Varie, 7 marzo 2002
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Wenders Wim
• Dusseldorf (Germania) 14 agosto 1945. Regista. Tra i capofila della giovane generazione di autori della Repubblica Federale rivelatasi negli anni Settanta. Ha studiato medicina e filosofia, frequentando allo stesso tempo l’Accademia di cinema e Televisione a Monaco e lavorando come critico cinematografico per la ”Suddeutsche Zeitung”. Dopo Alice nella città (1973) e Nel corso del tempo (1975), ha diretto L’amico americano (1977). Nel 1982 ha vinto il Leone d’oro a Venezia con Lo stato delle cose, nel 1984 la Palma d’oro a Cannes con Paris, Texas. Il cielo sopra Berlino, forse il suo film più famoso, è del 1987. E ancora: Fino alla fine del mondo (1991), Così lontano, così vicino (1993), Lisbon Stroy (1995), The Buena Vista Social Club (1999) (’liberal” 29/7/1999). «Spesso la gente si stupisce che non sia molto più anziano, che non abbia almeno ottant’anni, visto che ho fatto tanti film, di cui alcuni già negli anni Sessanta, ossia nella notte dei tempi. Poi, molti suppongono che io sia un intellettuale. Un poeta e pensatore. In fondo, si aspettano che io confermi questa loro impressione, ricavata in qualche modo anche dai miei film. O da una mia intervista in tv. O per sentito dire. Ma raramente l’impressione che abbiamo di un personaggio pubblico concorda con la realtà. Quando mi guardo allo specchio, vedo un comico incompreso, oppure un viaggiatore stanco. Vado molto in giro, e la maggior parte degli specchi che vedo sono appesi in alberghi, in aerei o in macchine. Nei miei film si viaggia molto. Non sempre, ma spesso. Racconto storie di uomini alla ricerca, e storie d’amore. Parlo di uomini alla scoperta di come funziona amare. Chi sa se io stesso l’avrò capito? Per lungo tempo, l’amore è stato un enigma per me. Ma ormai – anche se adesso può suonare assai tracotante – sono riuscito a scoprirne un po’. I miei film mi hanno aiutato molto nella scoperta di alcuni suoi segreti. Si può imparare tanto girando un film. Soprattutto quando il soggetto – e io su questo ho sempre insistito – si basa su esperienze proprie. Quello che so dell’amore? L’amore non è uno scambio. Chi, per l’amore che dà, si aspetta qualcosa in cambio sbaglia sin dall’inizio. L’amore è incondizionato per definizione. Da anni sono sposato con Donata. In lei ho trovato l’amore della mia vita, e viceversa. Nessuno di noi due l’ha mai messo in dubbio. Mica fu amore al primo sguardo. Per sei mesi ci siamo visti quasi ogni giorno, senza neanche immaginare minimamente quello che sarebbe stato di noi. Donata faceva l’assistente cameraman durante le riprese per Così lontano, così vicino (titolo perfetto per la storia nostra...). Per tutto quel periodo non c’è stato niente tra di noi, nemmeno un briciolo di cognizione o d’innamoramento. Soltanto l’ultimo giorno mi sono reso conto che qualcosa non andava. Di solito sono contento quando le riprese per un film si concludono, ma questa volta ero tristissimo, e non sapevo come mai. Di colpo mi resi conto perché: non avrei rivisto Donata. Allora ho cominciato a capire. Ho preso il coraggio a quattro mani e l’ho invitata a cena. La cosa più eccitante dell’amore è che esso cambia, che è in grado di crescere, anche quando pensi che più di quello non sia possibile. Proprio allora può succedere di tutto. L’amore è la sfida perenne di essere aperti e di credere nell’altro – sempre di più. Molti amori escludono tale possibilità già in partenza, si impongono limitazioni, e rinunciano all’essere senza riserve. Mi è successo anche quello. Per molte persone l’impressione che fanno sugli altri vale più dell’opinione che hanno di se stessi, e le loro relazioni amorose provvedono soprattutto a metterli in mostra. L’amore è la più grande avventura della vita, ma anche diventare grandi e fare esperienze è avventuroso. Come ci dobbiamo comportare con le cose che non facciamo per la prima volta? Non è mica facile se da un lato cerchiamo di non ripetere gli stessi errori e dall’altro non ci dobbiamo fidare troppo delle esperienze già fatte. questo il pericolo più grande. Si dice per esempio che il primo film è facilissimo, il secondo invece è il più difficile. vero, lo posso confermare. La prima