Varie, 7 marzo 2002
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Waits Tom
• Pomona (Stati Uniti) 7 dicembre 1949. Cantante. Attore • «Per tutta la vita non ha fatto altro che ”attaccare” il sistema culturale americano, provocando ferite che non si sono più rimarginate. [...] all’inizio degli anni Settanta, quando esordì con Closing time, burbero innamorato del blues, del fumo e dell’alcol, senza un soldo, giovane ma già avvizzito da una vita fatta di troppi strapazzi. [...] Dopo anni di ubriacature artistiche, ora la vita di Waits è scandita in modo quasi benedettino. L’incontro con la moglie, avvenuto all’inizio degli anni Ottanta, dopo l’ultimo sussulto disperato di Heartattack and vine, è stato decisivo. Niente più locali, più controllo, più testa che cuore: una specie di benefica chiusura di fronte alle antiche tentazioni. Diventato un marito diligente, è cambiato anche come artista. Ci ha messo pochissimo. Un anno, forse meno. Ma anziché addolcirsi, si è indurito, cerebralizzando un repertorio costruito sui ”colpi al cuore’, sull’emozione bruciante, sul devastato romanticismo di una lettera di Natale spedita da una ”prostituta di Minneapolis’ senza alcuna speranza di ricevere una risposta. Da un giorno all’altro, mescolando l’arte alla vita, il cinema a quel vago senso di nausea che lo ha portato a smettere di bere, è diventato lo stratega dell’avanguardia popolaresca e, a tratti, inaccessibile di Swordfishtrombones e di tutti gli altri che sono venuti dopo, siano essi stati colonne sonore, musiche di scena o altro. Da sentimentale represso che si scioglieva soltanto con bourbon, è diventato il filosofo amante di una sperimentazione rumoristica affascinante ma lontana dalla forma canzone e dalla cantabilità di un tempo. Per anni ha praticamente rinnegato le esperienze della sua gioventù artistica. Ha scomposto il jazz in una moltitudine di elementi. E solo con alcuni momenti, davvero luminosi, dell’ultimo Mule variations, si è capito che il Waits che duettava con Bette Midler in I never talk to strangers, e che firmava la straordinaria colonna sonora di Un sogno lungo un giorno di Coppola, è lo stesso Waits che è passato come un uragano nella cultura moderna[...] e che si irrita profondamente se qualcuno gli chiede del suo antico rapporto con la cosiddetta ”musa assetata”, ossia quel demone che ha spinto tanti artisti americani a esagerare col whisky fino a decidere di ”andare a viverci insieme”» (Enrico Sisti, ”la Repubblica” 17/1/2002). «’Penso sia questo che tutti cercano: canzoni con dentro avventura, depravazione, erotismo, fallimenti e omicidi”, ha spiegato una volta in radio Tom Waits, all’ennesimo tipo che cercava di carpire i segreti della sua bizzarra poetica. Waits è stato sempre molto attento a mantenere un’ombra di vaghezza intorno a sé, a lasciare che la storia banale della sua normalissima famiglia si trasfigurasse in quella marginalità fumosa, pittoresca, e letteraria, che egli ha perseguito fin dall’adolescenza. Lui stesso ha permesso che sul suo conto fiorissero centinaia di leggende, chissà poi quanto veritiere, e dunque il mistero sulla commistione fra arte e vita in Tom Waits continuerà ancora a lungo ad affascinare chi si ostina a chiedere a un disco emozioni, ed orizzonti imprevisti. […] uno dei cantautori più originali, anche attore in una ventina di film, fra i quali pellicole cult come I ragazzi della 56 Strada e Rusty il selvaggio. Non best-seller negli Stati Uniti, ma con un fortissimo seguito in Europa […] ha coltivato a lungo e con accanimento la propria vita di drop-out, prima di arrendersi alla moglie devota Kathleen, incontrata ai Zoetrope Studios di Francis Ford Coppola, dove lei era lettrice di soggetti cinematografici. […] la formazione musicale, inconsueta per uno di quella generazione: nessuna passione per Jimi Hendrix e l’altro rock coevo, e invece amore sia per i testi di Dylan che per i polverosi 78 giri dei genitori, che lo fecero fan di Porter e Gershwin, prima di scoprire Mose Allison e Dizzy Gillespie. Poi, la folgorazione per gli scrittori della Beat Generation, l’identificazione con Kerouac, e la decisione di sperimentare sulla propria pelle lo stile artistico che andava elaborando. Waits è uno che si è imposto la marginalità per cercare ispirazione. Sperduto nella vastità dei più luridi sobborghi di Los Angeles, ha avuto spesso un’auto per casa, ha fatto i lavori più umili, si è sbronzato a lungo senza riserve, ha dormito negli alberghi più sordidi: e intanto metteva a punto il proprio stile, lo personalizzava e rifiniva, con lo scopo di riuscire ad esibirsi al Troubadour Club, leggendario locale dove il music-business andava a cercare talenti. Proprio lì fu alla fine scoperto dal manager di Frank Zappa, ma la biografia racconta le difficoltà di vivere una carriera fuori dai canoni della musica più facile, fra manager onesti e produttori privi di scrupoli. […] la sua musica, alla fine, quel suo pianoforte disperato, quella voce ruvida e sgraziata […]» (Marinella Venegoni, ”La Stampa” 15/9/2004). Vedi anche: Gloria Pozzi, ”Sette” n. 16/2002;