Varie, 7 marzo 2002
VISCO
VISCO Vincenzo Foggia 18 marzo 1942. Politico. Laureato in Giurisprudenza, docente universitario, militante del Pci e quindi del Pds, membro della direzione Ds. Deputato dal 1983 al 2008, ministro delle Finanze nei governi Ciampi, Prodi, D’Alema I e II, del Tesoro nell’Amato II, viceministro dell’Economia e delle Finanze nel Prodi II • «[...] Uomo temibile e temuto [...] temuto soprattutto dai suoi compagni di partito [...] che, allibiti, lo videro proporre all’improvviso, anni fa, un maxi emendamento attraverso cui recuperare l’evasione dell’Iva da parte dei piccoli agricoltori. Un piccolo gioiello di politica fiscale, solo che il Pci (Visco faceva parte della Sinistra indipendente) si poteva permettere tutto tranne che urtare il mondo della piccola proprietà contadina, e fu un lavoro non da poco affossare quell’iniziativa. Alcuni maliziosi ricordano un episodio degli anni 80. In commissione, il Pci si rese disponibile a saltare il proprio turno di rotazione dei relatori, proprio quando sarebbe toccato a Visco relazionare su una legge. Per il Pci, insomma, era meglio un deputato avverso che Visco come relatore. Un compito difficile Molto apprezzato dall’avvocato Gianni Agnelli (’si vede che è un gran signore”) Visco ha rischiato di dare un dispiacere al Pci anche durante i giorni tempestosi dei processi di Mani pulite. Nel corso del processo contro Sergio Cusani, venne presa in esame la sospetta decisione del Pci di avversare in un primo momento il provvedimento del 20 ottobre 1989, a firma del socialista Rino Formica, che introduceva una maxi riduzione del carico fiscale per le plusvalenze dei beni patrimoniali conferiti all’Enimont. In un secondo momento, il Pci propose un provvedimento con diversa impostazione, ma che produceva effetti simili. ”Se i giudici avessero subito potuto valutare l’incredibile propensione di Vincenzo Visco a cambiar idea, non si sarebbe perso tanto tempo - sostiene un suo caustico quanto anonimo critico del Pds - nessuno ha mai capito dove può portare il suo virtuosismo fiscale unito al suo mutevole intento”. Ma con magistrati che non conoscevano Visco, Botteghe Oscure faticò non poco per dimostrare processualmente che l’emendamento del suo esperto non era motivato da ragioni sospette. [...] Visco non arriva a Roma col Pci, ma come consulente di area laica - suo padre Sabato Visco era di area repubblicana - del ministro delle Finanze socialista Franco Reviglio. Terminata l’esperienza ministeriale, Visco coglie subito le possibilità che gli si offrono in uno schieramento sguarnito di concorrenti; viene eletto a più riprese nella Sinistra indipendente ed è l’unico candidato quando il Pds può indicare a Prodi un proprio ministro delle Finanze. Un critico per nulla benevolo definisce così il quadro in cui si muove: ”In buone mani la sua competenza sarebbe utile, ma nel vuoto di progetto della tradizione del Pci-Pds la sua impoliticità diventa un disastro”. Lungo è l’elenco delle imperscrutabili occasioni in cui Vincenzo Visco si fa patrono di iniziative a dir poco sconcertanti. Oltre all’esenzione fiscale a favore di Enimont, agli atti risulta anche la proposta di un’esenzione fiscale da lui avanzata nei primi mesi del ”94 (sotto il governo Ciampi in cui era entrato e poi uscito il giorno dopo) a favore delle grandi imprese del settore edilizio. I beneficiari furono i grandi gruppi Impregilo, Cogefar e Impresit (abbiamo già detto della sintonia con Agnelli). stato poi proprio Visco (con una massa di emendamenti sulla deducibilità passati in commissione Finanze) l’ispiratore di quel ”modulo lunare” del 740, che [...] fece così impazzire gli italiani, che il governo Amato fu obbligato a chiedere pubbliche scuse. Un’impoliticità granitica, tanto che un suo conoscente proclive al pettegolezzo racconta di aver visto, ospite in casa sua, la signora Visco fare grandi cenni di star zitto al marito, mentre nel corso di un’intervista telefonica affermava di voler colpire duramente i redditi, preparando così disastri elettorali. [...]» (’Il Foglio” 12/11/1996) • «Geniale la sua invenzione dei fax a favore dell’eurotassa, è però diventato rosso rosso quando ha dovuto ammettere che quei fax