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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

VERONESI

VERONESI Sandro Prato 1 aprile 1959. Scrittore. Ha vinto il premio Viareggio con il libro La forza del passato, lo strega con Caos calmo. Altri libri: Venite venite B-52, Per dove parte questo treno allegro, Gli sfiorati più i non-fiction Cronache italiane, Occhio per occhio e Live. Lavora anche per radio, cinema, televisione • «Di Sandro Veronesi hanno detto di tutto. Che è uno scrittore di regime (leggi Veltroni). Che è antipatico. Che ha venature cielline (!!!). Che è un figlio di… (nel senso metaforico dell’espressione). Che fa lo scemo per non andar in guerra. Che è un bestsellerista. Che è di Prato […] Ma si sono dimenticati di dire la cosa più vera e importante. Che Sandro Veronesi […] architetto […] è il più grande scrittore italiano della sua generazione e di quella successiva e di quasi tutta quella precedente […]» (Antonio D’Orrico, ”Sette” n. 11/2000). «Identico nell’aspetto ai ragazzi della scuola Holden che frequentano le sue lezioni di tecnica narrativa, a proprio agio in una quotidianità di computer, panini, T-shirt e sigarette sempre fumanti, un ”no” tatuato sul polso destro a ricordare il giovanile dovere dell’intransigenza, somiglia a un prototipo, letterario ma anche realistico, di figlio. Un figlio che molti genitori vorrebbero, intelligente, impegnato, responsabile, che ha combattuto la pena di morte al fianco di Amnesty International, un figlio adulto che provvede con affettuosa dedizione ai suoi tre bambini ma che non ha abbandonato il ruolo di partenza, quello di figlio appunto. Un’ipotesi suggerita soprattutto dai suoi libri nei quali la figura del padre fa da pilastro ad ogni perlustrazione. Una presenza vistosa, costante, a cominciare dal primo romanzo, Per dove parte questo treno allegro, annata ”88, fino all’ultimo, La forza del passato, che nel 2000 vinse sia il premio Viareggio che il Campiello. […] ”Quando mi trasferii a Roma da Prato, dopo una laurea in architettura che avevo deciso di non usare, Vincenzo Cerami molto generosamente mi ospitò a casa sua per un anno. La moglie, cugina di Pasolini, nella stanza in cui dormivo aveva raccolto tutte le sue cose. Ho letto il Decamerone con le pagine commentate dalle annotazioni di Pasolini, ho scritto con la sua Lettera 22, ho usato i suoi oggetti […] Sono cresciuto con letture della tradizione anglosassone. In Shakespeare, ma anche in Joyce, il tragico e il comico finiscono per essere la stessa cosa. Quando si capisce che questo rapporto può divenire indissolubile si può rischiare senza fare del cabaret […] Mi collocherei sotto un’etichetta di realismo magico. Utilizzo il realismo, a volte l’iperrealismo, ma per creare altro. Una specie di lettura dei tarocchi. Spesso con anticipazioni. Ho consegnato La forza del passato nel ”99 e pochi mesi dopo è scoppiato il caso Mitrokhin e ad alcuni italiani è stato detto che un loro parente era una spia russa”» (Donata Righetti, ”Corriere della Sera” 5/5/2003). «Leggo le sue storie giornalistiche e mi chiedo: ma come fa a trovarsi sempre nel posto giusto, con la descrizione appropriata e impeccabile? Come fa a tirare lungo per varie pagine sui ”pesci-siluro”, oppure sul ”popolo dagli occhi azzurri” e io lì a pensare ma guarda quanto è bravo e, a tratti, a ridere delle sue notazioni improvvise e stravaganti? Lo so, è un po’ da sciocchi chiedersi come fa uno a fare una certa cosa. In genere la fa. E se la fa bene o male te ne accorgi. Non è diverso se suona il pianoforte, recita un monologo, monta a cavallo, o gioca a tennis. Però se uno è veramente bravo, ma così bravo da infilare