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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

VINCI

VINCI Simona Milano 6 marzo 1970. Scrittrice • «Nel 1997, col romanzo Dei bambini non si sa niente, è stata soprattutto un ”caso”. […] Una vena consistente soprattutto nell’evocare, esplorare, sezionare sino al dettaglio (anche truculento, qui ammorbidito) un universo di grande durezza, ma insieme anche un mondo di sofferta tenerezza, ricorrendo a una scrittura non monocorde, di forte paratassi che, nei punti di maggior intensità, si faceva (e si fa) secca e scarnificata; a dare, per converso, spessore al lato oscuro della violenza e dell’uomo. Un universo mortuario, di dolore e sopraffazione, attraversato da immagini crude e crudeli» (Ermanno Paccagnini, ”Corriere della Sera” 16/2/2003). «’Scrivere è, per me, come respirare. Non mi diverte, è una necessità. Di un libro, mi piace soprattutto la parte ideativa, vivere insieme alle voci dei personaggi che ti stanno in testa. Ma scrivere è un’altra cosa. un esercizio zen”. Simona Vinci ha gli occhi scuri, lo sguardo profondo, un pallore in armonia con la sua figura sottile e con l’inquietudine che le serpeggia dentro. A lei parlare non piace, non ama le interviste. Alla parola detta, dice, preferisce la parola scritta. Più meditata, più pertinente. Una scelta in linea con la sua natura solitaria e contraddittoria. [...] Solitudine e fisicità. Amore e sofferenza, amore e paura. Con al centro il corpo. Sempre. Dal primo libro che la rivelò [...] Dei bambini non si sa niente, fino ai racconti di In tutti i sensi come l’amore o al romanzo Come prima delle madri, c’è un filo che lega tutti i libri di Simona Vinci. ”Quando ne finisco uno, mi sembra sempre che quello successivo parta da dove si era chiuso l’altro”. [...] ”Io credo che il corpo sia l’unica cosa certa che abbiamo. Il rapporto tra anima e corpo è come è detto in una frase di Nietzsche ”l’anima non è altro che una cosa del corpo’. Il corpo è anima, è tutto. Siamo questo; se ci si toglie il corpo non rimane nulla [...] La verità? Io non amo nulla di quello che scrivo. Per me la scrittura è una costrizione. Ho sempre scritto, fin da quando ero bambina. una necessità e lo faccio perché lo devo fare. come respirare, è la mia vita. La mattina mi alzo e scrivo, è quello che faccio. accaduto e me lo porto dietro da sempre [...] Penso che tutto quello che si scrive sia un po’ autobiografico e al contrario per nulla autobiografico. Nel senso che è naturale che si scriva attraverso se stessi. Attraverso i propri sensi, la propria visione del mondo, quello che si percepisce intorno a sé. E, nello stesso tempo, si inventa. Si deve inventare”. Quel suo primo libro fu tradotto in dodici paesi, le ha regalato scandalo e successo. Per lei fu la notorietà. Se l’aspettava? ”Da un lato penso che se un’opera d’arte non scandalizza, non agita e non muove qualcosa, sia un’opera inutile. Dall’altro ero molto giovane e, in un periodo in cui si parlava molto di pedofilia, anche se il romanzo non era sull’argomento specifico, venne comunque omologato e mi ci trovai in mezzo. E questo non l’avrei voluto. Per il resto, quando prendo in mano un libro mi aspetto che cambi in qualche modo la mia visione del mondo, non che la confermi e basta. Insomma voglio trovare assonanze, ma anche qualcosa che mi turbi, o che mi disturbi. Un altro sguardo sulla realtà e sulle fantasie [...] Leggo molto, ma nello scrivere sono lenta. Scrivo tantissimo e butto via una grande quantità di materiale. Limo, riscrivo, riduco. [...]”» (Silvana Mazzocchi, ”la Repubblica” 18/2/2006).