Varie, 7 marzo 2002
VESPA
VESPA Bruno l’Aquila 27 maggio 1944. Giornalista tv • «Che giornalismo pratica Vespa, cui comunque tutti riconoscono doti di grande professionalità? Nella storia della tv italiana esistono tre grandi modelli informativi: il giornalismo di governo (il più praticato, vista anche la natura politica di Rai e Mediaset), il giornalismo di lotta (il meno frequentato, per le stesse ragioni di cui sopra), il giornalismo di lotta e di governo (il più infido e corteggiato). Nel suo campo Vespa è un gigante, tanto che un cinicone come Francesco Cossiga ha definito Porta a porta il terzo braccio del Parlamento. sempre molto soddisfatto di sé, compiaciuto, curiale nei modi: quando si annoia mette una mano in tasca e suona il din don. In campo opposto (nella lotta) non c’è l’eguale di Vespa: per ragioni storiche, per una mentalità che è estranea alla nostra tv, perché la politica non lo consente. Il ”lottatore” in Rai c’è ma è un outsider, un precario dell’informazione. Nella tv italiana lussureggia invece la terza specie, la più odiosa. Giornalisti che, quando sono in minoranza, si appellano alle grandi scuole dell’informazione, ai miti del controllo, alla tv di qualità e, quando invece salgono al potere si comportano come o peggio di Vespa» (Aldo Grasso, ”Corriere della Sera” 2/6/2005) • «[...] Quando debuttò, Porta a porta si fece notare per l’accoppiata politici / ballerine fino allora inedita nei talk show. Il filone è poi proseguito brillantemente, riciclando la politica insieme ad altri classici dell’avanspettacolo. Nel variopinto campionario, resta tristemente memorabile la serata in cui Vespa, sospinto da una compiacenza pronta a ogni crudeltà, accoppiò Berlusconi con quello sventurato tifoso del Milan, ripresosi dal coma ascoltando la voce del presidente della sua squadra: il giovane fu messo davanti ai microfoni pur non essendo in grado di dire una sola parola e fu il Cavaliere a interrompere l’horror show. [...]» (Gualtiero Peirce, ”Il Venerdì” 17/4/1998) • «Momenti alti e bassi, esaltanti e frustranti, ma sempre ”libero”. Che ricordo ha della Rai degli inizi, quando entrò nel ”62, in pieno ”regno” Bernabei? ”Per me era come il Vaticano visto da un vice parroco di campagna. Quanto a Bernabei quella Rai è stata molto rivalutata, ma lui era un accentratore assoluto soprattutto sui telegiornali: c’era un controllo ferreo. Ma l’informazione di "Tv7" ed il varietà erano ad altissimi livelli”. Dice che con il rapimento di Moro (16 marzo ”78) cambiò la tv: ”Perché fino ad allora eravamo addestrati a telecronache molto tradizionali, in quel momento ci trovammo davanti a esigenze diverse, di ritmo, di lunghe dirette. Il miglior pezzo di cronaca degli ultimi 50 anni resta proprio quello di Frajese da via Fani. Un processo peraltro avviato già nel ”76 subito dopo la riforma. In quegli anni ci fu una grandissima libertà nei tg. Mostrai i fischi a Tanassi e le grida contro Rumor”. Negli anni ”80 comincia la grande lottizzazione. ”Quella c’è sempre stata. E comunque Maradona in panchina non ne ho mai visti. I direttori non sono mai stati sorteggiati, a caso. Diciamo che l’editore fino al ”75 era il governo, poi il Parlamento, ma sempre politico era”. A proposito di editore: la sua ”storica” frase del ”92 (’La Democrazia cristiana è il mio editore di riferimento”) quando era direttore del Tg1 procurò scandalo e ancora oggi gliela rinfacciano. ”Il tasso d’ipocrisia fu clamoroso. Certo fu imprudente da parte mia. Era vera, ma non avrei dovuto dirla”. Gli anni ”80 furono anche quelli della direzione di Biagio Agnes. ”Un grande. E per noi fu il momento delle barricate, del grande orgoglio aziendale contro la nascente Fininvest. Anni difficili. Berlusconi fu bravissimo a creare le tre reti, e poi grazie al decreto di Craxi riuscì a non farsele sopprimere. E noi rischiammo di essere penalizzati […] Nei telegiornali si sentiva il peso di De Mita e Craxi. Fino ad arrivare allo schematismo del Tg1 alla Dc, il Tg2 ai socialisti, il Tg3 ai comunisti, che portò alla grande crisi fino a