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 2002  marzo 07 Giovedì calendario

WEK Alek Wau (Sudan) 16 aprile 1977. Modella. «Sudanese di nascita e newyorkese d’adozione, parla in termini alquanto distaccati, quasi morettiani, del suo lavoro di tutti i giorni: ”Mi piace perché mi fa guadagnare un bel po’ di quattrini, e poi viaggiare, conoscere paesi nuovi, incontrare gente”

WEK Alek Wau (Sudan) 16 aprile 1977. Modella. «Sudanese di nascita e newyorkese d’adozione, parla in termini alquanto distaccati, quasi morettiani, del suo lavoro di tutti i giorni: ”Mi piace perché mi fa guadagnare un bel po’ di quattrini, e poi viaggiare, conoscere paesi nuovi, incontrare gente”. Ma, in compenso, si illumina d’immenso quando il discorso scivola su argomenti più importanti, gli studi e il suo futuro post-modaiolo: ”Ho studiato Business in un college di Londra, e ora che vivo negli Stati Uniti vorrei prendere una laurea in filosofia e storia americana .Ma soprattutto vorrei impegnarmi sempre di più nelle attività di stampo umanitario e sociale che già ora svolgo attivamente, e far conoscere a tutti la realtà del Sudan: un paese bellissimo, purtroppo oppresso da un regime tremendamente anti-democratico» (Roberto Gatti, ”L’Espresso” 22/10/1998) • «L’unico compromesso fra Alek Wek e il suo corpo è un gel: per domare i capelli corti e ricci ricci. Il resto è come natura ha creato [...] in un minuscolo villaggio nel Sud del Sudan: Wau, che si legge ”uauu”. E Wau è un posto così lontano quanto Alek lo è dall’idea di modella che la gente ha. Più che bella è particolare. Non è né diva, né divina. Non è una viziosa, né una snob. Non è un caso se la rete inglese Bbc ha deciso che seguirà a ritroso la vita di questa ragazza che è tra le prime dieci top al mondo e una tra gli oltre 5 milioni di profughi, vittima di una guerra interna senza fine: cristiani da una parte, musulmani dall’altra. Dagli spari di Wau alle luci di New York, passando da Londra e da otto tentativi di fuga. Il book di Alek dice che è alta un metro ottanta, ha 86 di petto, 59 di vita, 86 di fianchi. Ma non spiega che le sue gambe arrivano all’ombelico di una qualsiasi persona della sua altezza. Né che da quello stacco parte un sedere che sembra un capolavoro d’arte moderna. Un viso ovale, zigomi alti e grandi occhi. Carnagione ebano, senza una ruga, un segno. Il volto di una bambina africana, il corpo di una gazzella Dinka, fiera tribù di guerrieri alti 2 metri. [...] quella mattina del 1989, quando fu svegliata con i fratelli e le sorelle (sei in tutto) da spari e urla. ”Prendemmo poche cose e ci incamminammo a Sud. Guadammo anche un fiume, a piedi. Papà stava male, era stato operato a un’anca, la ferita si aprì e s’infettò. Tre settimane e arrivammo a un villaggio, ai confine con l’Etiopia. Dormivamo in otto nella stessa stanza, non c’era da mangiare, mamma andava in città a barattare sale con cibo”. Sei mesi così, poi la fierezza di pensare che allora sarebbe stato meglio soffrire a casa propria. ”Il ritorno a Wau, sempre a piedi, durò sei settimane perché papà stava peggio. Quando arrivammo non trovammo nulla: né casa, né scuola. I miei capirono che, per noi figli, la salvezza era raggiungere Khartoum e poi da lì il primo aereo per Londra. Ma a Wau arrivavano solo gli Hercules degli aiuti. Caricavano i casi disperati. Non noi”. La mamma di Alek strappò un passaggio per il marito malato. Lei e i ragazzi restarono a terra. ”Ma io ero così eccitata all’idea di andar via con l’’aereo, che un giorno dissi al pilota che ero una delle figlie di quella famiglia che era già a bordo. Lui bevve la mia bugia e salii, da sola, a 11 anni”. Così Alek arrivò per prima a Kharthoum, dal padre. Dopo, il resto dei Wek. Per Londra, a scaglioni, partirono tutti, eccetto il padre che morì di stenti. ”A lui ho dedicato la collezione di borse che [...] disegno e produco: Alek 1933, anno di nascita di papà”. A Londra c’era una sorella sposata con un architetto che diede rifugio a tutti. ”Poi un giorno, era il ”94, ero al parco con un’amica, mi ferma una signora, piccolina, bionda, occhi azzurri, la pelle bianca come il latte e mi dice ”parliamo’. E mi fa parlare. Poi mi chiede ”non hai pensato di fare la modella’. Io? Mi ha dato il biglietto da visita e mi ha detto ”pensaci’”. La mamma di Alek, moglie di un inseùgnante dinka, disse di no: ”Prima finisci gli studi”. La ragazza finì ma poi andò al provino: ”Ero lì con la mia t shirt e il fotografo mi diceva: ”Fammi vedere un po’ di pelle...’. E io scoprivo una spalla... E lui ”un po’ di più!’. Allora mi sono tolta la maglia, ma avevo il reggiseno! E lui: ”Un po’ di più’. E io, ”no il reggiseno no!’. Non mi ero mai spogliata davanti a nessuno”. Poi la ”piccola” dei Wek ha imparato (spettacolare il suo scatto per il calendario Pirelli ”99), senza vergogne: ”I bravi fotografi sanno metterti a tuo agio. Capisci che non c’è nulla di volgare in un corpo nudo”. Nel ”96 va a New York, i grandi fotografi (Steve Meysel, Bruce Weber), i grandi giornali (’Vogue”, ”Elle”), i grandi stilisti (Versace, Lagerfeld, Gaultier, Dries Von Noten) la scoprono. ”In pochi mesi mi sono trovata lassù, frastornata, impaurita, incredula. Di giorno lavoravo, la sera mi chiudevo in casa e pensavo a quello che scoprivo attorno a me, così lontano da Wau. Ho preso un cane e poi un gatto. Ho cominciato a dipingere: i segni del palmo della mia mano, con ogni tecnica. Oggi quei disegni sono impressi sulle fodere delle mie borse [...]”. A Wau non è più tornata (ci andrà con la troupe della Bbc ), ma per il Sudan si batte: lavora come volontaria per l’U. S. Committee for Refugees e con Médecins sans Frontières. Raccoglie fondi, aiuta chi può. Senza ”servirsi” della moda, come mai? ”I miei amici sono la mia famiglia. Quando lavoro non ho il tempo per conoscere bene un’altra persona. I saluti, i sorrisi i baci non bastano per dire ”è un’amica’”. Problemi con il colore della pelle, giura di non averne avuti: ”La discriminazione è stupidità. Se invece non ti piaccio, non ti piaccio. un fatto di gusto”. [...]» (Paola Pollo, ”Corriere della Sera” 6/4/2005).