Varie, 7 marzo 2002
Tags : Lech Walesa
Walesa Lech
• Popowo (Polonia) 29 settembre 1943. Politico. Da leader di Solidarnosc spinse verso la fine del comunismo in Polonia • «Non potevo permettermi di dubitare della lotta, allora. Un leader che comincia a dubitare ha già perso. Eppure dentro di me mi chiedevo fino a che punto avremmo vinto [...] Durante una lotta le cose stanno così: se un leader comincia a farsi prendere dai dubbi non è più un leader, ma diventa un leader che ha già perso. Io allora non ebbi mai dubbi. Eppure, naturalmente, non mi sentii sicuro di quanto grande avrebbe potuto essere la nostra vittoria. [...] Fu una vittoria per l’Europa e il mondo. Di cui il Santo Padre ebbe il maggior merito. Lui, già nel ”79 venendo in Polonia, ci disse: ”Non abbiate paura’. Da lui imparammo a trovare in noi stessi il coraggio. L’elezione d’un papa polacco fu un evento che nessuno aveva previsto. Il Santo Padre non ordinò né colpi di Stato né rivoluzioni, ma le sue parole furono così decise da provocare una risposta concreta da parte del suo popolo. Senza di lui il mondo non sarebbe cambiato [...] Ricordo bene come ci interrogavamo sul futuro, prima in tante assemblee durante lo sciopero nei cantieri occupati, poi nelle nostre riunioni dopo la firma dell’accordo con il governo che legalizzava Solidarnosc. Ci chiedevamo come saremmo riusciti a consolidare e difendere la nostra vittoria. Ma eravamo tutti presi dalla lotta e dalla priorità di organizzarci. Il processo avviato era troppo veloce per consentirmi di rispondere a mille interrogativi. Al momento della lotta, potevo solo concentrarmi sugli obiettivi da conquistare. Se non avessi fatto così avrei sicuramente perso [...] Ricevemmo un grande aiuto. Senza la solidarietà internazionale Solidarnosc la nostra vittoria sarebbe stata inimmaginabile [...] posso assicurare che nell’agosto ”80 non vi fu nessun intervento o manipolazione, e nessun servizio segreto - né quello polacco né il Kgb, né la Cia né il Mossad - influì sulle decisioni che furono prese alla mia presenza”» (Andrea Tarquini, ”la Repubblica” 30/8/2005). Nobel per la Pace 1983: «Il telefono squillò nella casa di Lech Walesa alle 11 del mattino. L´elettricista dei cantieri di Danzica, leader di Solidarnosc, stava uscendo per andare nella cantina dove c´era la sede del sindacato. Era stato scarcerato da pochi mesi, il governo di Jaruzelski aveva soppresso Solidarnosc. In Polonia, a giugno, la visita del Papa aveva restituito speranza all’opposizione, ma la lotta era stata costretta alla clandestinità. ”Una voce in inglese mi disse che avevo vinto il premio Nobel per la pace. Pensai a uno scherzo. Ma poiché avevo la linea sotto controllo e un operatore comunicò che la chiamata partiva da Oslo, cominciai a dubitare. Mia moglie accese la radio e sentimmo la notizia. Più che da felicità fui preso dalla preoccupazione: immaginai come il regime l’avrebbe fatta pagare a chi si batteva per vivere libero nei Paesi dell’Est [...] Il mio Nobel fu per una bella lotta collettiva, ma in particolare tendeva a ottenere un impegno. Dopo le prime rivendicazioni di libertà, erano anni in cui ad Est si rischiava di perdere la speranza, di rinunciare a lottare”» (Giampaolo Visetti, ”la Repubblica” 10/10/2003).