Varie, 7 marzo 2002
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Westwood Vivienne
• Glossop (Gran Bretagna) 8 aprile 1941. Stilista • «“La qualità della vita? Poter seguire le proprie inclinazioni, avere curiosità per quello che ci circonda, non accontentarci di stare in superficie. E poi indossare abiti unici: rende la vita davvero molto più interessante... “. Ascoltando Vivienne Westwood, vedendo le sue creazioni, leggendo le tappe della sua vita non soltanto professionale, è inevitabile restare sorpresi da quel cambio di velocità, quel dettaglio spiazzante, quel pizzico di delicata follia che sottolineano tutto il suo universo. Potere d’un profondo sense of humour applicato al gusto della provocazione e dell’anticonformismo. Basta incontrarla per rendersene conto. Capelli rosso fiamma, pupilla celeste, pelle d’un biancore che più inglese non si può [...] sposata a un marito (Andreas Kronthaler, suo ex allievo, ora suo alter ego) che ha 22 anni in meno, capace di entusiasmarsi e di stupirsi come quando ha cominciato la sua avventura aprendo a Londra il suo primo negozio (“Let it rock”) in King’s Road e cominciando a disegnare i primi vestiti. Era il 1971 e quel negozio che avrebbe cambiato diversi nomi ma non la sostanza, ha nutrito l’effervescenza dei maggiori fermenti contemporanei a cominciare dal Punk duro e puro. Questo le ha comportato una specie d’investitura come musa della trasgressione Made in England, anche se lei preferisce che si sottolinei di più la sua libertà creativa. [...] come definirebbe lo stile Westwood? “Una specie di puzzle con diversi elementi. C’è ricerca, invenzione, costruzione. Nella mia moda contano molto i volumi, mi piace trasformare l’anatomia del corpo, sottolinearne certe parti, tagliare in un certo modo. Il puzzle è mettere insieme tutti questi pezzi”. Il fondamento base? “Non seguire mai le mode. Bisogna spaziare liberi e non farsi condizionare. Anche la vera arte non segue le mode [...] L’eleganza deve aiutarci a sentirci bene ma soprattutto a dare il meglio di noi stessi. Vorrei ricordare una citazione di Marlene Dietrich [...] Le chiedevano se sceglieva i vestiti per piacere a sé o agli uomini. E lei rispondeva: ‘Per tenere alta la mia immagine’ [... Gli anni 70 sono stati un periodo molto particolare. Molta pelle nera, borchie, gomma, cerniere da tutte le parti e poi quei pantaloni con cui non si poteva camminare perché una catenella legava le due gambe. La parola d’ordine era sgretolare perbenismo e regole. Allora citazioni sadomaso, simboli nazi ed erotici. Come una bomba [...] Ha fatto molto clamore il modo in cui ho reinventato in mille modi il vecchio corsetto, esempio poi seguito da molti altri. Mi piace anche ricordare le ormai celebri, altissime zeppe blu ‘mock-croc’, pure quelle piene di richiami erotici, da cui Naomi Campbell cadde in passerella”. In molte sue passerelle il sesso viene evocato dalle forme, il suo storico negozio si chiamò fra l’altro “Sex”: quanto conta per lei il sesso? “Rispondo come la mia amica Jean Shrimpton (la modella nota in Italia come “Gamberetto”, ndr): non è in testa alle mie priorità” [...]» (Gian Luigi Paracchini, “Corriere della Sera” 25/9/2007).