Varie, 7 marzo 2002
Tags : Patrick Vieira
Vieira Patrick
• Dakar (Senegal) 23 giugno 1976. Calciatore. Dal gennaio 2010 al Manchester City. Con la Juventus vinse lo scudetto (poi revocato) del 2006, con l’Inter quelli del 2007, 2008, 2009, 2010. Inizi nel Cannes (dal 1993 al ”95), a 17 anni debuttò in prima squadra nel campionato francese. Nel novembre ”95 passò al Milan di Capello, dove però giocò solo 2 partite di campionato. Nell’estate 1996 arrivò all’Arsenal: in 9 stag ioni collezionò 279 partite e 29 reti in Premier League. L’allenatore Arsene Wenger gli consegnò anche la fascia di capitano. Esordio con la Francia il 26 febbraio 1997, vinse il Mondiale 1998 (vicecampione nel 2006), l’Europeo 2000 e la Confederations Cup 2001 e 2003 • «’Mi sa che, se non si smarrisce, può avvicinarsi a Rijkaard. O forse fare anche meglio”. Fabio Capello battezzava così Patrick Vieira [...] quando a Milanello si presentò per la prima volta questo spilungone francese di origini senegalesi, prelevato in fretta e furia dal Cannes, che non si erapremurato di fargli firmare un contratto da professionista. Lo fece il Milan, su segnalazione di Ariedo Braida: Vieira arrivò a Milano con l’etichetta di ”nuovo Desailly” e con la confortante caratteristica di essere cresciuto allo stesso centro di formazione di Zidane, quello di Cannes. Lì Patrick aveva visto i primi ricami sul campo di Zizou e lì era diventato un giocatore interessante, centrocampista finito nel mirino dei grandi club d’Europa. Al Milan Capello lo adottò subito, ma lo fece giocare pochissimo. Quel Milan girava, in mezzo la concorrenza era enorme: rimase sette mesi, giocò solo 5 partite, di cui 2 in campionato. Nato a Dakar, emigrato in Francia a 8 anni con la famiglia, il giovane Patrick conobbe il terzo paese europeo in poche stagioni. Lo comprò l’Arsenal, per 13 miliardi di lire, e Capello avvallò la cessione. A Londra lo aveva voluto fortemente Arsene Wenger, allenatore dei Gunners in ”pectore” che ancora prima di iniziare la sua avventura inglese aveva fissato in Vieira un obiettivo di mercato irrinunciabile. Wenger lo aveva nel mirino dai tempi delle giovanili del Cannes e si esprimeva con una certa chiarezza: ”Nel suo ruolo Patrick è il migliore al mondo. Se qualcuno la pensa diversamente, mi porti pure il mediano che sarebbe più forte di Vieira. Ha un impatto fisico tremendo sul gioco, e lo traduce con tecnica di gran classe”. Wenger alle parole fece seguire i fatti: titolare fisso nel centrocampo, Vieira mostrò al mondo tutte le sue qualità. Dopo il suo primo titolo inglese, nel 1998, arrivò anche la convocazione per i Mondiali. Patrick era giovane, e fondamentalmente guardava Petit e Deschamps giocare, ma si tolse lo sfizio di disputare un pezzo di finale e lanciare Petit per il gol del 3-0. Intanto la sua fama cresceva, in Inghilterra e fuori: agli Europei del 2000 perLemerre non fu così facile tenerlo fuori, tanto più che Patrick era sponsorizzato dal monumento Zidane, che si sentiva più libero e coperto con lui alle spalle. Intanto, iniziavano i tormentoni di mercato. Dal 2000 [...] non c’è stata un’estate (e anche qualche inverno) in cui Vieira non sia stato al centro del mercato: Juventus, Inter, Manchester United, Real Madrid sono state aspiranti acquirenti. Quasi sempre respinte al mittente dalla società, con un giocatore non sempre felice. A Londra il francese ha vissuto alti (capitano della squadradei record, imbattuta nel 2003-04) ma anche bassi (espulso a ripetizione nel 2000-01, era diventato il simbolo dei cattivi della Premier). Così si era fatto corteggiare [...] era parso vicinissimo al sì al Real, ma il gioco al rialzo aveva fatto infuriare Perez. [...]» (Valerio Clari, ”La Gazzetta dello Sport” 14/7/2005). «[...] Una delle [...] volte che venne in Italia, eravamo nell’ottobre del 2000, Patrick Vieira si sentì urlare in faccia ”scimmia di merda” da Sinisa Mihajlovic, era un antico Lazio- Arsenal. ”Lui, però, mi ha detto zingaro di merda”, s’era difeso il serbo, abbassando il livello del confronto. Ma quel ricordo era uno dei due motivi per cui il gigante francese (che però è nato in Senegal, a Dakar, nel 1976 sotto il segno del cancro) non amava l’Italia, e per cui continuava a ripetere di non amarla. Perché, proprio da noi, aveva rischiato che gli si bruciasse la gioventù. [...] Dal nostro campionato era passato, rapido e invisibile, nel lontanissimo 1995, accalappiato dalla lunga mano del Milan che lo aveva scovato nel Cannes, fra palme e spiagge. All’epoca aveva appena diciannove anni (ed aveva esordito in prima squadra a 17, come i predestinati), i rossoneri se lo portarono a casa gratis ma non compresero il valore di quell’investimento. Dopo un anno di muffa e di tribuna e appena due presenze in campionato, quel gigante africano di 191 centimetri, forte di muscoli ma dolce di piede e sveglio di cervello (non è né regista né interditore ma tutt’e due insieme, e inoltre ha una certa confidenza con il gol [...]) venne subito dirottato altrove, come si fa con i bidoni. Lo accolse l’Arsenal proprio negli stessi giorni in cui Arsène Wenger migrava dalla Francia a Londra, dove aprirà con i Gunners un ciclo [...]. Wenger aveva lavorato a lungo a Monaco, a due passi da Cannes, conosceva Vieira e fu il primo giocatore che volle con sé ad Higbury. Nove anni dopo, il centrocampista e il suo mentore si separano, ma nel frattempo Vieira è diventato capitano (lo è anche della nazionale, dopo l’abbandono di Zidane e Thuram) e ha vinto tre volte la Premier League e due la Coppa d´Inghilterra, per non dire del Mondiale e dell’Europeo con la Francia. L’Italia che lo lasciò partire come fosse un fallito ora lo accoglie da trionfatore: non è una storia nuovissima. E il suo allenatore, in quella breve stagione milanista (che comunque fruttò uno scudetto al curriculum di Vieira) era Fabio Capello. ”Ma lui era un ragazzino in una squadra di fenomeni. In più, allora si potevano schierare solo tre stranieri”. Vieira era il sesto, dopo Desailly, Weah, Savicevic, Boban e Futre. ”Però si vedeva che aveva grandi qualità. Solo che si decise di lasciarlo andare via”. Per cambiare idea, ci sono voluti nove anni» (e. g., ”la Repubblica” 14/7/2005).