dentro un racconto non una ma due e a volte tre o quattro storie contemporaneamente, allora vuol dire che quello lì con la realtà ha un rapporto proprio speciale. E pensare che ho spesso immaginato lo scrittore come un signore che ama troppo o troppo poco questa benedetta realtà: la rispecchia o la supera, ricordate le annose questioni che ci ponevamo in passato? Invece raramente mi sono imbattuto nel tipo umano un po´ particolare, che sta sulle cose che lo interessano, ma in modo così provvisorio da sembrare sempre pronto alla fuga. Ecco, credo che la sua bravura stia nell’appartenere alla piccola schiera dei narratori invisibili che non entrano mai trionfalmente dalla porta principale. Prediligono aperture secondarie e punti di vista insoliti per spiegarci (spesso involontariamente) che cosa accade nel mondo. chiaro allora che si può capire, per fare un esempio, che cosa sia il potere della televisione, in che cosa consista il suo fascino commerciale non solo compulsando la massa di analisi che sono state prodotte. Ma anche leggendo il resoconto della gita a Biella che luii fa in pullman con altre persone per visitare il mobilificio Aiazzone. Naturalmente sto un po’ esagerando. Ma mi colpisce quel suo modo di raccontare: i piani narrativi si sdoppiano e si intersecano come in uno strano gioco che, in questo caso, inizia in una fredda alba al casello di Prato-Ovest e termina a notte tardi nello stesso posto dove il cronista-scrittore viene scaricato. In mezzo c’è il viaggio, l’odissea, il contatto con gli altri umani-alieni, l’approdo sul pianeta Aiazzone: storie minime, piccoli sogni, miti minori. Ecco il mondo che lo incuriosisce, e dal quale si lascia volentieri contaminare. L’effetto certe volte è esilarante. Come nella visita al Mago dell’Andalusia, in cui lo scrittore, ormai mimetizzato nel potenziale cliente, si rivolge all’esperto paragnosta per trarre auspici circa il proprio futuro lavorativo e amoroso. Un delizioso gioco di equivoci ci mette di fronte a una vicenda apparentemente grottesca, in realtà segnata da una forte teatralità. Lo scrittore e il mago insomma interpretano dei ruoli. Anche se in modo diverso, sono entrambi interessati alla profezia e alla menzogna. Non è ciò che in parte li accomuna? All’esplorazione letteraria della cronaca si aggiunge dunque un cambio di mentalità culturale. come se ci dicesse: guardate, non esistono cose speciali di cui la letteratura si deve occupare. La battuta di caccia si svolge su un territorio illimitato. Sicché a ridosso delle sue storie cresce una sorta di terreno libero sul quale lo scrittore non solo esercita la fantasia, ma tormenta la propria psiche. Sarà giusto quello che sto facendo?, sembra a volte chiederci. Uno dei segreti della vera comicità consiste non solo nel non prendersi troppo sul serio, ma forse anche nel sentirsi inadeguati al compito che ci siamo assegnati. In molte pagine si ride perché ho l’impressione che conosca il segreto dell’inadeguatezza: lo distilla e poi lo sparge come un’essenza comica sulle sue avventure. Averle poi chiamate Superalbo, non è solo un omaggio al fumetto, ma anche un modo di attestare una lontana concezione dell’infanzia che attraverso il fumetto leggeva i propri sogni. Quelli che nutrono la sua testa ci appaiono di una semplicità infinita. Tutto ciò che accade sembra insomma verificarsi ai margini del mondo adulto. Come in una bolla, o in un fumetto appunto. Si ha la sensazione a volte che le storie siano narrativamente troppo belle per essere veri reportage. Prendiamo ”La cena più buona delle nostre vite”. La storia si basa su un piccolo e forse ridicolo desiderio che ognuno di noi ha avuto almeno una volta nella