermi dal letto, la nonna mi chiamò dal salotto: ”Vieni a vedere la messa in televisione’. Ecco perché io poi ho scritto Buona domenica: me ne intendo di domeniche, io”. Mio padre l´anarchico. ”Papà era un anarchico libertario. Veniva da Campolieto, un posto pieno di neve in Molise. Era l´ultimo di nove figli. C´era il fascismo, ma lui nel ´36 decise di partire per la Spagna, dove c´era la guerra civile, a combattere contro Franco. Mio zio Vincenzo Italo riuscì poi a convincerlo ad andare in Africa. Fu l´unico sopravvissuto di una compagnia che fu sterminata, attraversò da solo il fiume ed entrò nelle file degli inglesi. Gli spararono in pancia ma la fibbia della cintura da sottufficiale deviò il proiettile che gli si conficcò in gola. Per questo ho scritto Mio padre ha un buco in gola, tutto vero, compresa la medaglia d´argento. Trascorse in Africa sei anni di prigionia. Poi tornò nell´Italia liberata, incontrò mia madre e così passò da una prigionia all´altra. Eccomi qui, sono la prova vivente che mio padre e mia madre hanno fatto almeno una volta all´amore”. La musica, di nascosto. ”Suonavo il pianoforte di casa quando i miei uscivano: si sono accorti che componevo canzoni solo molti anni dopo. La prima fu Sora Rosa, e credo che sia ancora la più bella canzone che ho scritto. Mia madre mi voleva dottore, sognava per me dei pranzetti alle due del pomeriggio, una vita da impiegato. A 15 anni mi sono innamorato e ho perso drasticamente chili: ho sognato molto da quella stanzetta. In quegli anni ho scoperto la politica: mi sono ritrovato in una manifestazione del Msi a urlare ”A chi Trieste? A noi’, non sapevo nemmeno cosa fosse. Il quartiere Trieste a Roma non era precisamente democratico. Qualcosa stonava, ero diverso da loro, e le presi da un picchiatore che si chiamava Peppe il roscio”. Santo Dylan. ”Che Dio benedica Dylan: cancellò le canzonette e le trasformò in comunicazione. Ma nel ´63 Dylan non c´era, al Piper applaudivo i Rokes, l´Equipe ´84, e i Naufraghi per cui stravedevo. I cantautori genovesi guardavano a Brassens, a Brel, io invece presi a suonare il pianoforte come una chitarra acustica”. Le sigarette. ”Chiedo la comunità di recupero. ”Il fumo uccide’ sui pacchetti è un´ammissione di colpa del Monopolio”. Lilly e Grazie Roma. ”Cantare Lilly mi fa male, per questo la evito. Non posso fare Sanremo, io canto quando me lo sento. Grazie Roma è dedicata alla mia città: la scrissi al ritorno da Milano, il mio esilio dopo il divorzio. Scappavo dai sensi di colpa, e mi perseguitavano gli Izzo´s”» (Carlo Moretti, ”la Repubblica” 19/11/2003). Grande appassionato di Mozart: « Mozart mi è molto vicino, ho trovato anche analogie sorprendenti con la mia vita nei rapporti con la famiglia, le donne, la politica. Non era allineato, dalle lettere viene fuori un ribelle, uno scavezzacollo. Le lettere sono quanto di più divertente e moderno anche come linguaggio. La coprofilia di Amadeus era geniale: scriveva alla cuginetta in uno ”slang” che quasi anticipa il linguaggio degli sms [...] Mozart all’inizio lo consideravo la perfezione razionale. Poi avvicinandomi alla sua vita ho visto quanto poteva dare anche umanamente. Da ragazzo comunque, essendo pieno di problemi esistenziali, i miei riferimenti erano più romantici: Chopin, Liszt... A 8 anni, quando ho cominciato a suonare il pianoforte, ero costretto a confrontarmi con autori anche importanti. L’ho studiato con una professoressa che mi dava le bacchettate. Mi hanno talmento massacrato per farmi seguire le regole che sono diventato creativo quando ho smesso. La mia natura rivoluzionaria è partita da queste imposizioni [...] poi ho frequentato musicisti di tendenze avanzate. L’album Lilly che contiene Santa Brigida, canzone popolare laziale in una versione sinfonica moderna, è stato arrangiato da Nicola Samale e da Giuseppe Mazzucca. Ero anche amico del compositore Domenico Guaccero. Una volta gli dissi: ma che devo fare per imparare il pianoforte? Mi rispose: se non stai zitto ti porto dai miei allievi, così sentendo quello che ti sei inventato vedranno come si suona. Per me la loro considerazione era un onore [...] Pur sapendola leggere ho sempre rifiutato la musica scritta forse perché avevo sofferto col solfeggio [...] Ho abbandonato il pianoforte perché la mia band si è ribellata. Mi hanno detto: ”Torna alla tua veste rock e noi ti dimostriamo che il tuo pianoforte siamo noi”. [...]» (Alfredo Gasponi, ”Il Messaggero” 28/8/2004).