Varie, 7 marzo 2002
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VIDAL Gore West Point (Stati Uniti) 3 ottobre 1925. Scrittore • «Scrittore eccentrico. Progressista radicale e fustigatore dell’establishment, narratore versatile e cultore critico della storia patria, aristocratico e trasgressivo, un piede nel jet-set, un altro a Hollywood, ostenta da anni posizioni controverse
VIDAL Gore West Point (Stati Uniti) 3 ottobre 1925. Scrittore • «Scrittore eccentrico. Progressista radicale e fustigatore dell’establishment, narratore versatile e cultore critico della storia patria, aristocratico e trasgressivo, un piede nel jet-set, un altro a Hollywood, ostenta da anni posizioni controverse. Sostiene adesso che l’America è diventata uno Stato di polizia e ha tradito gli ideali dei padri fondatori, sacrificando le libertà dei cittadini alla guerra contro il terrorismo [...] Hilton Kramer, direttore della sofisticata rivista conservatrice ”The New Criterion”, lo ha accusato di essere un autore di serie B, che non fa parte dell’élite americana ma sa dare solo prova d’insensibilità democratica, di snobismo, di sarcasmo e cinismo per via della sua omosessualità non dichiarata e dell’odio contro gli ebrei [...] Il suo saggio, L’11 settembre e dopo, commissionato da ”Vanity Fair” all’indomani del crollo delle Twin Towers, è stato cestinato. E il ”Sunday Mail” ha fatto lo stesso: gli ha chiesto un pezzo, ma dopo averlo letto ha preferito rimpiazzarlo con uno meno ostico di un autore di best sellers» (’Il Foglio” 22/11/2001). «Quelli che lo odiano e sono in campagna contro di lui, scrivono su ”The New Criterion”, mensile di arte, musica e cultura, mensile contro quello che chiamano l’invasivo blabla della sinistra radical al caviale, mensile diffuso molto nei campus universitari, che insomma un suo ruolo lo svolge. Come John Simon, critico teatrale, che definisce Gore Vidal ”a slick novelist, impressive essayist and perfect bitch”, un brillante romanziere, uno straordinario saggista e un autentico stronzo. Ma anche Mark Steyn, critico letterario, che racconta uno degli episodi contro Vidal che più lo hanno divertito, quando durante un’intervista televisiva a Londra, il romanziere si irritò perché il conduttore, Clive Anderson, lo aveva interrotto, e disse: ”Non ho ancora finito”, e allora Anderson rispose ”Chi lo sa”, ed è proprio così, Gore Vidal non ha mai finito. Sono senza fine gli orizzonti della sua visione, un esercito di aneddoti, un’esplosione di nomi, aforismi, statistiche e numeri sospetti, frasi ambigue, il tutto al servizio delle tesi idiosincratiche e magistralmente controverse sul ventesimo secolo, e poco importa se tutto ciò non c’entra niente con la realtà, esattamente come l’uomo. In un altro mondo, un mondo ideale, dice Steyn, avrebbe potuto essere un Noel Coward, un Cole Porter, uno soddisfatto di brillare in superficie. Invece, e purtroppo, è il Noel Coward dei teorici della cospirazione, e sparge veleno nei canali sotterranei del cuore più oscuro d’America. Peggio, continua Steyn, se tu cerchi di mettere in dubbio qualunque elemento delle sue analisi, ad esempio tenti di dire che forse non è vero che l’America non è una democrazia, che è governata dal Consiglio per la Sicurezza Nazionale, che quest’ultimo ha inventato il pericolo del comunismo per giustificare i costi enormi di tenere l’America in permanente piede di guerra, ecco lui ti guarda con divertita compassione, come se tu fossi un povero ingenuo, povero caro, o uno al soldo di quelli, e poi lancia una delle sue oscure minacce, profezie di morte, come ”Stanno per accadere cose terribili”, o ”La guerra non si fermerà più”. Fin qui sono i critici permanenti, e forse invidiosi, del talento, dei successi, dell’influenza, per la verità più in Europa che negli Stati Uniti, dove però ha mantenuto la residenza e paga le tasse. Negli ultimi mesi, e non solo dall’11 settembre, data del nuovo patriottismo, a questi detrattori altri se ne sono aggiunti. E ”Vanity Fair”, che pubblicò l’ultimo suo articolo su Timothy McVeigh, il terrorista di Oklahoma City, ora non lo vuole più. Alla rivista nessuno vuol parlare, ma off the record un rappresentante della direzione spiega che la regola del mercato è quella di pubblicare un autore finché ti porta lettori, non quando li offende, scatena polemiche e alla fine danneggia la rivista. Tutto qui, non ha fatto così anche National Review, rivista conservatrice che ha rifiutato l’articolo di Anne Coulter, giovane columnist di