Varie, 7 marzo 2002
VIOLANTE
VIOLANTE Luciano Dire Daua (Etiopia) 25 settembre 1941. Politico. Magistrato dal 1966 al 1983, fino al 1977 giudice istruttore a Torino, dal 1977 al 1979 si è occupato di lotta contro il terrorismo presso l’ufficio legislativo del ministero della Giustizia. Politico. Deputato dal 1979 al 2008 (Pci, Pds, Ds), è stato presidente della commissione Antimafia nella XI legislatura, vicepresidente della Camera nella XII, presidente nella XIII (1996-2001) • «[...] il simbolo di un’epoca in cui la politica si faceva con i processi e altri fanatismi intransigenti [....]» (’Il Foglio” 6/11/2001) • «Gran tessitore di trame davanti l’eterno. Fila dai tempi di Torino, da quando era giudice istruttore di punta e faceva coppia fissa con l’allora procuratore Gian Carlo Caselli. In questa veste si illustrò soprattutto per saper prendere ”vessies pour des lanternes…” (fischi per fiaschi): inchiodò con l’accusa infamante di coup d’état un ex partigiano bianco, Edgardo Sogno, che al massimo era in grado di fare un colpetto in un municipio. Dopo un crochet all’uncinetto, si ritrova deputato nelle fila del Pci. Un punto di dritto e due di rovescio ed eccolo eminenza grigia di Ugo Pecchioli e della celebre o famigerata sezione Problemi dello Stato. Da questo laboratorio privilegiato riuscì a filare con mezza magistratura. Eletto alla presidenza della Camera diventa ecumenico, fa gli occhietti alla destra, sdogana Salò e ricorda i giovani dell’altro campo che ”andarono a cercar la bella morte”. Seguito sempre con attenzione e con il dovuto rispetto, ha assunto ormai l’incedere cardinalizio dell’eterno candidato alla magistratura suprema. […] Come ogni buon intellettuale piemontese ha una grande cote d’amour per la Francia e la lingua di questo paese. Fa shopping a Parigi» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini”, 31/10/1998) • «’Conosco, per aver militato nel partito comunista, i presupposti e le conseguenze della cosiddetta autocritica...”. stato allora che le grida di scherno e gli applausi, i rancori e le solidarietà si sono sentiti più forti. Perché era chiaro che quella di Luciano Violante a Montecitorio non era un’autocritica, ma una rivendicazione. Sintetizzata in una frase, cinque minuti dopo: ”Non siamo stati tutti uguali nella storia della Repubblica”. ”Bel discorso” (Gianfranco Micciché). ”Altissimo” (Gianfranco Fini). ”Storico” (Gianni Alemanno). ”Gravido di senso dello Stato” (Gennaro Malgieri direttore del Secolo d’Italia ). ”Il primo passo verso la fine del dopoguerra” (Alessandra Mussolini). ”Mille volte meglio di Forza Italia” (Mirko Tremaglia, non ancora ministro). Una manciata d’anni fa, il neopresidente della Camera Luciano Violante era l’uomo che tendeva la mano agli ex fascisti, costruiva un ponte tra le fazioni, ricuciva la cesura tra la prima e la seconda Repubblica, e proseguiva dicendosi favorevole a una commissione d’inchiesta su Tangentopoli, commemorando Craxi accanto alla figlia, riscuotendo riconoscimenti bilaterali. L’unico a chiamarsi fuori era stato l’altro protagonista di una delle grandi battaglie della guerra fredda italiana. Edgardo Sogno sino all’ultimo aveva ripetuto: ”Io lo conosco bene. tattica, solo tattica”. [...]» (Aldo Cazzullo, ”Corriere della Sera” 6/11/2003) • «’Quando alla Camera parlai dei ragazzi di Salò, dissero che volevo fare il presidente della Repubblica. Ora che vado alla Festa della Libertà a dialogare sulla giustizia, dicono