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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

Walcott Derek

• Castries (St. Lucia) 23 gennaio 1930. Scrittore, autore di teatro, poeta, pittore. Nobel per la letteratura nel 1992 • Dopo la laurea conseguita in Giamaica, si è trasferito a Trinidad e nel ”57 ha ricevuto la sua prima borsa di studio, quella della fondazione Rockefeller per le ricerche sul teatro americano. Nel ”59 ha fondato il ”Trinidad Theatre Workshop” dove sono state rappresentate le sue prime opere teatrali. E’ membro onorario dell’American Academy and Institute of Arts and Letters. Ha debuttato come poeta a 25 anni, ma la sua consacrazione è arrivata con In a Green Night nel 1962, cui sono seguiti numerosi testi, tra i quali: Prima luce uscito da Adelphi e il poema Omeros (’Corriere della Sera” 26/6/2003). «Sangue africano, olandese, inglese, francese. ”Sono nessuno, o sono una nazione”, ha scritto in uno dei poemi che gli meritarono nel ’92 il premio Nobel per la letteratura. Ma porta sottobraccio, vistosamente, una copia del ”Times”, come fosse la bandiera di una scelta definitiva: quella che fa di lui forse il maggior poeta vivente di lingua inglese. Lingua che ama di un amore travolgente, e contagioso per il pubblico che corre ad ascoltarlo leggere i propri versi, quasi senza commentarli, per il puro piacere di farli risuonare nel silenzio di un teatro. […] E’ per autodefinizione un ”mulatto di stili”, amante delle contaminazioni, dei sincretismi, degli ibridi (come il musicista Paul Simon con cui ha scritto un musical)”. ”Parlo in inglese, scrivo in inglese, penso in inglese. Ma non per questo sono diventato un inglese”» (Michele Smargiassi, ”la Repubblica” 8/7/2001). «Pelle olivastra, occhi chiari, l’aria, spesso trasognata, di chi è abituato a perdersi in chissà quale Olimpo caraibico e ad esplorarne i miti. Lo chiamano l’Omero delle Antille perché racconta in chiave epica la lotta quotidiana degli Achille e degli Ettore d’un mondo di diseredati e di senza potere nell’azzurra miseria d’un Paradiso che rischia di perdersi. Ma lui, Derek Walcott, quando nel 1992 gli dettero il Premio Nobel per la Letteratura, si definì ”soltanto un negro rosso che ama il mare”. Uno che nutre la poesia nelle proprie radici d’’illegittimo”, di discendente di schiavi d’Africa con ascendenze inglesi, un ”bastardo né fiero né vergognoso: un ibrido, un indiano occidentale”. E’ l’ambivalenza, spesso tormentata, che riunisce in quest’uomo educato in Gran Bretagna, ma fiero della sua parte di sangue ghanese, le anime di Robinson e di Venerdì. Un intreccio che si manifesta in una multiforme struttura linguistica attinta dalla realtà e colorata dall’immaginario. E che è denominaore comune di opere all’apparenza eterogenee in cui s’inseguono i temi dell’amore e della morte, della perdita della fede e della ricerca del senso religioso della vita. Come in Omeros, il suo poema più noto c[...] che è il ”canto di chi non ha voce”. Qual è il ruolo del poeta, oggi? ”La poesia è l’esercizio del dubbio, l’arte del mistero. Dà anima al mondo perché è spontaneità, istintività incoercibile. Penso all’Unione Sovietica: c’era il tallone della dittatura, eppure i poeti continuavano a lavorare anche a rischio d’essere uccisi perché non condividevano l’utopia del comunismo. Penso a Cuba dove accade, ancora oggi, la stessa cosa. [...] Dalle mie parti si sostiene che un poeta può solo ammonire, ma in un momento di crisi come quello che la Terra sta vivendo, i versi possono avere una carica rivoluzionaria. Perché in chi li scrive, con sincerità, esiste un innato senso di giustizia. E tutto ciò, in fondo, altro non è che politica”. [...] A chi gli chiede qual è il ruolo della letteratura, risponde: ”Non educare, ma illuminare. Se Shakespeare avesse tentato di educare non avrebbe lasciato opere immortali”. Ma dice anche: ”Voglio scrivere poesia semplice come la vita. Nel senso che mi piace comporre qualcosa di immediato, raccontare il presente. Come quello che vivo a Santa Lucia dove sono sepolti mia madre e mio fratello. E’ una società semplice, appunto, in cui tutto è fondato sulla natura e su un senso, immediato, di gratitudine e di fede. La mia terra dove gli ”eventi’ importanti sono ancora l’alba e il tramonto”» (Renato Rizzo, ”La Stampa” 18/10/2003).