non c’erano. Da bravo timido, tende a serbar rancore, si è impuntato per partecipare agli Ecofin insieme a Ciampi, poi però, al tavolone dei ministri finanziari dei quindici, per timidezza, non prende la parola e tutti si chiedono chi sia quel signore con i capelli bianchi e l’aria spaesata alla mister Bean seduto vicino a Carlo Azeglio. Azzarda qualche parolina nelle successive conferenze stampa solo se Ciampi gli dà il via libera con un cenno del capo. L’anno prossimo di ogni anno ridurrà le tasse. Per i suoi amici d’infanzia ha fatto una carriera insospettabile» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini”, 31/10/1998). «[...] Prima di arrivare al Tesoro, Visco è stato alle Finanze per quattro anni. E nel centrosinistra è considerato il miglior conoscitore della macchina del Fisco [...] Negli anni dell’opposizione l’ex ministro delle Finanze del primo governo Prodi ha continuato a seguire con il centro studi Nens (di cui è animatore insieme con il responsabile economico dei Ds Pierluigi Bersani) tutta la partita dei conti pubblici. Rendendosi protagonista di celebri scontri con Tremonti. Che arrivò a ribattezzare ironicamente ”Nonsense” quel pensatoio economico del centrosinistra e un giorno dettò all’indirizzo del suo predecessore questa dichiarazione senza precedenti: ”Ci eravamo illusi che Dracula si fosse rassegnato alla pensione in qualche remoto sepolcro nei Carpazi. Errore! Dracula continuava avido e voglioso a succhiare il sangue dei contribuenti per donarlo alla grande impresa”. Mentre Visco replicava: ”In Italia c’è ormai un problema serio. Non è possibile avere un ministro che vive con l’ossessione del suo predecessore”. stato il capitolo forse più clamoroso di un duello proseguito fino agli ultimi giorni prima delle elezioni, quando Visco ha accusato Tremonti di aver azzerato i vertici delle Finanze, beccandosi un comunicato di smentita al quale ha replicato con un controcomunicato [...]» (Sergio Rizzo, ”Corriere della Sera” 11/5/2006). «Rovinato dalla rima e dalla fisiognomica, cioè dal cognome identico alla parola più odiata dagli italiani (fisco) e dalla faccia come specchio dell’anima, Vincenzo Visco ha deciso di diventare simpatico. Ma non si sa come. L’altra volta, quando fu ministro delle Finanze nei governi di Romano Prodi, Massimo D’Alema e Giuliano Amato, l’errore imperdonabile fu di sottovalutare la propaganda, nel senso puro del termine. E siccome il rischio di diventare l’uomo più insopportabile del prossimo quinquennio gli è chiaro, intende scongiurarlo con iniziative mirate. Finora non se ne è vista una, e non essendo in grado di particolareggiare il Visco simpatico che verrà, ci tocca di particolareggiare il Visco antipatico che fu. O che è. Prima tappa, il sito ufficiale: vincenzovisco.it. Si presenta con uno slogan: ”Competenza, impegno, risultati”. Si può accedere a varie sezioni. Quella biografica aiuta poco: si apprende che è nato a Foggia nel 1942, vive a Roma, è sposato e ha due figli. laureato in Giurisprudenza e vanta specializzazioni in economia alla Berkeley University (California) e a York (Regno Unito). Segue un lungo curriculum dell’attività politica, con presenze in commissioni e roba del genere. Le sezioni ”il mio lavoro alle Finanze” e ”il mio lavoro al Tesoro” non sono delle più accattivanti, almeno per chi non sia del ramo. Prometteva la sezione ”Parole, parole, parole”, ma è un sunto delle critiche rivolte a Giulio Tremonti, tema di cui ci si occuperà più avanti. Le sezioni ”Vincenzo Visco ti scrive” e ”scrivi a Vincenzo Visco” rimandano a una pagina vuota. L’operazione simpatia per via telematica fallisce. La seconda tappa doveva essere uno squillo agli amici perché raccontassero innocui dettagli sulla sua vita privata. Il problema è che non ha amici. O almeno non risulta che ne abbia. Ne avrà, ma li occulta dentro il fortino in cui difende il tempo libero. In giro lo si vede quasi sempre da solo. E di rado, perché odia i giornalisti e se li avvista cambia strada. Li chiama ”pennivendoli”, il che è concettualmente corretto. Se è in compagnia, lo è di Giovanni Sernicola, suo muto braccio destro. Alle cene romane si sottrae scientificamente, almeno dalla volta in cui, nel 