vita: sperimentare il ristorante più buono del mondo. Ebbene lui ci racconta di un’esaltante esperienza gastronomica vissuta a Londra. Ma lo fa - ecco il punto - introducendo un personaggio che non ci aspetteremmo di trovare, soprannominato il Pinguino, il quale è un seguace di mode punk, ma soprattutto è il fratello di una sua vecchia amica. Lo stesso schema si ripete nella storia dedicata al boicottaggio della Standa. Qui l’elemento insolito, risolutore si direbbe dell’intera vicenda, è l’apparizione di un temibile stormo di uccelli che minaccia di bombardare con il proprio guano i protagonisti della storia. In entrambi i casi, ma potremmo moltiplicarli tranquillamente, un elemento esterno alla storia principale crea una seconda storia capace di risolvere la prima. Tutto questo naturalmente ci immerge nell’aria un po’ pesante della critica letteraria. Ma dopotutto è quella che siamo costretti a respirare se vogliamo capire, e non solo intuire, il senso di quella domanda che, con una certa invidia, ci ponevamo all’inizio: come fa a trovarsi sempre al posto giusto con la descrizione giusta? Rispondo rovesciando i termini: è la descrizione giusta a creare il posto giusto. Con ogni evidenza siamo nel pieno dell’arte della menzogna, di cui la letteratura è la straordinaria interprete. Leggendo queste cronache si può dunque sospettare una certa dose di arbitrarietà, un accomodamento o forzatura dei fatti. Con il rischio che il romanziere si lasci prendere la mano e voli alto e noi con il naso all’insù ad applaudire ammirati quei volteggi eleganti, e quelle discese repentine. Ma alla fine tutto quanto di ovvio ci possa venire in mente mal si adatta al suo stile. A leggerlo, semmai, si ha l’impressione di stare di fronte a uno scrittore dotato di una sconfinata curiosità. E’ tra coloro che la realtà la fiuta, conosce la direzione dei suoi venti, i quali portano i loro messaggi solo a chi sa ascoltarli. Direi inoltre che quasi ognuna di queste storie fotografa, forse involontariamente, il lembo di un’Italia minore. Verrebbe da dire di un’Italia implicita. Mi chiedevo, alla fine di questa lettura, se c’è, nell’ampio arco di tempo in cui queste vicende sono state scritte, qualcosa che le unisca e, per così dire, le cristallizzi in una immagine. Ebbene il collante mi pare risieda nel bisogno che Veronesi ha di trasformare la vita in ciò che di più surreale nasconde. Ai suoi occhi solo il surreale può aspirare all’insolito e solo ciò che è insolito merita di essere raccontato. E naturalmente solo ciò che è narrato alla fine risulta essere vero. Gli uomini, si sa, sono nati anche per raccontare storie, gli scrittori per dar loro una forma. Un’esperienza può spingere qualcuno a scrivere un romanzo, un’altra a lavorare sulla cronaca. Qual è la più intensa? Non sono così sicuro che la prima abbia più forza della seconda. La cronaca eccita, il romanzo emoziona. Ma ecco un caso che scompiglia le nostre convinzioni, e in cui la cronaca diventa in qualche modo il romanzo di un paese umilmente eccentrico. L’ho capito leggendo le pagine che Veronesi dedica agli sport che ama e che sono poi quelli popolari: il pugilato (l’intervista a Sandro Mazzinghi); il ciclismo (la tappa di un Giro d´Italia raccontata dall’interno); il calcio (le peripezie di un padre che porta il figlioletto a giocare in una squadra in cui tutti vogliono essere o diventare come Totti). Non so se questo libro finirà al macero - preoccupazione lievemente kafkiana che l’autore manifesta in uno dei suoi racconti. Quello che so è che se un uomo scrive divertendoci, in un paese sempre più triste, oggi questo è solo un’eccezione» (Antonio Gnoli, ”la Repubblica” 22/5/2002).