Tangentopoli”. Nel ”90 arriva un nuovo direttore: Pasquarelli. ”Mi rimproverava di essere scoopista. Diedi, unico tg, la notizia di Craxi incastrato da Chiesa, ma nessuno mi disse bravo. Pasquarelli, però, pagava il conto di Telekabul (’87): fino ad allora la tv aveva protetto gli amici ma non aveva attaccato i nemici, proprio come la magistratura. Ma dalla fine degli anni ”80, con la tv militante tutto cambiò”. Nel ”87 nacque anche Samarcanda di Santoro. ”Il grande merito di Santoro è di aver allargato la fascia dei protagonisti e cambiato il linguaggio, ma ci fu grande rottura delle regole del gioco. Che ha portato alla discussione di questi giorni: cosa deve essere la tv pubblica? […] Il momento peggiore è stata la Rai dei Professori, nel ”93 perché volevano fare la rivoluzione. Hanno massacrato molta gente: io ero sull’orlo del licenziamento, Stagno e Pastore sono stati messi alla porta. Quello più bello? Tutti gli altri, anche se la telefonata in diretta del Papa resta indimenticabile. Quando ero in trattative con Mediaset, ero lacerato. Nel bene e nel male la mia famiglia è questa”» (Maria Volpe, ”Corriere della Sera” 30/5/2002) • «Vogliamo verificare con gli storici contemporaneisti se gli annali politici di Bruno Vespa sono testi storici attendibili o no? Verifichiamo. Purtroppo non è facile. C’è un po’ di reticenza. Un po’ di diplomazia. Ma […] gli storici una loro opinione se la sono fatta. Adesso, il libro. Puntuale come i saldi di fine stagione, arriva dunque in libreria questa nuova fatica annalistica di Bruno Vespa. Ottavo di una fortunata serie che da anni, ogni anno, sbanca le vendite spazzando via la concorrenza di Enzo Biagi e conquistando centinaia di migliaia di lettori, il libro consegna anche quest’anno ai profani la ricostruzione di quello che è accaduto. Racconta i primi cento giorni del governo del centro destra: dalla vittoria del 13 maggio, ”il più grande passaggio di poteri da una classe politica all’altra mai registrato nella storia repubblicana”, agli scontri genovesi del G8; dalla tragedia dell’11 settembre alle sue conseguenze. Condisce il tutto coi retroscena meno noti, le indiscrezioni più sfiziose, le prospettive segrete di quel gran teatro del potere che Vespa stesso amministra con sacerdotale sapienza, e qualche noto difettuccio, anche via etere dalla ribalta di Porta a Porta. E offre, il libro, una raccolta di dati, ufficiali e non, in cui si compendiano cifre, statistiche, raffronti elettorali, rapporti del governo, atti amministrativi. Tant’è che son già in molti fra i lettori a considerare questi tomi in apparenza fatui ed estemporanei, incalzati dall’effimero e segnati da un’ansia piatta tipica della rappresentazione in forma catodica, una fonte ineludibile per gli storici a venire. Saranno anche una fonte attendibile? Bisogna misurarne l’ambizione e la portata, per dirlo. Cronista son, ma non son servo Dopo lo Scontro finale, la Corsa, la Sfida, la Svolta, il Duello, il Cambio, anche quest’anno il volume della Rai-Eri Mondadori ha come titolo un sostantivo di quelli semplici e perentori, la Scossa, che fanno la felicità dei pubblicitari, tant’è che Silvio Berlusconi, il protagonista, ne ha subito coniato lo slogan: ”Hai preso la Scossa?”. […] Manca vistosamente da questi Annali della politica italiana l’arte del ritratto. Mancano forse le passioni. I personaggi scorrono lungo le pagine come volti noti. Scivolano via come le immagini televisive. Entrano ed escono dal caleidoscopio di Vespa, senza imprimersi nella memoria. Come se l’arte stessa del racconto, la messa in ordine del reale, le pause e le digressioni che servono a rappresentare un personaggio, a scavarne la personalità, a rivelarne l’animo e metterne in luce vizi, abiezioni, debolezze e vergogne dovessero per forza svanire, evaporare nel piattume del conforme, del già visto, del risaputo. E’ questa la lacuna più vistosa degli annali di Vespa: ben di più dell’edulcorazione delle fonti da parte di ”un giornalista pagato col canone tv, che però si prende per portavoce del governo”, come