2001, andò all’inagurazione della casa di Fiorella Kostoris al ghetto, e ci trovò il detestato Tremonti, e per di più in compagnia di Umberto Bossi. Se ne lamentò e andò via presto. Roberto D’Agostino lo prende in giro perché quando compie gli anni non invita nessuno alla festa, ma è più probabile che non la organizzi proprio. Talvolta, il 7 dicembre, va alla prima della Scala. Citiamo una cronaca del 2000: ”... un paio d’anni fa si aggirava solitario nel foyer, senza un solo compagno di squadra a supporto, e la gente si dava di gomito: ” venuto a vedere chi ha tirato fuori i due milioni e mezzo per il palco, e paragonarlo alla sua dichiarazione dei redditi’...”. Questa nomea di implacabile affamatore dei contribuenti nasce dai fatti e dalle parole. I fatti sono la tassa per l’Europa e l’Irap, varate sotto il suo Regno. L’equità delle imposte è ancora al vaglio di insigni economisti e ci si impone l’astensione dal giudizio. Le parole (e il giudizio) furono invece di Tremonti, con il quale Visco si azzuffa da almeno un decennio. L’analisi del commercialista di Pavia fu calibrata: ”Visco è un cretino”. Poi si scusò. E ricalibrò: ”Gangster”. E ancora: ”Mettere Visco alle Finanze è come mettere Dracula alla guida dell’Avis”. Da allora il capitolo della fisiognomica è illustrato da vignette in cui Visco ha gli incisivi da vampiro grondanti di sangue. Ormai lo si chiama Vlad, come il conte della Transilvania. Successivamente il duello si è spostato sul terreno dell’ornitologia. Un’eventuale intercettazione telefonica fra Tremonti e Visco darebbe la seguente trascrizione. Tremonti: ”Gufo!”. Visco: ”Avvoltoio!”. Tremonti: ”Corvo!”. Visco: ”Cornacchia!”. Visco è così orgoglioso e intrattabile da detestare gli incompetenti (cioè i ”pennivendoli”) e i giri di parole. Se propone soluzioni impopolari come la tassazione delle rendite è stralunato perché ci si oppone. la questione della propaganda di cui si diceva prima. La propaganda può tutto. Persino spingere qualche goliarda incattivito, pochi anni fa, a mettere nell’ascensore del condominio di Visco, e per giorni, un involucro di carta igienica dal contenuto immaginabile. Visco ne soffrì moltissimo come quando si ricorda, per obbligo di cronaca, una sua piccola disavventura giudiziaria. Si deve sapere che l’unica passione di cui parla è quella per il mare. L’altra è quella per la musica classica, ma non ne parla. Appena si libera, si imbarca per Pantelleria dove possiede una villetta. Prende il sole e si tuffa in mare. A un certo punto trasformò la cisterna dell’acqua in vano abitabile, e s’è guadagnato una condanna per abuso edilizio. Così compare nei siti malvissuti in cui si elencano i pregiudicati del Parlamento. Oggi dicono sia molto soddisfatto del viceministero cui è stato destinato. vice di Tommaso Padoa-Schioppa e ha una forte delega alle Finanze. Però, forse per rimarcare l’autonomia, non ha preso ufficio con Padoa-Schioppa e tutti gli altri in via XX settembre, ma da solo in piazza Mastai. Ha voluto per portavoce un ex pennivendolo di Panorama, Roberto Seghetti, che si è già calato nel clima e dice cose come: ”Non so niente e anche se sapessi non parlerei”. Insomma, l’operazione simpatia è urgentissima. I lettori di Libero hanno partecipato a un sondaggio da cui è emerso che una foto di Visco conteneva rassomiglianze impressionanti con l’Urlo di Edvard Munch. Però lui lo sa. Lo sa perfettamente. Una volta ha detto: ”Se fossi meno spigoloso avrei raggiunto qualche risultato in più”. Invece nelle memorie di tutti rimangono i toni involontariamente minatori, l’elencazione agghiacciante delle cifre, la disponibilità al vizio ridotta a qualche mezzo toscano. E l’ipotesi di un carattere tendente al rancoroso già forgiato negli Anni Ottanta, quando da allievo del repubblicano Bruno Visentini era un’avanguardia dell’anticraxismo. Eugenio Scalfari lo indicò come membro di un ipotetico governo ”dei capaci e degli onesti”. Ministro lo sarebbe diventato solamente nel 93, nel gabinetto di Carlo Azeglio Ciampi. Ma il giorno medesimo la Camera negò l’autorizzazione a procedere per Craxi, e lui si dimise per volere del partito, e straziandosi il cuore» (Mattia Feltri, ”La Stampa” 22/6/2006).