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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

VILLAGGIO

VILLAGGIO Paolo Genova 30 dicembre 1932. Attore. Ha avuto successo soprattutto grazie all’invenzione di personaggi paradossali e grotteschi: il professor Kranz, Giandomenico Fracchia, il ragionier Ugo Fantozzi. La sua attività di scrittore è iniziata proprio con un libro su Fantozzi, al quale seguiranno altri sei sul ragioniere, e altri libri satirici. Ha recitato anche in ruoli più drammatici. Ha partecipato a film girati da Federico Fellini, Lina Wertmuller ed Ermanno Olmi • «[...] Ha creato la più grande maschera comica dopo Totò, venduto milioni di libri, è il beniamino di un paio di generazioni. […] Se uno dice Fantozzi è una buffonata, Fellini sì che ha valorizzato Villaggio, lui se la prende. Se dice Fantozzi è come Gogol, magari risponde che è stato solo il lasciapassare per la fama e la ricchezza... ”Una volta mi ha invitato la Fondazione Cini, si parlava di scrittori italiani tradotti in cirillico. andato a parlare Evtuschenko e ha detto: l’unico autore degno di Gogol e cechov è ”Vigliacco”. L’unico a capire che parlava di me sono stato io. Mi sono avvicinato mentre Moravia mi guardava con una faccia terribile... […] Per essere considerato un grande ha dovuto fare film con Fellini, Monicelli, Olmi e Lina Wertmuller. […] Ma io penso che sarò ricordato per Fantozzi […] Dopo aver vinto il Leone d’oro grazie a Fellini ho cominciato a comportarmi in maniera diversa con i colleghi, fingendo di non vederli. Entravo in un ristorante e salutavo cani e porci ma non il tal attore […] Io mi sentivo come Gary Cooper nei Lancieri del Bengala. Esco con una, un vero mostro, e mentre parlo quella m’interrompe: lei è proprio buffo. Buffo, cazzo, Gary Cooper buffo? Allora, purtroppo, io che nascevo lanciere del Bengala mi sono rassegnato a far ridere […] Quando ho vinto il Leone d’oro sono andato alle sette del mattino con mia moglie in gondola al ponte di Rialto, siamo scesi e abbiamo bevuto due bicchierate di vino bianco, e le ho detto: questo forse è il momento più felice della mia vita. Il successo è la cosa che appaga di più. Quelli che non ce la fanno diventano violenti: quelli della Curva che vanno armati fino ai denti, della partita non gliene frega niente. La tv li inquadra e loro sono ancora più violenti purché si parli di loro […] Non vado al cinema dal 1952: I sette samurai. In barca quando mia moglie dorme vedo qualche film. Mi è piaciuto Brian di Nazaret dei Monty Python. Gesù come in effetti era: uno squilibrato […] Io sono inappagato: mi piacerebbe aver vinto l’Oscar al posto di Benigni, vorrei avere i soldi di Berlusconi, essere fidanzato con le veline. Alle veline non gliene frega un cazzo dei vecchi di successo, vogliono i centravanti. Vorrei essere un centravanti”» (Paolo D’Agostini, ”la Repubblica” 2/12/2002). «I miei genitori non volevano che facessi il chierichetto, soprattutto mia madre. Diceva che mi avrebbero plagiato. Avevamo dieci anni io e mio fratello. Facevamo i chierichetti di nascosto. Era il 1943, stavamo a nervi, zona Capolungo, il parroco era padre Riccardo, un inglese che si chiamava Brooks. Un missionario che non vedeva l’ora di ripartire. La guerra l’aveva intrappolato. Mio fratello Piero, che poi è diventato il preside della Normale di Pisa, scampanellava fuori tempo, non riusciva a memorizzare il rituale. Padre Riccardo ci strattonava. Piero una volta che era nel pallone più completo, per l’emozione è svenuto, anche perché si andava digiuni per far la comunione. Io volevo soccorrerlo, ma padre Riccardo fece un gesto feroce, come dire non perdiamo tempo si continua. Io lo lasciai per terra. Negli anni seguenti padre Riccardo riuscì a partire per la Cina. Arrivò a Canton il giorno dell’ingresso delle truppe rivoluzionarie cinesi. Non si è avuta più notizia di lui. […] Vivevamo nel terrore. Allora non c’erano i bambini che sterminano le famiglie, l’unico peccato grave era la masturbazione. Noi non gliel’avevamo mai confessata e per questo ci torturava il senso di colpa. Nessuno di noi ha avuto il coraggio di parlare, così tutti hanno fatto la prima comunione in peccato mortale. Per fare il chierichetto ero andato contro la famiglia, ma ho perso la fede. E’ stato un attimo. Padre Riccardo ha aperto il tabernacolo con la sua chiavetta dorata per prendere le ostie: ce n’era una grande per lui e quelle piccole per i fedeli. Ha visto che quella grande si era spezzata e l’ha gettata via. Sono rimasto scioccato. Dopo un anno io e mio fratello ce ne siamo andati. Ormai eravamo atei. Mi ha commosso invece la messa celebrata a Catania, per fermare la lava dell’Etna. Mi ha colpito la fede primordiale, da Giurassico, come quando per chiedere la pioggia si facevano i sacrifici umani. A una messa così vorrei andare. Per una fede come questa potrei tornare chierichetto» (’Corriere della Sera”, 28/2001).