talento, e poi l’ha licenziata? Nessun paragone fra Coulter e Vidal, per carità, ma l’immondizia è immondizia anche quando è d’autore, la censura non c’entra e Vidal lo sa bene. quel che pensa Gary Kamiya, editor di ”Salon” che certo di destra non è, al contrario. Quando è al suo meglio, spiega, Vidal ha uno stile che assomiglia agli intrattenitori mondani di professione, uno che regala agli ospiti in digestione racconti così sapienti e ammiccanti da stimolare i succhi gastrici. Ma dal saggio su Timothy McVeigh (quello che ”Vanity Fair” ha pubblicato) in avanti, il gioco è finito, il bastian contrario nazionale espatriato è entrato in un territorio pericoloso. La rabbia livorosa e crescente per il governo federale, assieme alla sua simpatia per un uomo che considera nientemeno che incompreso, lo portano a dedurre più o meno esplicitamente, che l’assassinio di 168 persone sia più difendibile del raid del governo a Waco dove furono uccisi 80 della setta dei Davidians. , per Kamiya, una posizione moralmente offensiva, e lo stile tipico di Vidal, pesante, autocongratulatorio e irritantemente digressivo, la rende solo peggiore. L’editor di ”Salon” non ha dubbi, già questo articolo a ”Vanity Fair” avrebbero dovuto rifiutarlo, per una questione di gusto e rispetto del lettore, non per censura, queste sono sciocchezze. E a ”New Republic” le dichiarazioni di Vidal dopo l’11 settembre sono finite regolarmente nella rubrica ”diocy watch”, occhio all’idiozia, tutta fatta di segnalazioni di lettori. Ma la frase definitiva sul divorzio dell’America da Vidal la dice un quarantenne professore a Yale di musica barocca, democratico liberal, grande appassionato estimatore dello scrittore in gioventù, Bob Holzer: ”Per me è morto da tempo, da quando ha deciso di credere che il mondo gira intorno a lui”» (’Il Foglio”, 23/11/2001). «Nella sua splendida casa di Ravello ha scritto molti dei suoi lavori sulla storia dell’America, romanzi, saggi. il suo paese e lo ama, e traspare da ogni riga. Il fatto è che l’America che Gore Vidal amava è sempre meno simile all’America di oggi, che non lo ama affatto. Se per America s’intende, naturalmente, quelle ”mille famiglie che la possiedono”, delle quali Gore Vidal è parte, nelle quali è stato immerso fin dall’infanzia, e di cui ha raccontato pregi e difetti, grandezza e miserie. Un vero insider, che sa troppe cose, che le ha viste di persona, soprattutto che le ha raccontate e le racconta con una sincerità talmente feroce, e con un’eleganza talmente straordinaria, da non lasciare pietra su pietra, da togliere ogni illusione. Cioè da bruciare tutti i ponti alle sue spalle. Quasi tutti. [....] ”I padri fondatori scelsero subito la repubblica, ma durò poco. S’ispirarono a Montesqueu, ma non per molto. Cominciarono assai presto a contendere lo spazio agli spagnoli, nelle Filippine, nei Caraibi. Sempre con successo. E una repubblica non può essere anche un Impero, perché in primo luogo essere un Impero costa molto. E non si può convincere con le buone unaa maggioranza a sorreggere un Impero. Il che, a sua volta, implica e impone controlli, non tanto all’esterno, nei confronti dei dominati, quanto all’interno, nei confronti dei dominatori, che di regola pensano ai loro piccoli affari. All’Impero bisogna costringerli. Ciò uccide la repubblica [...] L’unica vera democrazia è stata quella ateniese, perché Atene era una città, e coloro che avevano il diritto di voto si conoscevano tutti”. Imponente per dimensione e statura, la voce profonda, i gesti misurati di un patriarca [...] ”Noi non siamo una democrazia. Noi siamo una repubblica. E, come le ho detto, lo siamo stati per poco [...] La società americana, oggi? quella che ha la peggiore istruzione pubblica di tutti i paesi sviluppati; quella che non ha un sistema pubblico di sicurezza sociale; quella dove gl’individui lavorano come macchine, senza sosta. una società dove la grande massa della gente non ha alcuna informazione sul mondo esterno. E non desidera averla. una società d’individui terrorizzati. Voi europei, al confronto, vivete in paradiso, anche se, a quanto pare, vi stanno convincendo a vivere come gli americani. Quando ve ne accorgerete sarà tardi, specie per voi italiani, che alle ferie ci tenete [...] L’unica cosa che li può fermare, quelli che hanno ora il potere, sarà un crack pauroso dell’economia americana. [...] Purtroppo sarà una medicina amara per tutti”» (Giulietto Chiesa, ”La Stampa” 20/8/2003). Vedi anche: Gigi Marzullo, ”Sette” n. 4/1999.