scrive non senza un tocco di volgarità Antonio Tabucchi sull’’Unità”, un trattamento facile delle fonti denunciato da Piero Sansonetti, il quale ha costretto Vespa ad ammettere di aver trascritto il resoconto stenografico ufficiale della conversazione tenuta da Berlusconi a Berlino lo scorso 26 settembre, e di aver quindi espunto le frasi conclusive sulla superiorità dell’Occidente che avevano destato la reazione della stampa internazionale. L’edulcorazione dei fatti. Per questo è difficile dire cosa resterà di questi annali. Certo, gli storici per quanto ne disdegnino la lettura, son ben coscienti del loro pregio. Giovanni Sabbatucci li considera ”una fonte preziosa”, da trattare con qualche cautela: ”Bisogna vedere qual è il punto di vista dell’autore, cosa vuole dimostrare, perché Vespa non si limita al racconto puro, dà anche qualche cornice interpretativa”. Ernesto Galli della Loggia ritiene i Dieci anni che hanno sconvolto l’Italia ”una raccolta molto esaustiva di fatti, dichiarazioni rilevanti, un promemoria utilissimo per lo storico presente e futuro”. Eppure proprio quel volume offre un altro esempio in termini di edulcorazione dei fatti, visto che non c’è traccia della congiura ordita da Franco Marini contro Romano Prodi, per portare Massimo D’Alema a Palazzo Chigi. Vespa racconta la caduta di Prodi, avvenuta per un solo voto il 9 ottobre 1998, con l’innocenza di un testimone distratto: ”D’Alema fece di tutto per evitare la crisi di governo. Dando prova della sua incrollabile fiducia nelle proprie capacità politiche mi disse nel suo primo giorno di Presidente del Consiglio: ”Mi sono allontanato per dieci giorni ed è successo quel che è successo. Fossi rimasto non ci sarebbe stata la crisi’”. Ma di fronte all’ipotesi di censura, Galli della Loggia preferisce invocare l’organizzazione del lavoro: ”Vespa non è così sciocco. Piuttosto, credo che per fare un lavoro del genere in così poco tempo si sia servito di negri e sia incorso in un tipico incidente provocato dalla raccolta delle fonti fatta da altri”. ”Vespa è un unicum nella storia repubblicana, non ha eguali”, riconosce infine Vittorio Vidotto. ” già una fonte e continuerà a esserlo, tanto più privilegiata in quanto dovremo aspettare dai 40 ai 70 anni per l’apertura degli archivi e la fine della tutela della privacy. Anche se per fare un lavoro serio, lo storico non potrà mai fermarsi a un’unica fonte: dovrà collazionarne almeno due”» (’Il Foglio”, 13/12/2001) • Ha scritto Curzio Maltese: «L’Italia sarà davvero cambiata quando non vedremo più in tv Bruno Vespa. O almeno, non ogni giorno. Mi sembra un’ipotesi lontana. Questo uomo per tutte le stagioni, questo mandarino di tutti i regimi, frutto della secolare selezione della specie italiana, non è mai stato tanto potente e onnipresente. Se scrive un libro, uno dei suoi libri untuosi, deferenti e reticenti, è un evento nazionale. D’Alema e Berlusconi vanno a fargli pubblicità. Il pubblico se la beve, il vispo Vespa compare con la madonna pellegrina in ventisette trasmissioni col prezioso parto del suo opportunismo in bella evidenza. E non manca un convegno, un appuntamento mondano, un congresso, un luogo dove sia possibile annusare il potere. Altrimenti lo trovi a Porta a porta, il salotto mantenuto con denaro pubblico dove il nostro cura le sue personali pubbliche relazioni con il potere. [...] In ginocchio, sdraiato, a volte sotto terra, Vespa è andato [...] a Hammamet a omaggiare con mazzi di domande garofano il principe dei ladroni, Naturalmente, era tutto concordato [...] L’onorevole Vespa non si tocca. Neanche quando usa i microfoni di Stato per difendere tangentari. Amici della moglie, per caso. Chissà, forse noi italiani ci meritiamo oggi un Bruno Vespa come ieri ci meritavamo Alberto Sordi. [...] Ma sarebbe bello provare un giorno a farne a meno. Prima che l’Italia si vespizzi tutta come ha già fatto la nostra politica e il giornalismo che pullula di brunivespa inciucioni e interessati ma furbi nell’arte del cazzeggio» (Curzio Maltese, ”Il Venerdì” 17/1/1997).