che voglio fare il giudice costituzionale. Lo dicono perché loro pensano, sentono, sono così. Vivono per comparire la sera al telegiornale [...] Io no. Io credo al dialogo come servizio non a Berlusconi, che ha invece interesse a un arroccamento del Pd, ma al Paese. Coltivo un’idea, quella del partito nazionale, che si è un po’ persa. Il marxismo democratico, Gramsci, Labriola, Togliatti, letti con una certa attenzione: letture che ho in comune con D’Alema. Quando feci domanda per il concorso in magistratura, venne a casa il maresciallo dei carabinieri, padre di un ragazzo con cui giocavo a pallone, e mi disse: ”Dottore, sto compilando la sua scheda. Lei è del partito comunista, ma se lo scrivo non la prenderanno mai. Cosa metto come orientamento politico? Io gli spiegai le mie idee. Il maresciallo scrisse: Partito d’ordine’”. [...] ”Violante 1 a Violante 2” è una rubrica del sito Dagospia, ispirata al suo antico rapporto con le forze dell’ordine e pure alla distinzione tra due fasi: un Violante 1, capo del partito dei giudici, ”piccolo Vishinsky” (definizione di Francesco Cossiga), demiurgo di Tangentopoli, grande vecchio dei processi alla Prima Repubblica a cominciare dal processo Andreotti; e un Violante 2, uomo del dialogo con il centrodestra, aperto al confronto sulla giustizia e – da ultimo ma non ultimo – candidato quasi bipartisan alla Corte costituzionale. Violante 1 parlava con frasi asciutte e secche, ”come il toc-toc di gente incappottata che dice: aprite, polizia” (questa è di Renato Farina). Violante 2 parla fluentemente di aperture, collaborazione, auspicabili riforme sgradite ai magistrati come il superamento dell’obbligatorietà dell’azione penale. [...] ”[...] Io ho perso parenti nei campi di sterminio. In casa avevo la foto di un milite della Rsi di guardia a un vagone piombato. Ho passato anni a chiedermi: quel ragazzo sapeva dove andava quel treno? E perché ha deciso di stare dalla parte delle guardie? [...] è dal ”98 che sostengo la necessità di andare oltre l’assoluta obbligatorietà dell’azione penale; ritengo giusto che il Parlamento dica la sua, discutendo le priorità indicate dai presidenti delle corti d’appello e infine stabilite dal Csm. Quanto al divieto ai magistrati di parlare delle loro inchieste, l’ho proposto nell’87”. [...] Nato in un campo di concentramento inglese, in Etiopia. Padre conosciuto a cinque anni: ”Andammo a prenderlo alla stazione di Rutigliano, era il giorno di Pasqua, dal treno scese questo signore alto, camicia e pantaloni kaki, faccia segnata, valigia di juta... No, non lo abbracciai. Anche mia madre era molto severa, non eravamo abituati ad abbracciarci”. ”Educazione rigorosa. Molto solo, pochi amici. Studiavo molto, leggevo moltissimo”. Poi la scuola giuridica torinese, Conso e Zagrebelsky, Elia e Grosso. Preti e comunisti, don Ciotti e Giancarlo Caselli. A Bari, assistente all’università di Aldo Moro: ”Mi dicono che lei è comunista, ma io guardo le persone” fu l’accoglienza. Le Br tentarono di ammazzarlo per tre volte, anche Prima Linea ci fece un pensiero. Vacanze a Cogne, poesie per i bambini uccisi dalla mafia. [...] ”[...] Quando ero assistente di Moro tradussi in forme intellegibili un suo libro straordinario ma complesso, Unità e pluralità di reati. Moro lo seppe, e non ne fu felice. ”Semplificare’, mi disse, ”è sempre un po’ falsificare. Se ne guardi. La realtà non è mai così semplice”» (Aldo Cazzullo, ”Corriere della Sera” 2/10/2008).