volta, puoi inventare tutto come ti pare. La seconda volta, uno è convinto di sapere ormai come si fa, e batte il culo per terra. Per questo cerco sempre di fare ogni film come fosse il primo, ma senza ripetermi. Credo che sia proprio quello che le esperienze ci dovrebbero insegnare: rimanere curiosi per le cose non ancora fatte. […] La creatività è un unico grande azzardo. C’è un proverbio secondo cui chi non risica non rosica, ma lo trovo abbastanza stupido. La verità è molto più triste: chi non risica ha solo da perdere. La maggior parte di noi ormai è disabituata alla capacità di rischiare. Quasi tutti hanno il dono innato di raccontare, di fare musica, di dipingere, ma spesso tali doti vengono soffocate sul nascere. Quanti sono i bambini ai quali il coraggio di poter essere inventivi, grandiosi, unici non viene subito tolto? Quante sono le scuole che non ritengono un dovere punire ogni traccia d’audacia, e inculcare la lezione opposta, ossia il conformismo? Un fatto aggravante è che tutti noi, e con noi i nostri figli, ci rassegniamo sempre di più a recepire e a farci servire. L’offerta eccessiva è diventata regola, e con quella la passività, inevitabile conseguenza culturale del nostro atteggiamento consumistico. Il potenziale creativo diminuisce poiché viene richiesto sempre meno, gli inviti a fare esperienze proprie si sentono sempre più flebili, e scambiare quelle di seconda o terza mano per autentiche è diventato normalità. E invece, creatività è il contrario di ricezione. Dai miei attori mi aspetto che siano disposti ad aprirsi del tutto, a farsi riconoscere, a mettersi in gioco quanto possibile. Attori che cercano di nascondersi dietro una parte, confidando soltanto nei loro mezzi manuali, non mi interessano. Per me, un ruolo deve sempre contenere la verità della persona che lo interpreta. Essa mi affascina più della parte che sta recitando, ma questo non vuol certo dire che gli attori nei miei film non devono recitare altro che se stessi. Possono superarsi invece e reinventarsi molto al di là delle loro capacità. Credo comunque che nessuno possa recitare una parte che non sia già latente in lui. Resta solo da vedere se ha il coraggio e la generosità di farla uscire. Il regista dipende da regali altrui. Non ha la forza di ”attingere” tutto da se stesso. Molto spesso, i film d’oggi sono sistemi chiusi. Bastano a se stessi, e usciamo dal cinema più poveri di prima. Non è sempre stato così, ma pare che nella nostra epoca consumistica fare regali non vada di moda. La maggioranza dei film contemporanei segue altri criteri, schemi fissi e ricette prestabilite. […] I film buoni non finiscono, ma hanno il loro vero inizio quando usciamo dal cinema. Sono cristiano, ma ho trovato la fede solo dopo lunghe deviazioni. Sono cresciuto in una famiglia cattolica, con un’infanzia molto protetta, ma purtroppo la mia educazione cattolica non ha potuto reggere alle tempeste seguenti. Tutto mi sembrava formale, dogmatico, vuoto e non vissuto. La Chiesa, pensavo, era farisaica e presuntuosa, convinta che lei stessa fosse il messaggio, e già da un pezzo aveva dimenticato il messaggio vero. Allora mi sono fatto travolgere più volte. Prima dalla filosofia esistenzialista, poi, alla fine degli anni Sessanta, dall’attività politica di sinistra, poi ancora, negli anni Settanta, dalle droghe e dalla psicoanalisi, e infine, negli anni Ottanta, dalle religioni orientali. Soltanto dopo tante deviazioni e strade sbagliate, ho ritrovato proprio quello da cui mi credevo più distaccato. Tutto ciò che avevo cercato invano, d’un tratto diventò chiaro e lampante, e fu soltanto l’educazione cattolica ad avermelo reso tanto difficile: la conoscenza d’essere cristiano. Oggi vado sia alla messa cattolica che a quella protestante, ma grazie alla comunità presbiteriana a Los Angeles a cui io e mia moglie apparteniamo mi sento molto più vicino alla Chiesa protestante. Comunque, ciò che conta è solo questo: il cristianesimo ha un messaggio estremamente rivoluzionario, liberatorio e positivo: che Dio è più reale del mondo, che tutto ciò che vive ed esiste viene da lui. E che ci ama. Il nostro grande, se non unico, compito è di accettare quest’amore. E di passarlo agli altri» (’Corriere della Sera” 1/12/2002).